Kuril Chto e l’universalizzazione del quotidiano

Un unico blocco di propilene, nessun assemblaggio, impermeabile e incredibile leggerezza.

La sedia Monobloc è presente nel mercato del design dalla fine degli anni ’60 e ha spopolato in tutto il mondo per la sua praticità, dai giardini privati a quelli pubblici, dai bar alle pizzerie, dalle spiagge ai cineforum, comprese conferenze ed eventi all’aperto. Milioni di esemplari sono stati realizzati in tutto il mondo tanto da aver raggiunto l’ubiquità, diventando la sedia di design industriale più diffusa sul pianeta.

A partire dall’operazione Dada di Marcel Duchamp con il ready-made, sappiamo come l’arte possa risiedere nei luoghi più inaspettati e negli oggetti più comuni della vita quotidiana. Kuril Chto, un artista che trasforma l’ordinario in straordinario, ha recentemente portato l’attenzione proprio sull’iconica sedia Monobloc. 

photo credits Ivan Erofeev

Il giovane artista russo, emigrato dalla sua terra di origine ormai da tempo, ha appena concluso un master presso la New York Academy of Art e sta già lavorando alla prossima personale in America. Da San Pietroburgo a Lisbona, passando per New York, Kuril Chto ha vissuto e lavorato in molte città del mondo, cogliendo ispirazione da ogni angolo della Terra. 

La sua ultima mostra personale, UNDER JOVE’S PROTECTION, curata da Valentin Diakonov e promossa dalla Bahnhof Gallery, è ospitata presso lo spazio Kunst Depot ‘Parrucche ai Biri’ nel sestiere di Cannaregio a Venezia.

Inserita nella cornice della 60ma Biennale d’Arte, la mostra rientra perfettamente nel tema di quest’anno ispirato dalla riflessione sulla migrazione e l’identità, offrendo un’ulteriore punto di vista sui valori di accoglienza e ospitalità, spesso vengono trascurati nella narrazione di questi fenomeni. L’installazione della sedia Monobloc vuole essere una riflessione su quelle figure che solitamente, nella descrizione del nomade e dello straniero, sono spesso assenti.

Lo spazio del Kunst Depot è stato trasformato quindi in una spiaggia immaginaria, con tavoli e ombrelloni a disposizione dei visitatori per prendersi una pausa dalla frenesia della Biennale. Un luogo di riposo universale, accessibile a tutti. L’ installazione, chiamata Cafe Migration, mira a creare un senso di comunità e appartenenza attraverso un simbolo semplice ma potente.

Kuril Chto, Migration Cafe, photo credits Ivan Erofeev

Sono esposte in mostra anche delle rappresentazioni pittoriche delle sedie, con il distintivo colore blu di Yves Klein, insieme a sculture in bronzo raffiguranti le sedie stesse e minuscoli ciondoli sempre con le sembianze della Monobloc ma in argento. 

Attraverso la sua ricerca artistica, Kuril Chto offre uno sguardo profondo e riflessivo sulla natura umana e sulla nostra connessione con il concetto di “casa”. La sedia Monobloc, familiare in ogni paese e cultura, rappresenta quindi un punto di incontro universale, con un sapore che l’artista associa al sentimento della “saudade”. È un simbolo di riunione e conforto, una costante presenza che si trova in luoghi remoti e cosmopoliti, abbattendo confini e unendo le persone.

Il colore blu di Yves Klein è stato scelto nelle rappresentazioni pittoriche e scultoree delle sedie come simbolo di pacificazione e calma. Il blu, come colore dell’acqua e del cielo, offre un senso di stabilità e serenità in un mondo in costante cambiamento.

Attraverso una breve intervista, Kuril racconta di sé, del suo lavoro e fa qualche riflessione su questa edizione della Biennale d’Arte.

Kuril Chto, portrait, photo credits Ivan Erofeev

Qual è stata la tua ispirazione dietro l’installazione della sedia Monobloc come simbolo di “essere sempre a casa”?

