7 artisti e la loro “Bucolica Urbana” a Cagliari

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Per parlare di rigenerazione urbana, bisogna adottare a priori un punto di vista “alto”. Dall’alto infatti abbiamo una visione fisica d’insieme della città, dalle cartografie, da Google Maps; ma “alto” è anche un modo di ragionare che non si fa impelagare in vicissitudini contingenti di poco conto. Dall’alto del castello situato nel Colle San Michele, fortezza aragonese del XII secolo a Cagliari, si può ammirare e osservare il pullulare di dettagli urbani del capoluogo sardo al pieno della sua estensione, in una visione a 360 gradi.

E’ in questa densa cornice che la stessa città, con alcuni tra i suoi artisti più interessanti (sardi o legati alla Sardegna), prova a tracciare una nuova prospettiva sullo spazio antropologico cittadino nella mostra “Bucolica Urbana”, nell’ambito del più esteso festival Cagliari Urbanfest – Generazioni Metropolitane, organizzato dall’Associazione culturale Asteras con la curatela di Ivana Salis e Barbara Catte.

I sette artisti selezionati per la molteplicità di linguaggio, rimbalzano nel gioco espositivo tra astratto e figurativo, pittura e street art, per ritornare comunque sempre e inesorabilmente a quel senso di alienazione che ci perseguita sin dalla definizione del non-luogo di Marc Augè. “Bucolica” è un termine che deriva dal greco e significa “pastore, mandriano”, ma che ci è stato consegnato alla storia dal grande poeta romano Virgilio: le sue bucoliche evocano un mondo arcadico e lontano ma perfetto, di convivenza pacifica con i valori naturali, laddove il tempo presente è, ancora una volta, alienazione. In questo senso, gli artisti di “Bucolica Urbana” sono chiamati a immaginare (e prevedere) le relazioni dell’immediato futuro tra uomo e ambiente, spazi urbani e naturali, che collimano infine in una visione alquanto distopica.

Ciredz, Irriflesso, Courtesy of Varsi Art & Lab Roma

L’importanza della linea (e del filo)

Le linee degli Irriflessi di Roberto Ciredz separano i livelli quasi puntinisti della scala progressiva cromatica (separati nel dettaglio, ma uniti nell’insieme), aggiungendo un senso di cogitazione meditabonda, corroborata dalle forme irripetibili di piante e vegetali della serie Naturalis. In Marco Rèa invece la linea diventa un Groviglio, luogo dell’abiogenesi di bellezza femminile nata da pulsioni e turbamenti violenti che seguono il ritmo della sua ricerca artistica, sia su stencil (ecco ancora il tema urbano, estrapolato qui dal proprio contesto) che su tela. Le sue eroine hanno perso una connotazione specifica per ergersi libere nei muri cittadini, fuori dal glamour e dal brand.

Marco Réa, Lineamenti, 2022

La stessa insistenza maniacale-lineare si ritrova nei Paesaggi Erranti di Roberto Chessa, 50 opere di acrilici su carta applicata su tavola, dove sembra non esserci un hic: l’atto creativo si ribella alla costrizione e viaggia tra le superfici continue; la linea blu elettrica in contrasto con il nero-sfondo diventa tubiforme, segmento antropico dal ritmo veloce che forma una struttura smontabile come un puzzle. Infine, la linea si ferma, diventa fisica e scultorea nelle trame di lana nera di Pietrina Atzori, che celebra un momento di riflessione e lavorazione tutta femminile, stavolta di emancipazione sicura, ma anche riscatto di un intero territorio, dato che questo tipo di lana, tipica della pecora di Arbus (provincia del Sud Sardegna), veniva scartata. E’ quindi una lana di scarto che trasforma lo scarto stesso del packaging in una scultura concettuale, ma anche uova e carote subiscono lo stesso destino.

Legacy, Roberto Casagrande

Il nuovo surrealismo urbano nella pittura

“Bucolica Urbana” affronta anche il tema della figurazione, tracciando i contorni di quello che può essere definito un surrealismo urbano. Gianni Casagrande è un pittore narrativo, ogni sua opera racconta il capitolo di una storia che non continua, perché non può continuare: i bambini sono stati intrappolati dagli adulti in strutture asettiche, e dunque, come possono essi stessi creare il lieto fine di questa fiaba? Fortemente contrari alla colpa generazionale attribuitagli dal pensiero dominante dei “grandi” (che si può racchiudere nella celebre frase “i giovani d’oggi non sanno fare”), questi Charile-dalle-mani-chiodate (come cantavano i Baustelle) sovvertono lo status quo, re-immaginando gli spazi di libertà e andando a vivere in casette sugli alberi, lontani dai “pericoli” della terraferma.

Transumanza, Michele Mereu

E’ carica di un surrealismo dark invece l’opera di Laura Saddi, con i volti di donne di Gentrificazione che ci guardano e ci fanno sentire colpevoli. Sono volti che sanno vedere solo l’orrore quotidiano, i peggiori incubi e la violenza continua, perché a questo sono abituati e ormai tristemente assuefatti. Ci guardano, quasi come in posa per una foto di gruppo, anche gli uomini mutanti e ibridi di Michele Mereu, nei suoi paesaggi brulicanti di rifiuti e di animali bizzarri. I suoi Nuovi habitat si generano per metamorfosi, trasportando con sé il gene di un nuovo adattamento naturale all’estraneità suburbana. Sguardi allucinati, celati dietro maschere di topolino (classico simbolo dell’infanzia perduta?), e una inquietante presenza che troviamo in ogni dipinto: una donna dai capelli neri a caschetto ci guida nelle visioni mitopoietiche del postmoderno.

“Bucolica Urbana” è dunque un caleidoscopico contenitore di colori, emozioni, spunti e tematiche, dove le curatrici districano questo groviglio attraverso linee concettuali che iniziano e si concludono efficacemente, nulla viene lasciato a metà. Una mostra che lascia sicuramente il segno, un atto creativo forte da parte di una città, Cagliari, che anela alla rinascita culturale.

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