Chiara Zucchi: “l’apprendimento mi porta ad esplorare nuove strade creative”

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Chiara Zucchi è una di quelle artiste che si muovono nel (continuamente) labile confine tra arte e design, tanto è che lei stessa si definisce “interaction designer”, ovvero una creatrice di interazioni (e relazioni) tra uomo e ambiente. Figlia dell’architetto Cino Zucchi, la sua pratica artistica esplora un vasta area tematica che collega danni ambientali, apprendimento empirico, scienza comportamentale e design critico e speculativo. Con una carriera contraddistinta da opere che sono state accolte da istituzioni prestigiose come la Milan Design Week, la Tate Modern di Londra e il Science Museum il suo lavoro invita l’osservatore a riflettere sulle tematiche ambientali e sociali più pressanti dei nostri tempi.

Recentemente, nell’ambito della terza edizione della fiera d’arte (un)fair 2024, Chiara ha presentato l’opera IN SILVA, un progetto, in collaborazione con Mapei, che testimonia la sua incessante ricerca e l’approccio sperimentale, rivelando una profonda connessione con le questioni ambientali attraverso l’esplorazione di materiali e processi innovativi.

Attraverso questa installazione infatti, Chiara parte da un terreno rimboschito nei pressi di Bologna per iniziare una riflessione tangibile e astratta sul nostro rapporto con l’ambiente. Raccogliendo e catalogando esemplari vegetali autoctoni, poi immortalati in forme di resina, IN SILVA si compone di 24 opere che ricreano la topografia del luogo di origine, comunicando la fragilità e l’importanza dell’equilibrio naturale.

In questa intervista esclusiva, Chiara condivide le ispirazioni dietro la sua pratica artistica, riflette sul ruolo dell’arte e del design nel contesto contemporaneo e discute la necessità di una maggiore sostenibilità nelle nostre città e nella nostra vita quotidiana. Dal suo studio milanese, Chiara collabora attivamente con vari team creativi, portando la sua visione unica e il suo impegno verso soluzioni sostenibili e consapevoli in progetti che vanno dall’art direction al visual, experience e product design.

Scopriamo quindi il pensiero e l’opera di un’artista che, attraverso la sua ricerca e le sue creazioni, si propone come ponte tra la realtà attuale e le possibilità di futuri migliori.

Dal progetto “IN SILVA”, 2024, Ph Catherine Leo

La tua ricerca artistica è interdisciplinare, ma parte sempre dall’apprendimento e dall’esplorazione: in che modo queste due azioni – fondamentali – si combinano nella realizzazione delle tue opere?

Nel processo artistico che da vita alle mie opere, l’apprendimento e l’esplorazione sono sicuramente pilastri fondamentali che si combinano sinergicamente integrandosi in un ciclo continuo. Attraverso l’apprendimento sono in grado comprendere nuove prospettive, tecniche e concetti, sia attraverso lo studio formale che grazie all’assimilazione informale di conoscenze.

Questo può coinvolgere l’approfondimento delle teorie artistiche, l’esplorazione di discipline connesse come filosofia, scienza, storia o la cultura di un luogo, ma anche l’assimilazione di feedback e conoscenze provenienti da confronti diretti e altre fonti. D’altra parte, l’esplorazione da sfogo al mio desiderio di sperimentare, sfidare e superare i limiti predefiniti delle singole discipline artistiche. Esploro nuove tecniche, materiali e mezzi espressivi, spingendomi oltre i confini convenzionali per creare un dialogo unico tra forme d’arte diverse. Questo processo di esplorazione mi consente di scoprire connessioni inaspettate, di rompere schemi consolidati e di creare opere che riflettono la complessità e la ricchezza dell’esperienza umana.

L’apprendimento alimenta l’esplorazione, fornendo le conoscenze e le competenze necessarie per esplorare nuove strade creative. Allo stesso tempo, anche l’esplorazione alimenta l’apprendimento, aprendomi a nuove prospettive e stimolando la mia curiosità. Insieme, queste due azioni si combinano per guidarmi verso la creazione di opere che sono il frutto di un processo dinamico e in continua evoluzione, ricco di scoperte e di significati stratificati.

Il coinvolgimento del pubblico nell’apprendere ed esplorare le tematiche di investigazione è per me un fattore importante, nonché tassello finale per dare vita all’opera.

In occasione della terza edizione della fiera d’arte (un)fair 2024 è stata presentata l’opera IN SILVA, grazie al coordinamento di Giorgia Ligasacchi e della galleria Bianchi Zardin, un lavoro articolato perché parte di una ricognizione più lunga e profonda: ce la racconti?