Lavoro frequentemente con oggetti quotidiani, come uno stendibiancheria, una tavola da stiro e una lavatrice. Gli oggetti che di solito non notiamo nella vita quotidiana possono raccontare molto su di essa nel modo più accurato possibile. La sedia Monobloc è uno dei pezzi di arredamento più popolari che si possono incontrare in tutto il mondo, in ogni paese è familiare e comprensibile per tutti.

Questa sedia è così economica che le persone di solito la posizionano in aree dove ci si può sedere e riposare. Spesso ho trovato queste sedie all’ombra di un albero o in un luogo pittoresco da qualche parte nella foresta o nel campo e allo stesso tempo offrono l’opportunità a molti di riunirsi. Un simbolo semplice e chiaro, come una sorta di stazione di servizio lungo la strada o in un caffè in spiaggia e un luogo di riposo. Quegli ombrelloni e tavoli sono come i caffè appaiono in ogni angolo del mondo e questa sedia è dunque un simbolo comprensibile per tutti. Rompe i confini tra paesi e nazioni poiché la si può incontrare in qualsiasi area remota del pianeta con un’immagine molto universale. 

Kuril Chto, Silver Chairs, photo credits Ivan Erofeev

A San Pietroburgo, hai fondato SAM – Street Art Museum nel 2012, il primo museo al mondo dedicato all’arte di strada, un’arte caratterizzata dalla libera espressione. Cosa ti ha spinto a passare dall’arte di strada alla pittura e all’installazione?

Consideravo l’arte di strada come qualcosa di libero, autentico e vivo, ecco perché ne ero affascinato.  Per molti anni ho gestito il museo e ho realizzato mostre come curatore. Tuttavia alla fine la mia opinione sull’arte di strada è gradualmente cambiata nel senso opposto poiché nell’arte contemporanea sono iniziati a sorgere problemi e domande importanti rispetto a questa forma artistica. Mentre lavoravo al museo posso dire di aver perso interesse nell’arte di strada come genere.

Hai visto questa edizione della Biennale? Vorresti condividere le tue prime impressioni su ciò che ti ha colpito di più e cosa critichi? C’è stato un particolare lavoro che hai sentito particolarmente risuonasse con te?

Venuto a conoscenza del tema della Biennale durante l’annuncio del curatore, ho capito che era molto rilevante per me poiché sono io stesso un immigrato che ha cambiato un paio di paesi negli ultimi anni. Tuttavia, non ho trovato il collegamento della mia esperienza personale come immigrato con la mostra principale alla Biennale. C’erano però alcuni progetti interessanti nei Padiglioni Nazionali. Sono stato sorpreso e felice di aver visto la sedia Monobloc come parte di un’installazione nei tre Padiglioni Nazionali della Grecia, dei Paesi Bassi e della Serbia.

Kuril Chto, exhibition, photo credits Ivan Erofeev

Il titolo della Biennale d’Arte di quest’anno è “Stranieri ovunque”. Sei russo, ora vivi a Lisbona e studi a New York dopo aver viaggiato molto. Ti sei mai sentito come un estraneo e, in caso affermativo, dove e in quale occasione?

In primo luogo, mi sono sentito come un estraneo anche vivendo in Russia. Per tutta la mia vita ho sognato di partire: si è scoperto poi che non sarebbe stata la prima volta. Ora vivendo in paesi diversi, non mi sento mai come un locale e nessuno pensa che lo sia, ma allo stesso tempo mi sento a casa perché ho incontrato così tante persone premurose, gentili e piacevoli che sono sempre pronte ad aiutare.

Con una mostra che trasuda accoglienza e familiarità, Kuril Chto continua a esplorare nuove forme di espressione artistica con un linguaggio che si pone come ponte tra le culture e un richiamo alla comprensione e alla fratellanza. 

Under Jove’s Protection è visibile al pubblico fino al 17 maggio. 

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