Un amore lungo una guerra. Robert Capa e Gerda Taro in mostra a Torino

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Tutto ciò che distrugge ammette la sua esatta antitesi fisica e ideale: creare con una forza altrettanto propulsiva. L’esperienza di assoluto annientamento prevista dalle guerre, però, è anche il mezzo attraverso il quale la storia umana è giunta a formulare visioni moralmente irripetibili e quindi atteggiamenti verso il mondo che abbiamo – a diversi livelli di cultura – interiorizzati e resi progetto politico e d’altra parte familiare. All’incerto culmine della parabola bellica più devastante che l’uomo abbia finora conosciuto e che tutti i mondi ha divorati, hanno vissuto l’uno per l’altra ma ognuno per sé due spiriti generosi, rovinosamente caduti nell’esercizio della loro arte: la fotografia e più nobilmente quella di guerra, che si fa strada nella speranza della manifestazione civile come nella catastrofe del fronte e della morte, dai due amanti costantemente sfiorata e che non si sono astenuti dal ritrarre.

SPAIN. Gerda TARO on the Spanish front at Guadalajara in 1937 not long before she was killed.

Compresa tra i poli del desiderio di vivere e del senso della fine, dunque, si estende la bellissima retrospettiva allestita presso il CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino che racconta, in 120 scatti, uno dei momenti cruciali della storia del XX secolo, quella Guerra civile spagnola balzata agli oneri della cronaca anche per il suo essere la prima guerra “fotografica” della storia: sono gli anni in cui troviamo in commercio le prime macchine “compatte”, grazie alle quali tanti intellettuali e artisti intraprendono la prima significativa e convinta opera di documentazione della tragedia dei conflitti, fino ad allora relegati alle sbiadite e ripetitive pagine dei quotidiani.

Fred Stein_Gerda Taro and Robert Capa_Cafe de Dome, Paris, 1936

Fra questi attivisti compaiono anche Gerda Taro e Robert Capa, tedesca una e ungherese l’altro, nati Gerta Pohorylle e Endre Friedmann, in mostra al CAMERA fino al 2 giugno 2024. Curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi e inaugurata il 14 febbraio, proprio nel giorno di San Valentino e degli innamorati, l’esposizione ripercorre il breve ma intenso rapporto lavorativo e sentimentale di due dei più influenti fotografi del Novecento, organizzandosi secondo i filoni principali del loro percorso di vita, altrettante dimensioni dell’umano che hanno potuto scandagliare con i loro obiettivi: la socialità individuale e collettiva della guerra, le sue più truci declinazioni e nient’altro che la loro intimità interpersonale: quei momenti di stasi che il conflitto consente, come il solo indugiare in compagnia dell’amico fraterno di entrambi David Seymour, altrettanto formidabile fotografo e co-fondatore, assieme a Capa, Cartier-Bresson, Rodger e Vandivert, di Magnum Photos. D’altra parte, dei tre è presente nell’allestimento il miglior ricordo: i negativi contenuti nella celebre “valigia messicana”, ritrovata in Messico nel 1995 e straordinaria testimonianza della complessità del fotogiornalismo di guerra. 

© Nicolò Atzori

Se l’incontro fra i due, avvenuto a Parigi nel 1934, guadagnò a Gerda la statura di fotografa professionista, che fu effettivamente Robert a introdurre nell’ambiente, la di lei capacità di lettura e individuazione del fatto fotografico e del frangente degno di venire restituito sembrò semplicemente doversi manifestare, latente in una sensibilità che forse definiremmo femminile e che consentì alla Taro di soffermarsi sugli spicchi di mondo la cui grazia la guerra pretende di annientare.

Iconico, in tal senso, fu lo scatto realizzato da Gerda Taro all’arrivo in Spagna, quando nel 1936 cominciò, per conto della rivista Vu, l’attività di documentazione della crisi sociale immortalando, nei pressi di Barcellona, una miliziana repubblicana durante un addestramento in spiaggia, con pistola puntata e tacchi; insieme schema motorio e postura ideologica, quell’attimo restituì ai posteri tutta la dignità femminile nella guerra, evento superficialmente avocato ai morituri maschi. Fu Capa a incontrare uno di questi, un soldato repubblicano, e a fissarlo per sempre col suo obiettivo nell’attimo esatto in cui viene colpito a morte dai franchisti nel fronte di Cordova. Dirà di quella foto: 

“Ho scattato la foto in Andalusia mentre ero in trincea con 20 soldati repubblicani, avevano in mano dei vecchi fucili e morivano ogni minuto […] ho messo la macchina fotografica sopra la mia testa e senza guardare ho fotografato un soldato mentre si spostava sopra la trincea, questo è tutto. Non ho sviluppato subito le foto, le ho spedite assieme a tante altre. Sono stato in Spagna per tre mesi e al mio ritorno ero un fotografo famoso, perché la macchina fotografica che avevo sopra la mia testa aveva catturato un uomo nel momento in cui gli sparavano. Si diceva che fosse la miglior foto che avessi mai scattato, ed io non l’avevo nemmeno inquadrata nel mirino perché avevo la macchina fotografica sopra la testa” 

SPAIN. Catalonia. Spanish Civil War (1936-9) ICP 123.Barcelona. August, 1936. Bidding farewell before getting on a military train directed to the Aragon front.

Robert le sopravvisse. Gerda Taro se ne andò il 26 luglio del 1937 in un ospedale da campo a El Escorial, dopo che rimase coinvolta in una drammatica ritirata fra Villanueva de la Cañada e Brunete, teatro di battaglia. Lui, nel frattempo distante perché a Parigi, dove frequentemente i due si recavano per i legami professionali e affettivi che alla città li connettevano, seppe nella sala d’attesa del dentista che la sua relazione di carne e sospiri si fosse bruscamente conclusa. L’amore, invece, non trovò mai fine, e fu Capa a proseguire l’intenso percorso conoscitivo inaugurato e nutrito insieme negli anni spagnoli e francesi sospesi fra la precarietà dell’esserci e la certezza della passione; risale al 1938 il libro Death in the making, ch’egli dedica a Gerda e nel quale sono presenti gli scatti di entrambi, oltreché del fraterno amico e collega David Seymour, che nel 1956 condividerà lo stesso destino dei due amanti.

© Nicolò Atzori

Due anni prima, infatti, durante la guerra d’Indocina, Robert rimase brutalmente ucciso calpestando una mina. Lui e Gerda Taro, insomma, hanno vissuto nella guerra come la guerra ha vissuto in loro portandoli ad anelare alla morte come sua riprova, che se li prese senza troppi convenevoli; a morire, potremmo dire, di verità, quella che perseverarono nel regalarci in ogni sua forma, eclatante o scontata, fino alla fine dei loro giorni. Così Robert Capa concluse quelle precedenti parole sul suo celebre scatto: 

Non era necessario nessun trucco per fare delle foto in Spagna. Bastava sistemare la macchina fotografica. Le foto erano lì e si doveva solo scattare. La verità era la migliore immagine, la migliore propaganda. (Robert Capa)

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