Urbino celebra Federico Barocci con una grande mostra

Eccelso interprete della grande tradizione pittorica rinascimentale, importante esponente del Manierismo italiano e sottovalutato precursore del Barocco, Federico Barocci (Urbino 1535 ca. – Urbino 1612) è stato l’ultimo genio della corte urbinate. Discendente di una famiglia di letterati, artisti, scienziati e orologiai di origini lombarde, il pittore nasce nel 1535 ad Urbino, centro culturale che costituirà il centro della sua attività per quasi tutto l’arco della sua vita. 

Federico Barocci, Autoritratto, 1600

Questa duplice educazione umanistica e scientifica è la chiave di volta per comprendere la sua arte, che pur rifacendosi al passato innova composizione, iconografia e colore con una sensibilità destinata a riscuotere successo nel Seicento. La produzione pittorica del Barocci, connotata da una tecnica complessa sospesa tra lirismo e precisione, si inserisce perfettamente nel clima artistico della Controriforma, arricchendosi di continui riferimenti ai grandi maestri come Raffaello e Correggio.

Lo stile elaborato del pittore si deve alla sua formazione iniziata da prima nella bottega di Francesco Menzocchi da Forlì, con cui praticò a lungo il disegno, e in seguito completata presso l’architetto Bartolomeo Genga, zio dell’artista e uomo fidato del Duca di Urbino. Legame che consente a Federico di studiare a Pesaro, dove avrà accesso alle collezione roveresca, che al tempo comprendeva importanti pittori, tra i quali figurava anche Tiziano. Come apprendiamo dalle “Vite” del Bellori, il momento decisivo per l’arte del Barocci arrivò a metà degli anni Cinquanta, quando soggiornò per la prima volta a Roma, ospite dello zio che era maestro di casa del Cardinale Giulio della Rovere. Nell’Urbe il giovane pittore ottenne proprio dal cardinale svariate commissioni, tra cui annoveriamo la splendida “Santa Caterina”, dipinto fortemente ispirato all’omonima opera di Raffaello a Bologna (seppur basata su un incisione di Marcantonio Raimondi). Nonostante i successi, Barocci decise di tornare stabilmente ad Urbino pochi anni dopo, a causa di un debilitante problema di salute, forse dovuto ad un misterioso avvelenamento.

Barocci Federico, La presentazione di Maria al Tempio, Olio su tela, 382×246

Il pittore si allontanò dalla città solo in occasione della decorazione del Casino di Pio IV situato nei Giardini Vaticani, campagna ornamentale realizzata tra il 1565 e il 1566 grazie alla quale ottenne fama internazionale e intrecciò rapporti con Taddeo e Federico Zuccari. Ad Urbino vivrà fino alla morte, sopraggiunta nel 1612, lavorando sotto la protezione del Duca Francesco Maria II Della Rovere. Questo esilio volontario non arrestò la carriera del Barocci, egli riuscì, attraverso i suoi contatti con con il cardinale Della Rovere, a imporsi con audacia come il più considerato, richiesto e pagato autore di quadri sacri della seconda metà del XVI secolo.

Le sue condizioni di salute lo obbligarono ad una proverbiale lentezza di esecuzione, in parte dovuta alla stanchezza e in parte ai meticolosi studi condotti prima della realizzazione di una tela, che comprendevano numerosi bozzetti e cartoni preparatori. L’impressionante mole dei suoi disegni, paragonabile in quantità solo a quella di Leonardo Da Vinci, ribadisce non solo la sua abilità come disegnatore meticoloso e attento a forma e volumi, ma anche la natura della sua educazione artistica e scientifica: perfetta sintesi della cultura umanista che rese celebre il Ducato di Urbino. Il profondo legame di Barocci con il centro urbano, ormai in decadenza e prossimo all’annessione allo Stato Pontificio, si esprime perfettamente nelle importanti commissioni che richiesero la mano del pittore per svariate pale d’altare, avvicinandolo alle correnti legate ai Francescani e ai Cappuccini.

