Happy Valentine’s day! (In salsa artistica)

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Buon san Valentino, cari Artuu Lovers! Come ve la passate? Siete felicemente accoppiati e vi preparate a una romantica cenetta a lume di candela con il vostro amore? O siete messi male, a caccia di un last minute per scavallare la serata?

Per festeggiare ho stilato una classifica delle migliori “fidanzate d’artista”, se così si può dire. Che sono quasi tutte artiste, ebbene sì (perché “si desidera ciò che si vede ogni giorno”, come saggiamente diceva Hannibal Lecter, e dunque si finisce per pigliarsi tra simili), e che conoscete, quasi tutte, molto meno di quanto conosciate i rispettivi fidanzati (altra triste, tristissima storia).

Al decimo posto metterei Meret Oppenheim. Che era molto brillante, intelligente e geniale (caratteristiche, come ben sappiamo, che non fanno salire in testa alla classifica, se il target è maschile). Era anche assai avvenente, però, come ci dimostrano certi suoi succulenti nudi targati Man Ray. Il problema è il carattere indipendente e geloso dei propri spazi. Al punto di cacciare dal letto Max Ernst (lui: l’uomo più desiderato del XX secolo), per l’ego troppo ingombrante. Max ci restò male, definendola “un panino imbottito di marmo” nel quale c’era il rischio di lasciare i denti.

Il nono posto se lo merita Dora Maar: la donna che piange. Forse il minotauro (Picasso) non sarebbe d’accordo con me: per lui, che dichiarava di adorare gli zerbini, quale compagna migliore di una che ti segue come un’ombra e che si lascia calpestare? Certo, bella era bella: mora e morbida come una crostata di mirtilli; ed era anche una fotografa geniale. Ma tutto quel piangere alla fine stanca. Pure Jacques Lacan, quando l’ebbe in cura dopo la rottura con Pablo, fu costretto ad abbassare le armi e a guardarla autodistruggersi.

Se una era la donna che piange, la prossima potremmo definirla quella che si lamenta. Non vi piace? Aspettate di sapere la storia. Perché Jo Nivison, ottavo posto, è una da tenere d’occhio: bellina, ma non troppo (ergo: assai rassicurante), intelligente, ma con la caratteristica di perdere completamente di vista se stessa quando si innamora (comincia a piacervi, eh?), vergine – pure – e capace di un’abnegazione senza pari. L’oggetto della sua dedizione è Edward Hopper. Lei se lo sposa anche se il ragazzo (piuttosto maturo: hanno entrambi quarant’anni) dimostra di avere qualche problemino sessuale e parecchi tabù. Poi gli dà consigli preziosi per la sua carriera, gli spiana la strada verso il successo presentandogli direttori di musei e collezionisti, rinuncia a dipingere per fare spazio a lui, posa per lui fino a un’età veneranda e gli resta accanto sempre, “nei secoli fedele” peggio di un carabiniere. Dicevamo che si lamentava, è vero: pagine e pagine di diari che poi però, alla fine, inspiegabilmente sono servite solo per rendere ancora più saldo il mito del marito. 

Al settimo posto piazzerei la polposa Fanny Cornforth. Non sapete chi sia? Lo sapete, lo sapete… Vi ho visti, adolescenti, consumare di sguardi la pagina del libro si storia dell’arte dedicata ai Preraffaelliti, sognando i suoi seni generosi, le labbra gonfie e la massa dei capelli da sirena. Fu lei a consolare Dante Gabriel Rossetti quando la giovane e cagionevole moglie, Elizabeth Siddal, ebbe la sciagurata idea di farsi venire una polmonite nella vasca da bagno del collega John Everett Millais (niente di divertente come ciò che certamente state immaginando: posava per Ofelia nell’acqua scaldata da delle candele, le candele si sono spente e lei, sostanzialmente, si è congelata). Il problema è che Fanny – vero nome Sarah Cox – viene dai bassifondi di Londra, è grezza, con una voce gracchiante e incapace di mettere insieme una frase senza infilarci due o tre strafalcioni. 

Sesto posto per Leonor Fini: bellissima, un corpo che – nudo – è valso a Henri Cartier Bresson uno degli scatti più pagati in asta, profilo da bambola e corpo da pantera, ma troppo femminista per ambire anche solo lontanamente a salire più su di così (suvvia: quei maschietti nudi, dormienti, così fragili…). Il suo plus è, come dire, l’inclusività: quando l’amica Meret si innamora dell’amico (un po’ più che amico) André Pieyre de Mandiargue lei sorride benevola e propone di giocare tutti e tre insieme. E lo stesso fa quando sempre Meret – prima di diventare, dall’oggi al domani, un panino imbottito di marmo – intreccia una liaison con il comune amico Ernst (il quale, come vedremo, ai triangoli è avvezzo). Fin qui storie passeggere. Ma poi si sposa, Leonor, con il tenebroso e intrigante Federico Veneziani, appena in tempo per incontrare un pittore, Stanislao Lepri, che la guarda come se fosse fatta di miele e poi, dopo essere andata a vivere con lui, non riuscire a resistere ad aprire la porta agli occhi azzurri e al musetto da gatto di Constantin Jelenski. 

