L’Oniromante di Arrivabene, una finestra aperta sul mondo invisibile

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Agostino Arrivabene è pittore colto, anzi, coltissimo, estremamente raffinato dal punto di vista stilistico, benché autodidatta: ha avuto, come ha raccontato lui stesso più volte, il “sacro fuoco” dell’imparare il mestiere (già, proprio il mestiere, non semplicemente “l’idea”) della pittura fin da piccolo, praticamente da bambino, e già allora possedendo una fortissima consapevolezza della necessità di guardare ai grandi maestri, al Quattro e al Cinquecento italiano, e copiarli anche, alla bisogna, mutuandone e imparando trucchi, segreti e mestiere, e persino il modo di creare egli stesso i colori, a mescolarli, a sviluppare tecniche pittoriche un tempo consuete e oggi considerate desuete.

Agostino Arrivabene, Sogno, 2022, tempera grassa su tavola, cm 55×43.

Ora, un suo nutrito gruppo di quadri approda da Primo Marella Gallery con la mostra L’Onorimante (aperta fino al 13 aprile), straordinaria sintesi di un lavoro che copre una decina d’anni di lavoro dell’artista attraversando, come ben suggerisce il titolo, quella soglia immaginaria che divide – e dividendo unisce, come due opposti che non possano che attrarsi l’un l’altro – il sonno dalla veglia, la vita dalla morte, il mito dalla storia, la ragione ragionante dall’irrazionale.

Agostino Arrivabene, Il rizoma di pugin, 2016, olio su lino, cm 135×200.

Insieme apollineo e dionisiaco, Arrivabene attraversa tempi, mitologie, religioni, culture, raccoglie indizi dentro quadri quattrocenteschi per restituirne i segreti non rivelati: come nella Grande opera, un grande dipinto di due metri e mezzo di base, nel quale l’artista ha scandagliato, col suo metro e la forza della sua straordinaria immaginazione poetica, il paesaggio che s’intravede appena, alle spalle del gruppo della Madonna col bambin Gesù e i santi nella pala di Santa Maria in porto del de Roberti, conservata alla Pinacoteca di Brera a Milano, ricostruendo, come farebbe un profeta o un veggente, picchi di mantegnesca memoria, edifici, città, misteriose cattedrali di qualche antico rito dimenticato intagliate nella stessa materia rocciosa di cui è formato il paesaggio circostante, e poi lingue di terra incongruamente attraversanti il mare, e persino un viandante – forse metafora del pittore stesso –, illuminato da una sorta di aura divina, che sembra scoprire il mondo circostante come l’epifania della sua stessa immaginazione.

Agostino Arrivabene, L’oniromante, 2023-2024, tempera grassa e olio su lino, cm 119×164.

Sono universi, riti, mitologie e personaggi misteriosi, arrivati da un lontano futuro o da un passato remotissimo, che assumono in sé, con uno stile che è inconfondibilmente quello cui sempre ci ha sempre abituati il pittore lombardo, echi della pittura rinascimentale ma anche remoti, e forse non del tutto voluti, riferimenti a un mondo fantasy, fiabesco, superbarocco, che ricorda le atmosfere steampunk o di archeo-fantascienza di certa cinematografia o di certa illustrazione di nicchia, con inserti e contaminazioni di strane e misteriose apparizioni, personaggi mutanti, viandanti, stiliti, mistici, argonauti del tempo, sacerdoti e pizie di culti sconosciuti o dimenticati, e ancora esseri ibridi e meticci, revenants, esseri prodigiosi, innesti uomo-animale che possono velatamente ricordare la cifra e l’immaginazione visiva di un grande disegnatore come Moebius – al secolo Jean Giraud, intramontabile autore dell’Incal e di altre straordinarie fiabe visive di taglio retro-fantascientifico –, o le stesse ambientazioni fantastiche dell’ultimo capolavoro di Yorgos Lanthimos, Povere creature!: anch’esse debitrici, non per niente, ad atmosfere e tipologie umane che pescano a piene mani da un’estetica post-surrrealista, con forti inserti di anacronismo, fortemente debitrice dell’estetica steampunk.

