Effie Gray, che gli uomini, proprio, non li sapeva scegliere

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Se il nome di Euphemia (detta Effie) Gray non vi dice nulla, non rammaricatevene, ma sappiate che ha avuto un ruolo chiave nella vita di due tra le personalità più importanti dell’arte dell’Ottocento: John Ruskin e John Everett Millais. Il primo lo sposa nel 1848, a vent’anni, dopo aver rimandato al mittente ventisette domande di matrimonio (quando si dice andarsela a cercare): John è suo amico da sempre, da quando era bambina, e poi è un uomo di una cultura pazzesca e ha già cominciato a pubblicare i suoi Pittori moderni. Tra loro c’è un’intesa intellettuale meravigliosa. Già. Intellettuale. Quello che è sfuggito all’ingenua Effie è che John ha cominciato a sbirciarla con quel certo sguardo quando di anni ne aveva dodici.

Waterfall, or Effie at Glenfinlas, 1853, by Millais

Il primo dubbio ce l’ha in luna di miele, quando lui, una volta che la porta si è chiusa e la camicia da notte è diventata un mucchietto di stoffa a terra, decide di andarsene. Poi, col passare dei mesi, non cambia nulla. Se non che Effie perde il sonno e i capelli e diventa isterica. Nemmeno una vacanza a Venezia accende il fuoco, e la ragazza comincia a consolarsi alle feste, ma nonostante i corteggiatori resta inviolata come una fortezza medievale.

Uno spiraglio di serenità è l’incontro con John Everett Millais, pittore di punta di quella Confraternita Preraffaellita che il marito ha cominciato a sostenere, il quale sta cercando una modella scozzese per un quadro. Ruskin non solo gli propone la moglie, ma poi se lo porta via in una vacanza a tre con la scusa di farsi fare un ritratto. No, non pensate che John coltivasse perverse fantasie di poliamore, macché: probabilmente sperava in uno scandalo che gli permettesse di divorziare da quella decrepita ventenne e di ricominciare a fare la corte alle figlie prepuberi degli amici.

Portrait of a Young Lady, Millais’s 1857 painting of Sophie Gray

Millais e Effie non si sfiorano, in realtà, ma si innamorano. E qui entra in gioco la piccola Sophie, dieci anni, la sorellina minore di Effie, che diventa la loro messaggera d’amore. Con la scusa di farsi fare un ritratto da Millais, Sophie porta regolarmente a uno le lettere d’amore dell’altra. Tutto questo mentre Effie, aiutata da un’amica, ha finalmente capito che nel marito c’è qualcosa che non va, che essendo ancora vergine dopo sei anni di matrimonio non può considerarsi sposata e che, in effetti, ha tutto il diritto di andarsene.

Solo che quel ritratto di Sophie diventano due, e poi tre, e Millais comincia a guardare la bambina con uno sguardo un po’ diverso. (Ebbene sì, nell’epoca in cui si coprivano le gambe dei tavoli per non suscitare pensieri sconci, la pedofilia era più che accettata: pensate solo alle foto che scattava Lewis Carroll, altro che Alice).

I ritratti della piccola Sophie con la gola offerta e le labbra umide, in effetti, fanno pensare. Oggetto di quegli sguardi e di quelle attenzioni, lei, completamente indifesa, si innamora del pittore biondo. E quando la sorella, tutta garrula, le annuncia l’annullamento del matrimonio e le conseguenti nozze con Millais, cade in una disperazione da cui non si solleverà mai più.

Come si dice nelle favole, Effie e Millais vivono felici e contenti e lei, dopo tutta quella quiescenza, gli dà pure otto pargoli. Sophie resterà per qualche tempo satellitare alla coppia, con la scusa di fare loro da babysitter, poi però – forse diventata un po’ più intelligente – la sorella la rispedirà a casa. Sophie morirà nel 1882, a trentotto anni. Nell’ultimo ritratto che le fa il cognato, due anni prima, appare pallida, precocemente incanutita, il corpo mangiato dall’anoressia e dai disturbi nervosi.

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