Il progetto si è evoluto nel corso del tempo. Tutto ebbe inizio durante la visita a un bosco in fase di rigenerazione sui colli bolognesi. Quel territorio, una volta martoriato dalle pratiche agricole troppo invasive, era diventato sterile, privo di vita, ma grazie agli sforzi delle associazioni che si sono dedicate a ripiantare specie autoctone, si è avviata una sorta di rinascita. Questa storia di rinascita mi ha affascinato profondamente, spingendomi a voler trasmettere l’importanza della conservazione della natura e dell’equilibrio ambientale attraverso un’opera d’arte.

Attraverso varie esplorazioni sul campo, ho raccolto e catalogato campioni di piante autoctone con l’intento di esporli in contesti urbani, invitando così alla riflessione sul legame tra uomo e natura nelle città. Per preservarli nel tempo come testimonianze preziose, li ho incorporati in forme di resina, creando così un’opera che richiama l’idea di fossili intrappolati nell’ambra. In collaborazione con Mapei, abbiamo ideato una resina con una componente catalizzante che permettesse alle piante di reagire in modo spontaneo durante il processo di colata, consentendo loro di interagire in maniera attiva – e performativa – con l’opera stessa. Le 24 strutture portanti, ognuna sostenente una forma di resina, rappresentano in forma astratta il territorio d’origine, trasformandosi in una sorta di mappa topografica del luogo, creando una connessione attraverso un’esperienza tangibile e coinvolgente e sensibilizzando ulteriormente sulle sfide ambientali.

Dal progetto “IN SILVA”, 2024, Ph Catherine Leo

Che ruolo ha oggi l’arte e l’artista nel raccontare il cambiamento del nostro mondo?

L’arte e l’artista di oggi svolgono un ruolo cruciale nel raccontare e interpretare il cambiamento del nostro mondo. In un’epoca caratterizzata da rapidi mutamenti sociali, politici, ambientali e tecnologici, l’arte diventa un veicolo potente per esplorare, documentare e stimolare la riflessione su questi cambiamenti; e gli artisti riescono a spingere i fruitori a interrogarsi sulle loro scelte quotidiane e le implicazioni per il futuro, stimolando così la considerazione di nuove prospettive.

L’arte agisce come un riflesso della società stessa, e le opere d’arte offrono una lente attraverso cui possiamo comprendere meglio le tensioni, le contraddizioni e le aspirazioni della nostra epoca. L’arte, a mia opinione, è quindi anche un catalizzatore per il cambiamento sociale. Gli artisti hanno il potere di sollevare questioni importanti, suscitare empatia, stimolare il dialogo e ispirare azioni concrete, sensibilizzando il pubblico su temi critici come l’ingiustizia sociale, i diritti umani, l’ambiente e molto altro ancora, contribuendo così a plasmare le opinioni e le azioni collettive, offrendo visioni alternative del futuro e nuove possibilità di immaginare il cambiamento. 

In definitiva, l’arte e l’artista giocano un ruolo vitale nel narrare il cambiamento del nostro mondo, fungendo da testimoni critici, agenti di cambiamento e visionari di nuove possibilità.

Siamo circondati dal cemento con poco spazio alle aree verdi se non in contesti “centrali” e poco periferici: trovi che il nostro tessuto urbano debba trovare una nuova forma per rendere più sostenibili le nostre città?

Assolutamente sì, ritengo che il nostro tessuto urbano debba evolversi per rendere le città più sostenibili e abbracciare una maggiore presenza di aree verdi e spazi aperti. La predominanza del cemento e la ridotta presenza di verde nelle aree urbane hanno una serie di conseguenze negative sulla salute umana, sull’ambiente e sulla qualità della vita complessiva. 

Integrare più aree verdi nelle nostre città non solo migliora l’aspetto estetico, ma porta anche benefici significativi. Esse infatti fungono da “polmoni urbani”, contribuendo a ridurre l’inquinamento atmosferico, a mitigare gli effetti delle ondate di calore, a favorire la biodiversità e a migliorare il benessere mentale e fisico delle persone. È per questo che una forma di tessuto urbano più sostenibile dovrebbe incorporare la creazione di parchi urbani, giardini comunitari, tetti verdi, pareti vegetali e corridoi ecologici. Aumentare la quantità di verde nelle città favorisce anche la connettività ecologica e promuove uno stile di vita più sano e attivo.

A mia opinione, una progettazione urbana sostenibile dovrebbe incentivare la riduzione del consumo di suolo promuovendo il riutilizzo di spazi sottoutilizzati e la rinaturalizzazione di aree urbane degradate. Nel processo decisionale riguardante lo sviluppo urbano sostenibile è  essenziale coinvolgere anche la comunità locale, così da aiutare a garantire che le esigenze e i desideri della popolazione locale vengano adeguatamente considerati e che le soluzioni proposte siano culturalmente appropriate e socialmente equamente distribuite.

Una nuova forma di tessuto urbano che favorisca una maggiore presenza di aree verdi e spazi aperti è essenziale per rendere le nostre città più sostenibili, resilienti e vivibili per le generazioni presenti e future.

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