A Pietrabbondante c’è un santuario italico di 3 ettari

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Pietrabbondante è un toponimo la cui etimologia non lascia troppo spazio a dubbi interpretativi. Ci troviamo – infatti – tra le “morge” dei monti del Sannio, nella provincia di Isernia, all’ombra del monte Saraceno, in un luogo dove i borghi si incastonano tra le petrose montagne come cristalli, e dove di roccia e pietre ve ne sono, appunto, in abbondanza.

A Pietrabbondante, però, la pietra che abbonda non è solo quella delle aspre concrezioni naturali appenniniche, ma anche e soprattutto quella intagliata e lavorata dall’uomo secoli e secoli or sono, vestigia di uno spaccato di storia antica locale di assoluta preminenza.
Appena sotto l’abitato moderno, infatti, a quota 966 metri s.l.m., un declivio del monte Saraceno, che offre una suggestiva finestra panoramica su tutta la valle del Trigno, ospita i resti di un grande complesso monumentale dalla spiccata valenza simbolica, politica e cultuale. Un grande santuario isolato, come da tradizione religiosa italica, che si estende su una superficie di circa 3 ettari, votato quasi sicuramente a una moltitudine di divinità, di cui però, nonostante la messe di testimonianze epigrafiche rinvenute, non conosciamo l’identità, eccezion fatta per la dea Vittoria, cui è dedicata una lamina bronzea. 

Ne furono artefici e frequentatori i Pentri, una delle quattro tribù – assieme a Caudini, Irpini e Carricini – del Touto sannitico, la cui straordinaria abilità in battaglia creò non pochi grattacapi alla res publica romana. 

Nessun altro luogo testimonia così dettagliatamente l’articolazione sociopolitica e interseca così profondamente le vicende storiche dei Samnites Pentri quanto il complesso di Pietrabbondante. Se le prime testimonianze di un’occupazione del sito risalgono già al V-IV secolo a.C. è solo con la conclusione delle guerre combattute contro Roma tra la metà del IV e gli inizi del III secolo a.C., e con la dichiarazione di fedeltà all’Urbe, che i Pentri si assicurano la stabilità economica e politica necessaria alla monumentalizzazione del sito. Risale a questo periodo l’edificazione del cosiddetto tempio ionico, saccheggiato e distrutto nel 217 a.C. dalle razzie di Annibale, in cerca di facili bottini per finanziare la sua spedizione in Italia, e di cui nulla rimane, a parte i materiali reimpiegati nelle fasi edilizie successive. Già in questi primi scampoli di vita, però, emerge la chiara connessione del santuario con l’esercito e l’attività bellica, ben testimoniata dai numerosi depositi di armi ed equipaggiamenti militari rinvenuti nel sito, bottini di guerra o offerte votive consacrati alle divinità. 

Una seconda fase edilizia, voluta dalle magistrature locali legate alla potente famiglia degli Staii, agli inizi del II secolo a.C., culmina con l’edificazione del cosiddetto Tempio A, di cui non molto rimane, se non il podio quadrangolare che lo ospitava. 

È, però, la fase edilizia successiva che consegna Pietrabbondante alla gloria archeologica di cui gode oggigiorno. Le disponibilità economiche del magistrato sannita L.Statiis Klar (che avrà in seguito anche una parte nelle vicende politico-militari di Roma tra bellum sociale e alleanze con Silla) finanziano la costruzione di un ulteriore tempio, il Tempio B, dall’imponente podio e con cella tripartita, in connessione fisica e ideologica con un teatro che lascia sbalorditi. Il complesso tempio-teatro non è di certo un unicuum nel suo genere, e ben si inserisce nella tradizione dell’ellenismo italico mediato dall’ambiente campano e latino, tradizione esemplificata a Gabii, a Tivoli, e anche a Roma col teatro di Pompeo. Ma il “provinciale” esempio di Pietrabbondante non ha nulla da invidiare agli illustri esempi del Latium vetus. Le due fabbriche – tempio e teatro – devono necessariamente essere considerate come un tutt’uno. Occupano le due esatte metà di un grande temenos che le circonda e le connette, e la studiata resa prospettica è tale che il tempio stesso pare incombere sulla cavea, quasi non ci fosse alcuna distanza spaziale tra i due.

Il teatro, di tipo greco a emiciclo, si conserva ancora in modo quasi perfetto, e la ima cavea, la parte inferiore della gradinata, atta a ospitare i personaggi di maggior rilievo, è sicuramente tra gli elementi di maggior pregio architettonico di tutto il complesso, con tre file di gradoni dotati di un’ergonomica spalliera continua terminante con braccioli scolpiti in guisa di zampa leonina. Luogo di ludi sicuramente, la cui connessione con la sfera del sacro nel mondo antico non deve destare la minima sorpresa, ma anche e soprattutto luogo di adunanze e assemblee politiche, come testimoniano le già citate epigrafi piene di riferimenti a importanti cariche rappresentative.

Il profondo connubio tra politica e religione è – del resto – ampiamente manifesto nel destino che incontrò il santuario. Confiscato subito dopo il trionfo di Silla nel Bellum civile, che aveva visto i Sanniti appoggiare la sconfitta fazione mariana, il santuario cadde precocemente in disuso, né subì restauri durante l’epoca imperiale, a riprova di quanto la sua costruzione fosse stata frutto di una precisa volontà politica locale, esauritasi con la fine dell’autonomia del luogo. Una fine lenta e silenziosa quella di Pietrabbondante, eppure segnata da un terminus inequivocabile. Nel sacello di recentissima scoperta – infatti – è chiaramente testimoniato un complesso rito di desacralizzazione dell’area, con deposizione di lucerne e monete, che ci riportano alla seconda metà del IV e all’inizio del V secolo, inserendo il rito nel più ampio programma di chiusura delle aree di culto pagane promosso da Teodosio e successori all’indomani dell’Editto di Tessalonica. Un’ultima piccola eco della Storia nella storia di Pietrabbondante e del suo santuario, una eco che continua a rimbalzare tra le sue silenti e abbondanti pietre.

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