Tomaini: “Vi racconto la vera storia della scultura su Olindo e Rosa”

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Era l’11 dicembre del 2006 quando vennero brutalmente trucidati a sprangate e coltellate Raffaella Castagna, suo figlio Youssef Marzouk di appena 2 anni, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. L’unico sopravvissuto alla strage fu Mario Frigerio che sopravvisse dopo essere stato sgozzato. Questo tragico evento lo ricordiamo come la Strage di erba, che si concluse con la carcerazione di Olindo Romano e Angela Rosa Bazzi conosciuta anche come Rosa. I due infatti vennero condannati all’ergastolo il 20 aprile 2010 alla Corte d’assise d’appello di Milano.

Oggi, a diciassette anni di distanza, si è tenuta la prima udienza in cui si è discussa la revisione del processo di questo terribile delitto che scosse l’Italia intera. Ed è proprio in questa cittadina con poco più di 16mila abitanti, sotto il portico di piazza del Mercato, a pochissimi passi da via Diaz dove venne compiuta la carneficina, che due sculture in grandezza naturale raffiguranti Rosa e Olindo, sono state collocate nella notte del 27 febbraio.

L’installazione è intitolata The Lovers, chiara allusione all’amore della coppia, morboso e ossessivo al punto da portarli a confessare gli omicidi – almeno secondo la versione di chi li considera innocenti, che ha portato oggi alla revisione del processo – unicamente per poter stare in cella insieme, e affigura i due coniugi uno di fronte all’altro uniti da un arco da tiro: Rosa, in una mano, tende la corda con la freccia che punta dritto al marito mentre nell’altra tiene il libro di Ludwig Feuerbach L’essenza del cristianesimo; il tutto viene catturato da una videocamera ricoperta d’oro. È un lapalissiano riferimento a Rest Energy, performance compiutada Marina Abramović e l’allora fidanzato Ulay: infatti, la coppia nel 1980 fece un progetto che comprese tre video e la performance eseguita davanti a un pubblico alla National Gallery of Ireland a Dublino.

“Era la rappresentazione più estrema possibile della fiducia. Io reggevo un grosso arco e Ulay ne tendeva la corda, reggendo tra le dita la base di una freccia puntata contro il mio petto. Eravamo entrambi in uno stato di tensione constante, ciascuno tirando dalla sua parte, con il rischio che, se Ulay avesse mollato la presa, avrei potuto trovarmi con il cuore trafitto. Nel frattempo, al nostro petto era attaccato un piccolo microfono, di modo che il pubblico sentisse il battito amplificato dei nostri cuori”.

Nicolò Tomaini.

L’autore delle sculture, in questo caso è il giovane artista lecchese Nicolò Tomaini, che in questa intervista esclusiva ci ha spiegato l’origine, i dietro le quinte e il senso stesso dell’opera. In un post su Facebook, già l’artista aveva chiarito che non gli interessava affatto “la diatriba su innocenza o colpevolezza, correttezza processuale, consistenza delle prove”: “Quello che invece interessa”, aveva dichiarato, “è come nella società contemporanea si possa costruire una verità ufficiale, che poi all’occorrenza si può anche decostruire con gli stessi identici strumenti, per rifarla ancora e disfarla, tutte le volte che si vuole. Il processo, la ricostruzione che in esso è emersa delle vicende, la cronaca giudiziaria e la narrazione mediatica dei fatti non sono altro che alcuni dei passaggi attraverso cui nella percezione sociale si compie l’inversione del rapporto tra la realtà delle cose e la sua rappresentazione. Il falso prende il posto del vero, la copia quello dell’originale, mentre la vita, i sensi, le passioni, e più in generale tutto ciò che dovrebbe animare l’esistenza umana si azzerano”.

Allora Nicolò, ci racconti com’è nata questa scultura?

Ho iniziato il progetto nove mesi fa realizzando le sculture dei volti di Olindo e Rosa, e solo il caso ha voluto che parecchi mesi dopo si sia avuta la riapertura caso, riportandolo alla ribalta. La cosa curiosa è che la scultura era nata proprio per denunciare la dilagante spettacolarizzazione del reale, con la crescente impossibilità di separare la verità dalla finzione, e poi la scultura stessa è entrata nel gioco perverso della spettacolarizzazione, con articoli superficiali che hanno raccontato dettagli non veri, incomprensioni sul reale significato dell’opera, etc.

Quindi il significato dell’opera ha in realtà a che fare col vero e il falso, e con la spettacolarizzazione della realtà?

