Nobuyoshi Araki, reporter a luci rosse che non lascia niente al caso

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Vi faccio un indovinello: Se Nobuyoshi Araki sostiene di aver avuto rapporti sessuali con tutte le sue modelle, considerando che solo il pruriginosissimo Tokyo lucky hole, del 1990, raccoglie circa 800 scatti e che il maestro giapponese della fotografia hard ha all’attivo qualcosa come 400 libri, quante donne ha avuto Nobuyoshi?

Va bene, lo so: non è un conteggio corretto. Anche solo le serie dedicate alla moglie scomparsa prematuramente, la bella Yoko Aoki, scombinano i calcoli. Per non dire poi dell’età che avanza. L’oggi gagliardo ottantratreenne, in un’intervista concessa qualche anno fa ha confidato – piuttosto seccato – di non essere più in grado di tenere i ritmi di una volta.

Certo è che, quando faceva i suoi reportage dal Kabukicho, il quartiere a luci rosse di Tokyo, non lasciava nulla al caso. Voleva “toccare con mano”, insomma. E del resto le sue Polaroid scarne, spoglie, con i colori virati dalle luci artificiali di quelle povere stanze, i corpi delle ragazze esposti come carne in macelleria eppure per certi versi teneri nella loro vulnerabilità, nell’ineluttabilità del loro destino, sono una delle testimonianze più potenti sul mondo della prostituzione.

Noboushi Araki

Pur nella bulimia consumistica del sesso e nella cruda immediatezza dei suoi reportage, Araki è stato capace di riscrivere le vicende di un’umanità sfruttata, rivelandovi una sorta di innocenza primordiale. E va un po’ sfatata l’immagine del pornografo travestito da artista che regolarmente, nelle fiere, raccoglie piccole folle di uomini che si appiccicano alle pareti degli stand per osservare ben bene i dettagli. Araki, infatti, è anche quello di Sentimental journey (1971), dichiarazione d’amore alla giovane moglie Yoko che consiste in una serie di foto di lei, languidamente sdraiata in barca o su un treno, con lo sguardo perso in una fantasticheria, durante il loro viaggio di nozze (reportage completato dalle foto dei loro amplessi, ok, ma del resto lo farà anche Jeff Koons, una ventina d’anni, dopo e finirà alla Biennale). E Araki è anche quello, nel 1991, di Winter journey, drammatica testimonianza della malattia e della morte della moglie.

La morte, peraltro, è sempre presente, sottotraccia, anche nelle immagini più esplicitamente erotiche. E la morte si palesa anche nei fiori, fermati al limite dello splendore, con i petali già raggrinziti, e nel cibo, che visto attraverso il suo obiettivo si fa repulsivo e disturbante.

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