Il quinto posto, se si misura il sex appeal, può sembrare un po’ riduttivo per Ilona Staller. La Cicciolina nazionale che non solo si è trasformata da pornostar a deputata della Repubblica nel 1987, non solo ha impalmato l’artista vivente più pagato al mondo (non lo era ancora: allora lei era più famosa di lui, ma non sottilizziamo), ma è anche riuscita, con quella grazia che non si può che definire virginale, nell’impresa di rendere pop il concetto del porno. Non è poi così edificante, dite, che anche un bambino dell’asilo e una tranquilla ottuagenaria sapessero allora chi fosse Pito Pito? (Se voi della generazione Z non lo sapete, andate a farvi un giro su Google). Be’, anche quella è cultura. Peccato che Ilona si sia rivelata un po’ nervosa quando tra lei e Jeff Koons le cose sono precipitate, trasformando il divorzio in una guerra senza quartiere.

Quarto posto alla multitasking Alma Mahler, che fece felici artisti impegnati in tutte le discipline: dalla pittura alla musica, dall’architettura alla letteratura. Felici, insomma… Forse era ancora troppo giovane per rovinare la vita a Gustav Klimt, che però dovette distrarsi non poco dal suo lavoro per seguirla in Italia, dove la madre se l’era portata dopo aver sbirciato il diario della figlia adolescente. L’altro Gustav, Mahler, che la sposa ventitreenne, non se la passa benissimo: dall’ansia di perderla diventa impotente (cosa che non aiuta a tenersi una donna). Poi muore, pure, il povero Mahler, dopo essersela vista rapire dagli occhi azzurri dell’architetto Walter Gropius. A quel punto entra in scena il pittore Kokoshka: sedotto, abbandonato e uscito di testa al punto di farsi fare una bambola con le sembianze di lei. Il ripescaggio di Gropius porta al matrimonio tra i due, che però si spezza perché lui ha il sospetto (fondato) che il bimbo che lei aspetta sia di un altro, un poeta: il nuovo giovane amante – e futuro marito – Franz Werfel.

Il terzo posto va alla “senza pari”, la donna più bella della Firenze di Lorenzo il Magnifico, ammirata ancora oggi, a oltre cinquecento anni dal suo regno di splendore, da frotte di turisti che la fotografano impazziti, vestita solo dei suoi capelli. E’ lei, la Venere, la candida Simonetta Cattaneo, che da Genova arriva a Firenze giovane sposa e folgora Botticelli fino a diventare la sua ossessione, il viso di tutte le donne che dipingerà. Sarà un amore a senso unico, però, quello del povero Sandro, perché dal momento in cui Giuliano de’ Medici le mette gli occhi addosso, la ragazza dallo sguardo languido e dai capelli d’oro fluttuanti come alghe non vede che lui. Un amore travolgente che finisce troppo presto, quando lei, ventitreenne, muore. Lutto che farà impazzire di dolore non solo de’ Medici, ma anche il pittore.

Il secondo posto non può che essere di Margherita Luti, la Fornarina di Raffaello, la fanciullina con la faccia di luna e gli occhietti sporgenti che lo rapirà a tutte le tentazioni della capitale, diventerà la sua compagna e la sua musa, forse addirittura lo sposerà in segreto e lo piangerà, disperata, sul suo letto di morte per poi chiudersi in convento. 

Ma la regina delle fidanzate non può essere che la conturbante Gala Dalí. Non è bellissima, dite? Guardatela bene: dimenticate la vecchina incartapecorita dei rotocalchi anni Settanta e andate a cercarvi i ritratti di Man Ray. Lei possiede il magnetismo di Meret, la sensualità di Fanny, le doti erotiche di Ilona, il gusto per le geometrie di Leonor e l’abnegazione di Jo, ma a tutto aggiunge una qualità: quella del demiurgo. Perché anche lei si può definire una collezionista di artisti come Alma, ma a differenza della collega, lei non li prende già fatti: li coglie dall’albero. Paul Eluard è un bambino quando si incontrano in sanatorio e lei lo incoraggia a scrivere poesie: il risultato è a dir poco eccellente. Per risvegliare la coppia un po’ intristita ci infila dentro Max Ernst, dando vita a uno dei terzetti più bollenti del suo tempo e scatenando uno dei momenti creativamente più prolifici del pittore. Poi andrà in Spagna, incontrerà un catalano giovane, caruccio e che dipinge benino e lo trasformerà nell’imperatore del surrealismo.

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