Avere vent’anni nel 2024, che generazione è mai questa? Il dibattito è aperto

Gianluca Marziani ha aperto, sulle pagine di questo magazine, la strada per una riflessione sul rapporto tra la generazione dei ragazzi che oggi hanno 20 anni o poco più (quella che i media hanno ribattezzato “Generazione Z”), e quelle che l’hanno preceduta. L’ha fatto a caldo, con l’intelligenza, la lucidità, la passione e anche la generosità che lo ha sempre contraddistinto, di fronte al dramma di una perdita drammatica e ineluttabile: quella del figlio, Bernardo, 20 anni, studente, modello e “amorista” (così lo ha definito il padre, per la capacità che aveva di dare e far sbocciare amore in tutti quelli che lo hanno incontrato e conosciuto). Il sasso è stato lanciato, e noi, sempre dalle colonne di questo giornale, vogliamo provare a rilanciarlo, a farlo crescere, germogliare, moltiplicare, per arrivare a parlare, a capire, a confrontarci senza steccati e senza rete. Tutti insieme, giovani e meno giovani, per stimolare un dibattito vero, aperto, ampio, pluraole, in cui ciascuno con il suo sguardo, la sua conoscenza, la sua storia, la sua sensibilità può dare un apporto alla comprensione, alla discussione e alla riflessione collettiva.

Che generazione è questa, dei ragazzi che hanno oggi 20, 22, 25 anni? Gianluca, dalle vette della sua irreparabile perdita, dalla vicinanza del suo formidabile rapporto con il figlio Bernardo, ci ha mandato una riflessione, uno spunto: no, non è la “generazione smatphone“, la generazione disimpegnata, viziata o superficiale, come recitano troppo spesso i giornaloni nelle loro inchieste periodiche, non è la generazione che ascolta i testi sessisti della trap senza battere ciglio né quella dei “mammoni” ai quali fa comodo rimanere in casa a ciondolare fino ai 30 anni. Con tutte le diversità, i percorsi, le complessità dei singoli, è una generazione libera di ragazzi che “cercano un nuovo linguaggio, fatto di nuovi modi e rinnovati metodi“, ci dice Marziani. Ma il problema, forse, siamo noi: “il problema risiede tutto nell’incomprensione dei “vecchi” davanti ad un colore finora sconosciuto“.

Da questa settimana, noi di Artuu cercheremo di far tesoro delle parole di Gianluca e di aprire le nostre porte al dibattito. Aspettiamo le vostre voci, le voci dei “vecchi” ma anche e soprattutto quelle dei ragazzi. Allertiamo i nostri sensori, drizziamo le nostre antenne, apriamo le nostre orecchie per sentire, per imparare, per ragionare, per migliorare, per crescere. Anche noi, che giovani non lo siamo più da un pezzo.

In questo primo intervento, abbiamo dato la parola a Giovanna Lacedra, artista, performer e insegnante di storia dell’arte in un liceo.

Generazione Z: la grazia di una libertà che non sappiamo riconoscere

by Giovanna Lacedra

Chi sono i ventenni di oggi? In cosa sono diversi dai ragazzi che siamo stati? Per quale ragione, da adulti over quaranta e cinquanta, tendiamo ad essere tanto giudicanti nei loro confronti? Abbiamo forse scordato cosa significhi avere diciotto o vent’anni? Oppure i filtri con cui li osserviamo e ascoltiamo ci privano della possibilità di conoscerli realmente?

Dario Maglionico, Reificazione, olio su tela, 2023, cm 140×200.

Probabilmente temiamo il nuovo, come chiunque invecchi ancorandosi ai propri modelli, o magari non siamo preparati ad accogliere una generazione che è, per sua natura, decisamente più libera e rispettosa delle differenze e dell’alterità, di come un tempo era la nostra.

Io non sono madre. Ho perso un figlio ventiquattro anni fa. E non saprò mai cosa significhi essere genitore. Quel figlio non ho potuto conoscerlo, educarlo, crescerlo, saperlo libero. Non ho potuto meravigliarmi. E resto un non-genitore che non comprende quei genitori intenti a forgiare il proprio figlio o la propria figlia ad immagine e somiglianza di un ideale o di una aspettativa. I figli sono persone, esseri umani, creature, non panetti di argilla.

Romina Bassu, Classe.

Ce lo insegna, con una lezione di vita che sembra uno schiaffo, un padre che ha appena perduto il proprio figlio: Gianluca Marziani (Gianluca Marziani: “Nel nome del mio Berni, l’Amorista, vi dico che i ragazzi oggi sono liberi, meravigliosi, i soli e veri rivoluzionari). L’incredibile, straordinaria forza del suo amore maturo sta operando un’autentica rivoluzione: attraverso lo strumento mediatico dei social, sta trasformando la più drammatica delle perdite in un’occasione per riflettere, profondamente, sul cambiamento dei ragazzi, su questa nuova generazione che forse non siamo capaci di comprendere.

