Padiglione del Vaticano, in carcere con Cattelan?

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Il luogo che ospiterà il Padiglione del Vaticano alla Biennale di Venezia sarà il carcere femminile dell’Isola della Giudecca, già Convento delle Convertite e il perché è semplice: proprio nei detenuti e nelle detenute in particolare si è deciso di vedere il simbolo del riscatto umano alla luce di quei valori cristiani in una vita precedente calpestati sì, ma non per colpe irreparabili, quanto meno agli occhi della giustizia celeste. Saranno le detenute stesse a collaborare alla costruzione del Padiglione, una scelta che nell’ottica dello staff organizzativo dà forma e sostanza a quelle parole pronunciate da Bergoglio, che il 28 aprile sarà presente alla Biennale, primo Papa della storia, con cui ha invitato gli artisti a non scordarsi degli ultimi (parole sempre migliori di quelle che avevamo sentito pronunciare da quell’altro Capo di Stato, anzi Presidente del Consiglio, che qualche annetto fa parlava degli artisti come di quelli “che ci fanno divertire”).

Carcere femminile dell’Isola della Giudecca, foto di Fabio Cremascoli.

La mostra nel padiglione santissimo si intitolerà Con i miei occhi perché, leggiamo dal bollettino della Sala Stampa del Vaticano, “viviamo in un’epoca marcata dal predominio del digitale e dal trionfo delle tecnologie di comunicazione a distanza, che propongono uno sguardo umano sempre più differito e indiretto, correndo il rischio che esso rimanga distaccato dalla realtà stessa”. Giusto, bene bravi bis, viva Venezia, viva il Banal Grande.

Bon, fra gli artisti invitati dai curators del Padiglione della Santa Sede Bruno Racine direttore di Palazzo Grassi e Chiara Parisi del Centre Pompidou-Metz (per la cronaca, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana e Claire Tabouret) c’è lui, Maurizio Cattelan, quello del Papa tramortito dal meteorite (La Nona Ora), quello del mini Hitler inginocchiato in preghiera (Him), e del bimbo con le mani inchiodate al banco di scuola (Charlie don’t surf). Proprio lui. Come mettere Dracula a capo dell’associazione donatori di sangue, come affidare a Michelle Houellebecq l’edizione critica del Corano.

Maurizio Cattelan, Him, 2001.

Cosa porterà Maurizio Cattelan, al momento in cui andiamo online, non lo sappiamo: stando a quel che leggiamo sul Corrierone, il 28 aprile alla presenza di Papa Bergoglio, Cattelan farebbe come Enzo Biagi che ogni tanto nei suoi articoli si ripeteva citando se stesso, cioè dovrebbe presentare l’opera che abbiamo già visto all’Hangar Bicocca, Breath. Se così fosse, vista l’eccezionalità dell’evento (eccezionalità non per Cattelan, che alla Biennale ci è già stato, ma per un Papa è una prima assoluta), i curators del padiglione potevano chiedergli qualcosa di più. Se le cose stessero così, vorrebbe dire che hanno considerato l’opera rappresentativa di quella non meglio precisata cultura dell’incontro (della Chiesa con l’arte) fortemente voluta dal padiglione del Vaticano: è vero, gli artisti invitati provengono da discipline le più disparate e il concetto di “incontro”, appunto, ci sta, ma con tutto il rispetto (come disse il deputato Borghezio prima di sparare una delle sue invettive) ci pare di essere al livello del suddetto Banal Grande e francamente altro non ci vien da dire perché il di più viene dal demonio, aspettiamo quindi di vedere le cose e poi giudicheremo cum grano salis.

Maurizio Cattelan, Breath, 2021, Hangar Bicocca.

Secondo Avvenire invece, che ha intervistato la curatrice Chiara Parisi, Cattelan realizzerà in collaborazione con le detenute un murale, perché “detenute e artisti sono protagonisti alla pari. Un miracolo nato dalla fiducia e dall’amore”. Il che per un verso è bellissimo, ma per un altro chi scrive torna col pensiero a quella volta in cui, visitando l’allestimento di una mostra a Palazzo Reale a Milano, vide la curatrice che a un certo punto con uno slancio da sincera democratica ma in realtà assai peloso, chiese a un paio di operai lì presenti come allestire la mostra. E quindi idem come sopra, qualcosa off the records sarà stato detto ma il nostro uomo all’Havana anzi al Vaticano ci ripete che il di più viene dal demonio.

Se Cattelan farà un murale con le detenute, giù il cappello. Ma se invece il suo intervento sarà qualcosa di più, come dire?, personale e autonomo, allora una domanda ce la facciamo e rispondiamo con la nostra opinione, che in quanto tale è altamente opinabile: cari uomini di Chiesa, avete già sbagliato una volta con il Concilio Vaticano II, con le chitarre e i tamburi nelle chiese, il volgare al posto del latino, l’ostensione al pubblico del volto del prete anziché le spalle, cancellando così il mistero della Fede. Ora ci pare che vogliate fare i modernisti, ma non è che i curators del padiglione del Vaticano, invitando il Gianburrasca dell’arte in odor di blasfemia, hanno voluto fare una spacconata come Paul Newman nell’omonimo film?

Se la Chiesa voleva stare al passo con i tempi, poteva scegliere un altro artista, perché a noi pare che i due curators del Padiglione del Vaticano con Cattelan siano arrivati un po’ lunghetti, visto che è dagli anni Novanta che ci mena il torrone. 

Maurizio Cattelan, La Nona Ora, 1999.

Non doveva andare in pensione 13 anni fa? Come gli AC/DC, quando nel 2008 dissero che basta, quello era il loro ultimo album, giurin giuretta. E infatti. Poi Cattelan non lo abbiamo visto ai giardinetti a leggere il giornale o a guardare i cantieri come un umarell, ma dalla mostra “Shit and Die” ad Artissima al Cesso d’oro al Guggenheim di N.Y. alla retrospettiva alla Monnaie de Paris fino alla mostra nella fabbrica chic Hangar Bicocca a Milano è stato tutto un rollercoaster su e giù dalle mostre. La pensione? Una zingarata come le sue stesse opere: “Io in pensione? Annuncio utile per continuare a lavorare”, aveva detto a Dagospia, più informata di Flash Art che scoprì Cattelan (era la fine degli anni Ottanta bellezza, e lui e Rudolf Stingel e un certo Francesco Bonami che allora faceva l’artista erano i cavalieri che poi avrebbero fatto l’impresa, cioè piaccia o no rappresentare insieme a pochi altri l’Italia dell’arte contemporanea fuori dai confini patrii). 

Ma chissà, forse ancora una volta ci sorprenderà. Forse accettando l’invito ci ha voluto fare un altro scherzo da prete. Anzi, dai preti. Intanto ce ne stiamo zitti e buoni.

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