Carutti e Tanaka, alla Galleria Rubin un’ecologia del vedere a tema femminile

Il titolo riprende una frase dell’opera più famosa di Johann Wolfgang von Goethe, il Faust, che recita: “Tutto ciò che passa non è che un simbolo, L’imperfetto qui si completa, l’ineffabile è qui realtà, l’eterno femminino ci attira in alto accanto a sé”. È la mostra esposta alla Galleria Rubin di Milano, inaugurata il 23 maggio.

In esposizione, la voglia di due giovani artiste – Elisa Carutti, milanese, classe 1991 e Miho Tanaka, giapponese, classe 1998 – di rappresentare “quella forza intrinseca all’anima femminile che porta a una visione ‘intera’ e muove la coscienza alla realizzazione delle sue potenzialità: creative, intellettive, emotive”.

Elisa Carutti non è nuova a esposizioni nella Galleria Rubin, avendo già partecipato a una mostra in occasione della collettiva Trilogia della natura del 2021. Al contrario, per Miho Tanaka è la prima mostra lì. Le due hanno trovato immediatamente più di un punto di contatto.

CARUTTI DERIVA34, 2022, 130 x 90 cm (framed,) aquatint and oxidised-

L’obiettivo dell’esposizione è proporre una “ecologia del vedere”, offrendo al pubblico la possibilità di rapportarsi con uno sguardo femminile e, allo stesso tempo, profondamente universale, capace di spingere uomini e donne a riavvicinarsi al senso intimo delle cose, oltre lo spreco e oltre l’usura.

Elisa Carutti, pittrice e amante della grafica, a cui si approccia con interesse costante, dinamicità e capacità di sperimentazione, porta in scena una selezione di opere grafiche realizzate con ripetuti passaggi al torchio e utilizzando come matrici svariati pezzi di lastre metalliche. I risultati di questa tecnica sono opere composte da frammenti di vari colori, che si incontrano, scontrano e incastrano, generando un’inaspettata sensazione di armonia.

CARUTTI, DERIVA26, 2022, 75×55 cm (framed), aquatint and oxidised copper on paper unique piece

L’origine delle sue immagini e la scelta di procedere secondo questa modalità sono dettate da un episodio che racconta la stessa autrice: il rinvenimento, più di dieci anni fa, girovagando tra le bancarelle di un mercatino delle pulci a Parigi, di alcune fotografie in bianco e nero. Immortalate, c’erano “le macerie delle città francesi di Senlis e Soissons, distrutte dai bombardamenti durante la Grande Guerra, una circostanza che sentiamo drammaticamente attuale”. Sulla stampa, rimane ancora tutto come in quelle fotografie che qualcuno, soffrendo, o forse nel tentativo e desiderio di liberarsene per sempre, aveva lasciato andare, abbandonandole in qualche vecchia casa e buttandole via durante un trasloco, tra le cose che non vale la pena di portare via. O che è meglio non ricordare. L’autrice compie il percorso inverso, riportando in vita materiali, ricordi e sensazioni, lasciando intendere quanto di prezioso si possa ricavare dalla memoria.

Ancora frantumi e schegge nelle opere di Miho Tanaka, scultrice nata a Yamanashi, in Giappone, e residente a Napoli. In mostra, porta due suoi lavori: Frammenti di città, un’opera composta da frammenti – come suggerisce il titolo – di ceramica e pietra, e Coriandoli saluti, un fondo bianco su cui si dispongono quasi impercettibili linee di coriandoli.

Nella sua attività, l’artista si concentra sul lavoro della pietra, materiale che la incuriosisce e che ama “studiare” da vicino, utilizzandolo nelle sue opere, combinandolo con resti di mattonelle raccolti per strada e conservati nel corso degli anni. Questi, custoditi come un bene prezioso, vengono incastonati nella “loro” pietra. La quale, mai uguale, viene scelta “secondo criteri di armonizzazione o discordanza cromatica, formale, materiale”.

Nulla è lasciato al caso e l’artista dimostra che dagli scarti si può ripartire e ciò che si abbandona o viene trascurato può essere portatore di nuova vita, con spirito di iniziativa e volontà di rigenerazione. La tecnica utilizzata da Miho Tanaka ricorda la pratica del Kintsugi, letteralmente “riparare con l’oro”, diffusasi in Giappone alla fine del 1400, che consisteva nell’utilizzare l’oro per rimettere insieme i frammenti di un oggetto di ceramica rotto, come un vaso o un recipiente. Anche lo street artist Ememem, in epoca più recente, ha utilizzato una tecnica simile per riparare le buche nelle strade d’Europa.

In entrambe le artiste, l’idea che anticipa il momento della creazione dell’opera è quella del “recupero”. Di offrire, cioè, ad oggetti abbandonati, smontati e privi di destinazione la possibilità di una nuova via, che conduca ad altro, oltre il passato e oltre il tempo che avanza. Dai frammenti più insignificanti nascono spunti di innovazione, originalità e intraprendenza, metafora di quanto sia necessario, in ogni occasione, trovare un modo sempre diverso di rapportarsi alla realtà, anche quando tutto sembra perduto.

Un abbandono o una rottura, materialmente visibili in pietre e nelle ceramiche, possono essere il punto di partenza per ricostruire e, perché no?, ricostruirsi, unendosi a ulteriori frammenti, anch’essi abbandonati e rotti, ma non per questo privi di valore e di futuro.

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