Agostino Arrivabene, Ephophteia, 2023, tempera grassa su tavola, cm 50×40.

Ma Arrivabene, per intenderci, non è né potrà mai essere pittore di genere: non gioca con i riferimenti, siano essi provenienti dalla pittura classica o tratti dagli ambiti più disparati, ma li assorbe semmai nella sua cifra pittorica sapiente e originalissima con grande naturalezza, senza alcuna volontà citazionistica, quasi che il suo stesso mondo interiore ne fosse intimamente permeato, com’è fortemente impregnato di cultura classica, di poesia e letteratura antiche, di storia e tecnica dell’arte, ma anche di letture le più varie e le meno scontate, dagli antichi testi di teoretica, di teologia o di occultismo, alle sestine dantesche, fino a saggi scientifici, filosofici, metafisici.

Agostino Arrivabene, La chimera, 2023, olio su tavola, cm 43×33.

Se Piero Marani, il più grande studioso italiano di Leonardo Da Vinci, ha definito Arrivabene come “l’ultimo dei grandi pittori surrealisti”, colui “che ci pone dei quesiti e degli enigmi ai quali non è obbligatorio dare risposte”, con questa mostra l’artista sembra compiere, in perfetta coerenza con tutto il suo percorso, un’ulteriore salto in avanti verso una pittura letteralmente e potentemente “visionaria”, che cioè non si appropria di tecniche e suggestioni provenienti da un surrealismo di maniera, ma, al contrario, dalle primigenie istanze surrealiste mutua, semmai, la capacità profetico-visionaria, di scandaglio del visibile e dell’umano a partire dai luoghi di confine tra diversi piani di esistenza, tra sonno e veglia, tra vita reale e immaginazione creatrice, basando la sua cifra stilistica su un’atmosfera incantata e magica, utilizzando uno stile sorprendentemente fluido, a tratti denso, a tratti rarefatto e mutevole, composto di immagini stupefacenti che sembrano sfociare dal fondo dell’inconscio del mondo e della storia: la mitologia, il forte legame con la cultura dell’Antica Grecia e dei miti – quando la terra era popolata di miti e di leggende, e queste avevano un potere reale sulla vita degli uomini –, la sacralità, le anamorfosi e le atmosfere incantate in cui sono immersi i suoi personaggi senza tempo sono riferimenti visuali e culturali che caratterizzano in maniera determinante la ricerca dell’artista.

Agostino Arrivabene, L’uomo blu, 2022, olio e fioglia oro su legno, cm 40×35.

Dai paesaggi ancestrali, in cui storia, mito e inconscio si fondono, alle metamorfosi dei suoi personaggi che sembrano richiamare i racconti di Ovidio, all’idea ancestrale del Mito come metafora dell’esistenza dell’uomo in rapporto con la Natura, la ricerca di Arrivabene si muove su un terreno ambiguo, dove mito, antichità ed era contemporanea si fondono in una dimensione unica, aulica, fuori dal tempo e dalla storia.

Agostino Arrivabene, La mistica del berillio, 2022, olio su lino, cm 114×72.

Ecco allora che i suoi personaggi, dall’Uomo blu ai mistici e ai predestinati  che popolano gli altri suoi quadri, appaiono davvero come santoni, medium, sciamani dell’inconscio, tramiti di energie sottili, non per niente immersi in strane luminescenze magiche e polveri alchemiche che sprigionano dai loro corpi e sembrano connetterli con qualche dimensione sovrasensibile, mentre i licheni, i muschi, i batteri, le strane escrescenze o fluorescenze, insieme organiche e rarefatte, che partono dal loro corpo, appaiono come il risultato di una visione allucinata e fortemente spirituale del reale, quasi all’artista non fosse rimasta altra scelta, nel suo divagare nei campi della conoscenza e della visione, che cercare nei dettagli segreti, così sottili da apparire invisibili all’uomo comune, il senso vero e il segreto dell’esistenza.

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