Sì, Olindo e Rosa sono solo un pretesto, sono l’esempio di come la realtà possa essere ambigua e come ogni cosa possa avere molteplici chiavi di lettura. La performance stessa, di cui i due coniugi diventano protagonisti, è in realtà una metafora del crescente senso di irrealtà che ha via via preso il reale, dove a seconda della narrazione che si vuol fare di un avvenimento, se ne può dedurre un determinato significato o uno di tipo esattamente opposto. Per questo, nella spiegazione dell’opera ho parlato di Guy Débord e del suo saggio fondamentale La società dello spettacolo, che ha precorso il dibattito intorno a questa questione, che oggi invece è sotto gli occhi di tutti.

Perché hai utilizzato proprio la performance di Abramović e Ulay Rest Energy? Perché non usare un’altra performance, che so, The Artist is Present piuttosto che Imponderabillia, e perché hai scelto proprio la Abramović?

La valenza simbolica è duplice: in primo luogo c’è tutto il discorso della performance Abramović-Ulay, dove appunto lei tiene l’arco e lui la freccia, e quindi nella narra della Abramović il rapporto d’amore si instaura sull’equilibrio, perché se uno scivola o si distrae, la freccia parte e infilza l’altro. Questa visione del rapporto, che ha qualcosa di romantico per il legame strettissimo che lega i due protagonisti, è paragonabile a quello che, almeno secondo la loro difesa, ha portato Olindo e Rosa a confessare il massacro illudendosi di poter rimanere insieme in una cella matrimoniale.

In secondo luogo invece, la performance è importantissima come simbolo di un periodo, come quello attuale, in cui tutto diventa fondamentalmente performance. Se la performance nasce in quegli anni “per scappare” e svincolarsi dalla catena del gioco capitalista, come evento irripetibile e invendibile, che quindi esce anche dal gioco del mercato, è insomma inalienabile, oggi invece prende un’altra valenza, perché ogni cosa diventa performance, diventa spettacolo, come in qualche modo aveva predetto Débord, e in questa iperspettacolarizzazione del reale anche i confini tra vero e falso si perdono, il vero prende il posto del falso e il falso prende il posto del vero.

E Olindo e Rosa ne sono un esempio?

Sì, se pensi che in prima istanza sono stati etichettati come mostri e assassini, poi si è fatta strada una maggiore cautela e in molti li hanno dipinti come vittime, insomma quello che è impressionante è come, a seconda del tipo di narrativa, la realtà stessa venga plasmata e descritta in un modo o nel suo esatto opposto…

E anche la storia della tua scultura non ha fatto eccezione.

Infatti. Pensa che un giornale ha scritto che la scultura, messa in piazza da me, era stata sequestrata dalla polizia municipale. Altri ne hanno parlato, travisando completamente il discorso che vi è sotteso, sul senso di confusione tra vero e falso, e quanto al riferimento alla performance della Abramovic, in ben pochi l’hanno colto…

Quindi qual è stata la vera storia della posa della scultura?

Io avevo fatto diversi sopralluoghi notturni nei giorni precedenti alla sua installazione. Poi, una notte, siamo andati in sei, con la scultura a pezzi (l’opera infatti è realizzata in modo che si possa montare e smontare, ndr), e l’abbiamo posata nella piazza. In realtà, siccome era notte fonda, in giro non c’era praticamente nessuno, e solo due passanti particolarmente fortunati hanno potuto vederla dal vero e fotografarla. Noi poi dopo due ore l’abbiamo nuovamente smontata e riportata via…

Ci sono molti dettagli nella scultura, che se non sbaglio rivestono significati particolari…

Sì, effettivamente è pieno di dettagli altamente simbolici. Per esempio l’arco, con i due flettenti montati al contrario, simbolo del rovesciamento sistematico della realtà e della sua manipolazione; i guanti bianchi indossati dai due protagonisti che non si sa quando si sarebbero tolti, elemento assai controverso nel processo; e ancora, il libro che, nella scultura, Rosa tiene in mano…

Già, L’Essenza del cristianesimo del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach: perché proprio questo libro?

Il riferimento è a un passo di questo libro, e precisamente quello che dice: “Senza dubbio il nostro tempo preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere… Ciò che per esso è sacro non è che l’illusione, ma ciò che è profano è la verità. O meglio, il sacro si ingrandisce ai suoi occhi nella misura in cui al decrescere della verità corrisponde il crescere dell’illusione, in modo tale che il colmo dell’illusione è anche il colmo del sacro”. Ebbene, questa frase è messa come incipit alla prefazione della seconda edizione de La società dello spettacolo di Débord, proprio per il suo carattere profetico rispetto allo sviluppo della società moderna. E pensare che eravamo ancora nell’Ottocento…

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