Fuga di Enea da Troia (Roma, Galleria Borghese)

Non sorprendono quindi la gratitudine e l’ammirazione con cui la città di Urbino omaggia l’artista a cui dedica “Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna“, esposizione monografica ospitata per oltre quattro mesi – dal 20 giugno fino al 6 ottobre 2024nelle sontuose sale di Palazzo Ducale. La grande mostra, a cura di Luca Baroni e Giovanni Russo, riporta per la prima volta a Urbino le opere di uno dei suoi concittadini più illustri.

L’iniziativa si colloca all’interno di un percorso di valorizzazione del patrimonio storico-artistico custodito nel museo, comprensivo di restauri, riallestimento della collezione,  interventi di ristrutturazione e ricerca, che hanno interessato il palazzo urbinate e le sue ricche collezioni.

Attraverso un insieme di prestigiosi prestiti provenienti dalle principali sedi museali italiane e internazionali prende forma una collezione che arricchisce la selezione fornita dalla Galleria Nazionale delle Marche. La raccolta comprende in totale 76 opere, disegni e dipinti del Barocci, che riassumono le evoluzioni stilistiche che hanno accompagnato la lunga carriera del pittore marchigiano. Autore, troppo spesso sottovalutato, che per la prima volta verrà raccontato contestualizzando la sua produzione nel panorama artistico del Cinquecento e del primo Seicento. 

Come dichiara il Direttore della Galleria Nazionale delle Marche Luigi Gallo: “Un’ampia mostra monografica illustrerà l’opera di uno dei massimi pittori italiani: Federico Barocci. L’inconsueta scelta dell’artista di restare nella città natale, pur avendo conosciuto i centri maggiori dell’arte italiana, e in particolare Roma, non gli impedì di diventare famosissimo e ottenere importanti committenze da tutta Italia e non solo. Articolata in sezioni tematiche, la mostra ospiterà eccezionali capolavori provenienti dai musei di tutto il mondo e sarà impreziosita da un ampio focus sui disegni dell’artista che dimostreranno lo studio lungo e accurato che precedeva la realizzazione di ogni sua opera”.

I sei nuclei narrativi che compongono la mostra ripercorrono in ordine cronologico l’opera di Federico Barocci, ulteriormente suddivisa per tematiche e scelte iconografiche. Inaugura il percorso espositivo una sala dedicata all’ambiente culturale di provenienza del pittore, indagato tramite due autoritratti, un “Autoritratto giovanile” e un ”Autoritratto senile” (Firenze, Galleria Palatina), seguiti dai ritratti dei membri della corte urbinate, in particolare del principale committente e amico intimo di Barocci: il duca Francesco Maria II Della Rovere (Firenze, Galleria Palatina). I capolavori della ritrattistica baroccesca verranno esposti in dialogo con la nota “Madonna della gatta” (Firenze, Uffizi), celebre tele realizzata per il duca, nella quale è perfettamente riconoscibile il profilo del Palazzo Ducale sullo sfondo, simbolo del legame dell’artista con il borgo natio. 


Procedendo in ordine, nella seconda sala verrà affrontato il tema della composizione delle sue grandi pale d’altare, che presentano un’armonia di figure, volumi, colori e luci coinvolgente e patetica, ma allo stesso tempo rassicurante. Verranno qui studiati gli effetti luminosi e le ambientazioni in notturna, che hanno riformato l’iconografia cinquecentesca arricchendosi di nuovi bagliori cromatici che distinguono alcuni suoi capolavori. Opere tra cui saranno esposte la “Deposizione” eseguita per la cattedrale di San Lorenzo di Perugia, la “Madonna di San Simone” della Galleria Nazionale delle Marche e due splendidi dipinti romani la “Visitazione alla Chiesa Nuova” e “L’istituzione dell’Eucarestia”. 

