Una panoramica intercontinentale. Dalla Colombia alle Filippine: intervista a Pablo Bermudez

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In un mondo iperconnesso, dominato da molteplici crisi, viaggiare per conoscere e ricercare riveste un ruolo fondamentale, ne abbiamo parlato con l’artista.

Pablo Bermudez (Pereira, 1988) è un tessitore strabiliante di relazioni interpersonali. La sua ricerca artistica coinvolge alcune tra le più scottanti tematiche odierne come il senso d’identità e i movimenti migratori. Quest’ultimo tema, in particolar modo, sarà al centro della Biennale d’arte di Venezia. Da Cult e dirompente a introspettivo ed evanescente, il linguaggio artistico di Pablo Bermudez si estende ai più svariati supporti: dalla carta, alla tela, al materiale plastico.

Sono numerose le collaborazioni con istituzioni come EL MAP,  Museo de Arte de  Pereira e il Museo de Arte Contemporaneo de Bogotà (MAC). Pablo Bermudez è l’esempio perfetto di una personalità artistica che avverte l’esigenza di sperimentare e promuovere il contatto e la relazione con l’altro, quale nutriente indispensabile per creare.

Ha inaugurato sabato 27 gennaio la mostra “Miel Y Piel” presso Zaion Gallery di Biella visitabile fino al 1 marzo.

Solo estaba pensando en ti_solo show_MAP Museo de arte de Pereira 2018_a cura di Alejandro Garces

Pablo Bermudez è un artista poliedrico, multiforme e cosmopolita. Trovi che questa descrizione ti rispecchi?

Poliedrico è una definizione interessante. Forse, più che per me, vale per Bhartco, il collettivo di cui faccio parte, il cui logo è un cubo: su ogni lato del poliedro è presente un occhio, elemento indicatore di una multiformità di sguardi.

Bhartco è stato fondato dieci anni fa da me e Marlo Montoya. In seguito sono entrati a farne parte Javier Blanco e David Linarte. Ad accomunarci è principalmente il fatto di essere degli artisti colombiani emigrati in giovane età in Europa: tutti proviamo nostalgia della nostra terra e delle nostre origini, sentimento comune a ogni migrante. 

Per il resto, le nostre pratiche creative e le nostre poetiche sono molto differenti.

La Biennale di Venezia 2024 si intitolerà “Stranieri ovunque-Foreigners everywhere”. Il curatore Adriano Pedrosa illustra la scelta del titolo definendo il contesto in cui viviamo un mondo pieno di crisi che riguardano il movimento e l’esistenza delle persone all’interno di Paesi e nazioni. Come ti senti in questo marasma?

“Stranieri ovunque”… penso di potermi identificare in queste parole. Essendo nato in una famiglia molto umile e  pratica, l’arte non è mai stata un’opzione da considerare, anzi era “un qualcosa” da scoraggiare. Questo mi ha portato a non sentirmi mai veramente nel mio luogo. Penso che più viaggi più ti accorgi di quanto sia piccolo questo astro dove tutti viviamo. Per me siamo tutti umani, basta. Di Pedrosa ammiro la scelta di affiancare il collettivo Claire Fontaine al Movimento dos Huni Kuin, con la quale penso voglia spezzare le dinamiche eurocentriche del sistema dell’arte.

Se la Biennale si soffermerà in particolar modo su artisti che si sono spostati tra il Sud e il Nord del mondo, la tua traiettoria è invece da Ovest a Est. Come descriveresti questo cammino?

La Colombia e le Filippine hanno un passato di colonialismo spagnolo e, dall’inizio del Novecento, di un forte influsso politico e culturale degli U.S.A., tutt’altro che finito direi. Durante il periodo vissuto a Manila mi sono quindi soffermato sull’analisi delle dinamiche di colonizzazione-decolonizzazione e sulla demagogia esercitata dagli USA.  Temi sui quali ho potuto lavorare a quattro mani con l’artista filippino Manuel Ocampo in occasione della mostra alla Pablo Gallery di Manila. “Pablo at Pablo” curata da Alessia Terzaghi, mostra ed evidenzia questo tessuto di influenze tra colonialismo spagnolo, dogma cattolico e invasione massmediatica occidentale. 

