Corrado Veneziano: “Mi sono subito innamorato di Puccini”

A cento anni dalla scomparsa di Giacomo Puccini, Corrado Veneziano presenta “Visse d’Arte“, una mostra dedicata al noto compositore lucchese che sarà visibile al Museo degli strumenti musicali di Roma fino al 23 giugno, a cura di  Francesca Barbi Marinetti, Cinzia Guido e Sonia Martone.

Corrado Veneziano, artista duttile e versatile, già impegnato nella stesura di saggi su teatro e linguistica, nelle opere esposte, tutte a olio, esalta la forte tensione figurativa del compositore, creando un dialogo aperto con le note del pentagramma. I luoghi iconici e i personaggi di alcuni capolavori assoluti di Puccini, come Tosca, Turandot, Manon, Suor Angelica, La Fanciulla del West, Madama Butterfly prendono vita e ci trasportano nel magico mondo dell’opera lirica.

Ad arricchire l’atmosfera e a dare maggiore spessore all’esperienza, una serie di concerti ed eventi a tema, aperti al pubblico. Il museo degli strumenti musicali di Roma, nato grazie al lascito della importante collezione di strumenti musicali del tenore Gennaro Evangelista Gorga (1865-1957), pare essere lo sfondo e il palcoscenico migliore per ridare vita e forma al repertorio pucciniano. Il benefattore Gorga abbandonò la sua brillante carriera, profondamente legata alla figura di Puccini, per dedicare la sua vita e il suo patrimonio al collezionismo. La sua ultima comparsa in pubblico fu proprio Rodolfo nella prima rappresentazione de La Boheme. Le opere di Veneziano dialogano con gli strumenti musicali esposti al museo, creando un doppio filo narrativo all’interno del quale si colloca perfettamente la suggestiva storia del tenore. 

Perché ha scelto Puccini? Cosa glielo fa sentire vicino alla sua sensibilità di artista?

La mostra è l’unica patrocinata dal Ministero dei ministri e io ne sono molto lusingato. Io ho pensato al progetto. Ci sono arrivato preparato, avevo ricevuto richiesta di fare mostre su Marconi e Raffaello ma non era scattato il feeling. Non sono riuscito ad innamorarmi di loro. Di Puccini invece ci sono riuscito subito. Io faccio l’artista, mi piace e mi innamoro delle cose. Su Puccini mi sono alfabetizzato, ho letto, studiato; allora, dato che c’erano bandi per il suo centenario dalla morte, ho presentato il progetto, corredato di disegni. Devo dire che è stata una scelta vincente, adesso mi stanno chiamando in Marocco, Belgio, Stati Uniti, e Qatar.

Ha detto che ha preparato lei il progetto, come ha suddiviso la mostra?

La mostra è divisa in tre parti. Puccini ha composto dodici opere, io le ho prese tutte e le ho realizzate in verticale, tutte della stessa misura, riprendendo in maniera fedelissima l’incipit, il pentagramma, le note musicali e un elemento figurativo. La dimensione figurativa era fondamentale. 

Per le altre dodici ho immaginato lo scrittore di fronte alla pagina bianca. Mi sono immaginato Puccini con la penna in mano prima di comporre un’opera. Che fa? Ho pensato ad un aggettivo cromatico. E’ musicale ma anche pittorico. Quindi dodici quadri dedicati alla preparazione di ogni opera lirica, ognuno con un colore ben preciso. Nessuna figurazione. Solo suggestioni di natura visiva cromatica. Infine le ultime sei, di cui due sono libertà mie, quattro hanno un legame. Due dedicate alla Divina Commedia e due alla Bibbia. 

PAOLO E FRANCESCA, Olio su tela, cm 60 x 80

Lui dice di non andare in giro senza questi due libri e di saperne a memoria ampi stralci. 

Sì, in una lettera cerca di bacchettare l’autore della Fanciulla del west perché inserisca una precisa frase dell’episodio di Paolo e Francesca. 

E le ultime due, l’Ulivo e l’Antisilisca, da cosa sono scaturite?

L’ulivo perché lui era un grande amante della cucina, scrive ricette e io, una sera avevo a cena il vice ministro e altre persone, mia moglie non c’era e ne ho fatta una. Ho fatto due chili di ceci. Era eccezionale. Mi hanno rincorso. Quindi lui cucina e l’olio è la cosa più importante. L’Ulivo è dedicato alla cucina e al Mediterraneo. L’Antisilisca è una mia suggestione con un fondamento. Puccini parla di una Antilisca, che riprende il concetto di basilisca, della chimera che guarda e la persona guardata rimane pietrificata. Spesso racconta agli amici che nella tenuta di Torre del lago ci fosse un uccello a forma di donna, terrorizzandoli.