La terza sala esplora il tema degli affetti, della natura e delle emozioni presentando dei dipinti di piccola dimensione realizzati per la devozione privata, nei quali possiamo apprezzare la premura del Barocci nel restituire i sentimenti intimi e il rapporto tra le figure sacre rappresentate con una naturalezza intrisa di pathos. Manifesti di questa porzione della produzione del pittore sono “Cristo appare alla Maddalena” (Firenze, Uffizi), e la “Madonna delle Ciliege” (Pinacoteca Vaticana), dove elementi di vita comune, colmi di un amore dal sapore familiare, si inseriscono nelle scene sacre restituendo intimità e quotidianità agli eventi biblici accentuati dalle ambientazioni, come avviene nella “Sacra Famiglia del gatto” (National Gallery di Londra), collocata nelle sale del palazzo urbinate.

Dettagli quasi autobiografici che ci portano alla “Madonna di San Giovanni” (Galleria Nazionale delle Marche), dipinta dopo il ritorno da Roma come preghiera per la guarigione, alla “Natività” (Museo del Prado di Madrid), così come al “San Girolamo penitente” e al “San Francesco” della Galleria Borghese, i cui personaggi appaiono immersi nell’estasi e nel paesaggio.

Madonna con bambino e santi (Urbino, GNDM)

Giunti nella quarta sala troveremo di fronte a noi la produzione grafica del Barocci, categoria grazie alla quale possiamo ammirare la continua tensione verso la perfezione assoluta tipica della mano baroccesca, rappresentata da una selezione significativa di disegni, cartoni, incisioni provenienti dalle maggiori raccolte nazionali e internazionali.

Mentre la quinta sala esplora le innovazioni tecniche del Barocci e le sue deviazioni stilistiche dalla maniera attraverso l’illustrazione del processo preparatorio dell’opera finale, esposta accanto a diversi bozzetti e cartoni elaborati per la sua realizzazione. La “Fuga di Enea da Troia” (Roma, Galleria Borghese) viene affiancata al cartone preparatorio conservato al Louvre, permettendo al pubblico italiano di apprezzare l’unica opera a tema mitologico conosciuta dell’autore, nella quale gli elementi stilistici tratti dalla tradizione raffaellesca vengono rielaborati alla luce del sentimento patetico che nutrirà il barocco berniniano. Tela presentata accanto alla “Deposizione di Senigallia”, opera restaurata dallo stesso Barocci nel 1608, esposta insieme al suo bozzetto preparatorio conservato al museo. 

Nella sesta sala saranno disposte le opere risalenti al primo decennio del Seicento, nella quali la maturità del pittore si manifesta nell’uso del colore, che funge da catalizzatore dei sentimenti patetici rincorsi dall’estetica controriformata, caratteristici del barocco italiano e spagnolo, tra cui annoveriamo: la “Beata Michelina” (Pinacoteca Vaticana), la “Madonna del Rosario” (Senigallia), la “Assunzione della Vergine” (Galleria Nazionale delle Marche), e la “Presentazione della Vergine al Tempio” (Roma, Chiesa Nuova).

Nell’ultima tappa dell’itinerario, collocata nell’appartamento roveresco del secondo piano, saranno presentate le opere di carattere sacro, parte più corposa della sua produzione, tra i capolavori presenti è d’obbligo citare: la “Crocifissione con i dolenti”, “San Francesco riceve le stigmate”, la derivazione dal “Perdono di Assisi “ e le due opere in deposito dalla Pinacoteca di Brera alla Galleria Nazionale delle Marche, ovvero la “Madonna col Bambino in gloria con i Santi Giovanni Battista e Francesco” e “Ecce Homo”, portata a termine dall’allievo Ventura Mazza. 

Federico Barocci diventa un ponte di incontro capace di riunire alcune tra le realtà museali più importanti al mondo, che collaborano per restituire gloria ad un maestro pressoché ignorato dalla stragrande maggioranza del pubblico, seppur fondamentale per una completa comprensione del periodo a cavallo tra la maniera e il barocco. Sentimento religioso, colore, disegno, geometria, composizione e ingegno pittorico costituiscono gli ingredienti unici della pittura baroccesca, specchio di un’epoca in bilico tra tradizione classicista e modernità.

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