A Manila, oltre ad aver collaborato con Manuel Ocampo, ho avuto l’opportunità di lavorare con l’amico e pittore Jigger Cruz in diverse esposizioni tenute tra l’altro alla West Gallery di Quezon city.

“Colombian flag” Performance de Javier Blanco y Nathalia Meneses Gonzales y Andrew Bou Othmane, 2021 Milano, Fotografia de Carlos Albertozi

Se dovessi scegliere due progetti maggiormente significanti che contraddistinguono il tuo lavoro in questi due stati, quali sceglieresti?

In Colombia, il lavoro “Colombian Flag” del 2015 di Javier Blanco è sicuramente uno dei progetti più importanti che, come collettivo Bhartco, abbiamo realizzato. In primis per le istituzioni museali coinvolte e per essere un’opera di arte pubblica ma in particolar modo per l’aspetto umano ad essa connesso. Portare l’opera in molteplici luoghi della Colombia ci ha messo a diretto contatto con le emozioni più profonde di chi ha subito e tuttora subisce le conseguenze del conflitto armato e della criminalità che si accaniscono sulla nostra nazione. A Pereira nel 2017,  durante una manifestazione per la pace, il direttore dell’evento che poco aveva a che fare con l’arte, nel momento in cui ha visto la Bandiera, si è messo a piangere. Quest’uomo che per tutta la sua vita aveva lottato per una Colombia migliore, e che piangeva davanti alla nostra opera, mi ha fatto riflettere su cosa avevamo davvero fatto.  “Colombian Flag” fu poi protagonista di “el estallido social” del 2019 e da quel momento venne ripresa sui social, come mezzo di protesta nel web; anche artisti ed illustratori l’hanno utilizzata per le loro grafiche. 

Javier Blanco, “Colombian Flag” 2015. Manifestazione per la pace in Colombia, Duomo di Milano, Italia 2021. Fotografia di William Aparicio

La bandiera colombiana, deturpata dal suo simbolo originale patriottico è diventata un’icona, un simbolo del dolore di un intero popolo e non appartiene più soltanto a noi ma a tutti i colombiani.

Nel 2018 ho inoltre realizzato una mostra personale al MAP  curata da Alejandro Garces con cui collaboro tuttora assiduamente. 

Per quanto riguarda il lavoro che ho svolto nelle Filippine, la mostra alla Pablo Gallery ha rappresentato un punto di svolta per il mio percorso.  

Pablo at Pablo Solo show in Pablo Gallery

Stai lavorando a un nuovo progetto?

Il 2025 sarà un anno molto carico di progetti, probabilmente in Colombia, ma nulla che si possa ancora anticipare con precisione. Ora come ora sto pianificando un viaggio a Los Angeles per andare a incontrare di persona un mio collezionista, lo sceneggiatore David S. Goyer, (per farvi capire è lo sceneggiatore di Batman Begins di Christopher Nolan).

Per me è  un sogno che si realizza: fin da bambino sono appassionato di fantascienza e io stesso  scrivo racconti distopici anche se più come un hobby direi. Attualmente invece, abbiamo inaugurato una doppia personale io e Marlo alla Zaion Gallery, galleria con cui entrambi collaboriamo.

Batman a evoluçao do homem morcego 2020, private collection, David Goyer

Sei rappresentato da una galleria?

Al momento non sono rappresentato da nessuna galleria in termini di esclusiva, ma posso contare su dei rapporti continuativi con alcuni galleristi in diverse nazioni.

Essendoti confrontato e confrontandoti continuamente con realtà pubbliche e private, estere e italiane: gallerie, musei, fiere… che somiglianze e differenze noti tra l’Italia e gli altri paesi?

Senza entrare in discorsi troppo tecnici sul sistema dell’arte, posso dire che la cosa più interessante per me è stata l’opportunità di confrontarmi non tanto con le istituzioni, come le fiere d’arte o i musei, quanto piuttosto con gli artisti, e più in generale con le persone che operano nel mondo dell’arte, a livello più profondo. Ho sperimentato insomma quella dimensione umana dalla quale preferisco attingere, invece che dare importanza agli aspetti più aridamente tecnici del nostro lavoro.

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