Velasco Vitali a Milano: “La pittura è un meraviglioso gioco d’inganni”

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TERRA ROSSA, la nuova mostra di Velasco Vitali è articolata da composizioni rigorosamente monocrome su variazioni di rosso. Il rimando è subito visibile, campi da tennis dai tagli angolari, geometrie di linee bianche che ne ridisegnano il contesto, la pittura è il mezzo per attivare l’immaginazione, e il colore è metafora fra ciò che sembra e ciò che è in realtà.

Il campo da tennis è sinonimo di eleganza, leggerezza, ma è anche fatica, sudore, e spesso tormento, un pò come la vita. In questo nuovo ciclo di opere, visitabile fino al 13 giugno da Antonia Jannone Disegni di Architettura a Milano, il colore arriva alla sua essenza con il compito di raccontare o immaginare, giocando solo con la materia che lo compone. In questa intervista esclusiva Velasco Vitali ci racconta come è nata questa mostra.

Velasco Vitali, foto Gianni Mania

Cosa ti ha ispirato?

“Il soggetto della mostra, ovvero il campo da tennis, nasce da un aneddoto personale legato alla mia infanzia. Quel campo da tennis, e lo si capisce dai primi che ho dipinto, che hanno questa prospettiva centrale vista dall’alto, è quello che stava sotto casa mia”.

La casa della tua infanzia, dove vivi tuttora?

“Io adesso non abito più lì, ma è la casa nella quale ho vissuto con i miei genitori. Magicamente quel campo è diventato anche lo spazio, il luogo. Quel campo era circondato da un parco, aveva una serra meravigliosa ed era il luogo dove io da piccolo andavo a giocare. Ma il campo per noi ragazzi era accessibile solo nelle ore più calde, tipo a mezzogiorno quando il sole batte a picco sulla terra rossa, ma noi ci sentivamo comunque padroni del posto perché in quelle ore era solo nostro”.

Velasco Vitali, Square, 2017

Quindi il tennis è uno sport che ti appartiene?

“No, non particolarmente, direi che mi appartiene invece questa memoria di infanzia che si è riattivata improvvisamente anni dopo, quasi quarant’ anni dopo. Gli eredi decidono che quello spazio può essere affittato e naturalmente io ho subito pensato che la serra potesse diventare il mio studio, è un posto meraviglioso, pieno di luce”.

Sei riuscito nel tuo intento, è poi diventata il tuo studio?

“Purtroppo, no, perché il contratto prevedeva che chi affittasse la serra doveva occuparsi anche della manutenzione del parco adiacente e naturalmente del campo da tennis, con costi elevatissimi”.

Quindi la voglia di dipingere ti è venuta proprio perché non sei riuscito ad averlo?

“Eh sì, sull’onda di quella emotività, a me batteva il cuore all’idea di poterlo vivere, cioè, avevo proprio voglia di quel luogo, è un luogo tuttora bellissimo che ormai è abbandonato. L’ho dipinto proprio per tenerlo nella mia memoria”.

Velasco Vitali, Terra Rossa, 2024.

Come è emersa la terra rossa?

“Avevo tenuto nascosta, questa mia produzione, fino a quando nel 2017 ho dato uno di questi quadri a Gianni Clerici per la copertina del suo libro Il Tennis nell’Arte (Mondadori 2018)”.

Perché l’hai tenuta nascosta?

“In quel momento non mi interessava fare entrare queste opere nei miei progetti”.

Qual era allora il tuo intento?

“Questi lavori mi sono serviti in realtà, e questa è la cosa poi più importante, per una riflessione più approfondita sulla pittura, che è la cosa che a me interessa di più. Cioè, è una bella metafora con una forte dicotomia, dove l’oggetto è chiaramente il campo da tennis, che è facilmente riconoscibile. Però c’è un segreto: trattandosi di un dipinto totalmente informale, astratto, in certi casi quasi piatto, lo riconosci come un campo da tennis solo se tracci una riga bianca che lo attraversa”.

Velasco Vitali,Terra Rossa,2024

Questi quadri sono dipinti con un solo colore rimodulato, perché?

“È stato per me uno straordinario esercizio di approfondimento sia tecnico che concettuale. Quindi questa forma di contraddizione, di dicotomia come ho detto prima, ha punti divergenti fra ciò che sembra e ciò che è in realtà. La questione della pittura, quindi, è un meraviglioso gioco di inganni, ricchissimo di metafore. Il tema di questi quadri è proprio questo: il campo vuoto, le impronte lasciate sul campo, le tracce della sfida. Tutti questi elementi sono connaturati nel gioco del tennis dalla tenuta psicologica a quella fisica, insomma, tutte le riflessioni che questo può scatenare, anche banali, perché no?”.

La ricerca materica è una cosa tipica della tua pittura, giusto?

“Si, aggiungo e tolgo materia di vario tipo. In alcuni dei quadri di questa serie sono andato a sottrarre, in altri invece ho tenuto la materia integra per avere l’idea di un’impronta che si fa specchio, ma come tante cose in pittura, tutto nasce da una suggestione tecnica che poi conduce a quello che volevi esprimere, a ciò che serviva esprimere”.

Velasco Vitali, Branco, 2009, foto Oliviero Toscani

A proposito di materia, mi viene in mente una tua opera iconica, Il branco, in cui i cani minacciosi, curiosi, silenziosi, portano a un dibattito sulla fragilità del paesaggio e sulla sua tutela.

Il branco nasce dall’esigenza di far esplodere la materia della pittura sulla terza dimensione, con qualcosa che potesse essere più presente non solo a chi crea ma anche a chi guarda”.

Questo ciclo di dipinti Terra Rossa sono, mi hai detto, un riferimento a Piazza Rossa, universalmente conosciuto come “red square”, uno dei più celebri dipinti di Kazimir Malevic?

“Esattamente, perché il quadrato rosso di Malevic segna la natura del quadro e il modo in cui la pittura può comunicare proprio in termini di linguaggio. La questione è proprio la pittura: se uno vuole dipingere, lo può fare anche con un solo colore, nel mio caso con un colore che è uno dei più antichi del mondo o almeno nel nostro immaginario, soprattutto d’Occidente. Il colore della terra che ha proprio una natura forte, legata alla costruzione, ai vasi, al deserto; quindi, questa cosa mi interessa molto e credo che abbia anche un forte legame con la contemporaneità e con il Novecento”.

In occasione della mostra è presentato il volume Terra Rossa di Matteo Codignola e Velasco Vitali, Edizioni Henry Beyle.

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