Perché la sua Antisilisca ha il viso di Giuditta di Klimt?

Klimt era molto sensibile alla musica. Fa un quadro intitolato proprio “La musica”. Klimt è molto legato alla musica e Puccini molto alla pittura. Compra anche quadri italiani. Ecco che ho messo insieme questa felice coincidenza e ho messo il volto della donna di Klimt a legarli insieme. 

INCIPIT ANTICO TESTAMENTO, Olio su tela, cm 80 x 150

Ha una mente creativa molto ampia, è passato con estrema facilità dal linguaggio teatrale a quello pittorico. Come è avvenuto il passaggio?

Si è trattato di un autentico colpo di fortuna. In realtà con il teatro avevo già da tempo allentato l’amore fortissimo con cui l’avevo attraversato: teatro e nient’altro dai 18 fino ai 30 anni, e poi (anche per motivi familiari; l’arrivo della seconda figlia) la forte attenuazione di questo rapporto e la ricerca di una professione più stabile. Ho ripescato i miei titoli di studio (laurea, abilitazioni) per avviare la carriera di insegnamento. E insomma ho provato a consegnarmi allo studio e alla ricerca.  Non sono mai stato titolare di cattedra universitaria (all’inizio ci ho provato ma non è scattato il feeling), ma ho insegnato per molto tempo all’Accademia nazionale di teatro Silvio d’Amico. Comunque, la fortuna vera è stata quella di incontrare per caso Achille Bonito Oliva  e ricevere la sua presentazione (in alcuni punti veramente entusiastica) per la mia prima mostra. Con lui, nella redazione del catalogo c’era anche Marc Augé, che ha scritto testualmente di essere stato “messo in crisi” dai miei quadri, giacché mostravo che anche nei non-luoghi c’era una poesia, un’anima.

LE VILLI, Olio su tela, cm 180 x 100

Poi cos’è successo? 

Era il 2013 e subito dopo (2014) a presentare i miei nuovi lavori pittorici è stato Derrick de Kerckhove.  Anche lui oggettivamente è stato super incoraggiante nei miei confronti giacché ha scritto che i “codici” tecnologici della contemporaneità che io reinterpretavo artisticamente erano “un’apoteosi”. A favorire tutti e tre questi incontri è stato Flavio Alivernini, all’epoca giornalista per La Stampa e collaboratore delle pagine de La Lettura). A Flavio, ancor oggi mi lega un’antica, sincera e solida amicizia.

Nel 2015, cioè due anni dopo il mio debutto (continuo a utilizzare termini teatrali…), la Rai mi chiede un’opera che diventa il logo e l’immagine del Prix Italia. Poi una mostra a Parigi, due a San Pietroburgo,  e nel 2017, ospite ufficiale del Governo cinese per un’ampia personale a Lanzhou. Insomma, da allora in poi le mostre sono diventate più istituzionali e lusinghiere. 

Forse sono stato premiato per una lunga attesa (in cui comunque la tensione artistica non si è fiaccata) o forse le coincidenze sono state particolarmente propizie.  E il caso, in un ambito così fragile (com’è l’arte) può risultare decisivo.

MADAME BUTTERFLY, Olio su tela, cm 180 x 100

Che differenze trova tra il mondo degli attori e quello degli artisti figurativi?

Nel mondo degli attori, lo dico con pudore e un pizzico di dispiacere, c’è la presa d’atto che fare teatro significa credere molto nell’altro, fare teatro è reciprocità, solidarietà, nel senso più bello di comunanza. Ho dovuto però vedere livelli di tradimento umano, anche in accademia, di vigliaccheria, di tendenza al vendersi e al modificare  per convenienza il proprio punto di vista che mi ha molto turbato. La pittura, invece, è più solitudine, il teatro lo devi fare stando con gli altri, essere coeso, sopperire le mancanze dell’altro. Sono per natura incline alla socialità e credo che io non esista da solo se non con l’altro. Nella dimensione del lavoro invece la solitudine mi si addice di più. Potrei anche non essere qui oggi e la mostra andrebbe avanti lo stesso. 

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