Gianluca Marziani sta letteralmente ribaltando il concetto di lutto insieme a quello di genitorialità, e ci sta chiedendo di fermarci, di sabotare la nostra inclinazione al preconcetto e osservare, piuttosto, i ragazzi per ciò che sono, e ascoltarli, piuttosto, perché tanto hanno da dirci e insegnarci.

Daniele Galliano.

Non sono diventata madre ma sono una docente, e con i liceali ci trascorro circa il cinquanta per cento delle mie giornate. Dunque, per vie traverse, ma sempre piuttosto dirette, ho il privilegio di avvicinarmi alla loro visione del mondo. E vi garantisco che è estremamente affascinante. Insegno da vent’anni. Insegno storia dell’arte. Insegno la grazia e la potenza dell’eterna bellezza, insegno ad avere occhi e cuore per guardarla. E insegno – o tento di insegnare – ad amare e a meravigliarsi di tutto quanto è stato progettato e creato dal genio umano. Cerco di offrire strumenti che mediante una particolare attenzione all’estetica portino ad una sempre più profonda introspezione.

Lo stupore è tutto. Lo stupore può impedirci di invecchiare. Sapersi stupire dinanzi alla bellezza, ad ogni età, resta il vero prodigio di sempre. E finchè si è capaci di provare stupore si è capaci di provare amore. Gianluca Marziani definisce suo figlio un “amorista”. Non credo possa esistere definizione più bella e commovente. L’amore è estensione e crescita. Ed è sempre accoglienza dell’altrui unicità.

Agnese Guido, Allegoria dell’acqua, 2023, Gouache su carta di cotone, cm 165×140 (courtesy Wizard Gallery).

Ci comportiamo da vecchi quando vogliamo costringere i ragazzi a comprendere e parlare la nostra lingua senza voler imparare la loro. Ci comportiamo da vecchi quando siamo inflessibili e giudicanti. Siamo vecchi, sì, tutte le volte che non comprendiamo e non accogliamo un adolescente, preferendo alla sua autenticità le nostre etichette.

Per lavoro, incontro moltissimi genitori. Parlo con loro. Li osservo, li ascolto, e spesso mi dispiaccio di come siano fortemente ancorati ad un’ideale di figlio perfetto che non può e non deve corrispondere al figlio reale. I figli, come dice Gianluca, sono puramente esseri umani. E nessun genitore dovrebbe mai tentare di trasformare il proprio figlio nel ragazzo che ha sognato o immaginato. Mi capita di incontrare sempre più genitori pretenziosi con i propri figli, iperprotettivi, poco avvezzi ad educarli all’autonomia e all’indipendenza, poco portati ad accettarli per ciò che sono. Genitori che allevano alla competizione, alla perfezione, all’apparenza. Genitori che mettono i propri figli in vetrina per sentirsi migliori. Eppure, come scrive Gianluca, “esiste una meravigliosa generazione di cui non comprendiamo il linguaggio per la sordità del rumore sovrastante, per la mancanza di un cambio paradigmatico nei codici educativi, per la dissonanza tra insegnamenti e vita pratica”.

Ciò che va trasformato, credo, è il nostro sguardo su di loro. A scuola come a casa. Un genitore che sa vedere, nel proprio figlio, non una prosecuzione di sé ma una creatura altra, un altro “essere umano”, a cui insegnare la libertà, ha davvero compreso quale sia il proprio ruolo.

Michelangelo Buonarroti, Pietà, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano.

Oggi, a pochi giorni dalla morte di suo figlio ventenne, Gianluca Marziani si definisce figlio di suo figlio Bernardo, facendo proprie le parole che San Bernardo da Chiaravalle, nel trentatreesimo ed ultimo Canto del Paradiso, utilizza per rivolgersi a Maria nell’Empireo: “Vergine madre, Figlia del tuo figlio…”. Versi, questi, che Michelangelo Buonarroti trasporrà nel marmo di Carrara quando, a soli ventitré anni, scolpirà la sua prima Pietà: l’iconografia di una madre che accoglie tra le braccia il corpo senza vita del proprio figlio. E da genitore che ama oltre ogni limite, non piange, non grida, non si dispera. Resta, anzi, salda nella grazia composta del suo dolore e con la mano sinistra ci invita a guardare quel figlio dagli occhi ormai chiusi, morto per salvare l’umanità. Perché di fatto, nella Pietà Vaticana, Maria non è che un genitore in grado di accettare la perdita del proprio figlio, consapevole del dono ricevuto.

in copertina: Greta Ferretti, Senza titolo, 2019, olio su tela, cm 180×130 (particolare).

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