Elena Monzo: streghe, stranezze e strepitosi party

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Sovrapporre il Carnevale e la festa degli innamorati, trasformando San Valentino in un sabba, non a tutti è possibile. Ma Elena Monzo può, e con le sue streghe dagli occhi bianchi e dal sorriso pronto a sbranare la preda fa della galleria milanese Gilda Contemporary Art l’antro di una fattucchiera, dove il creepy party di inaugurazione (stasera presentatevi in maschera e siate pronti a tutto) si preannuncia succulento.

Mentre fioccano inviti a eventi che cercano di virare San Valentino in una seconda festa della donna (e l’ovvio, attenzione, è dietro l’angolo), Monzo fa un doppio carpiato e con la personale Stranger things – in programma fino al 12 aprile – ci conduce nel suo mondo ribelle e mai scontato, quello che pratica oramai da anni, portando avanti l’idea di una donna che sa essere potente e seducente al tempo stesso, divinità ctonia, spaventosa e irresistibile, nipotina delle femmes fatale che hanno fatto sospirare i nostri nonni (dalla Fosca di Tarchetti alle vampire di Munch, dalla Salomé di Moreau alla torbida Theda Bara), con il trucco pesante che però dà sempre l’idea di essersi data più per sé, che per farsi guardare da qualcun altro, mentre canta e balla davanti allo specchio o si racconta all’amica del cuore.

Perché nonostante le autoreggenti a rete, il pube che si intravede sotto la biancheria leggera e i capezzoli che sembrano essere stati evidenziati con una passata di rossetto, è evidente fin dal primo sguardo che le ragazze di Monzo non sono oggetti di consumo e nemmeno la proiezione di una fantasia maschile: piuttosto la concretizzazione di un incubo, ancorché parecchio piacevole. Anzi, sembra proprio che la messa in scena della seduzione sia nel loro caso, per l’appunto, una messa in scena, un divertimento che ce le fa immaginare mentre ci guardano, alzano un sopracciglio e chiedono: “Ma davvero pensavi che l’avessi indossato per te?”, lasciandosi sfuggire una risata crudele.

Anche la cheerleader oggi in mostra a Milano, che sboccia da una teiera sostenuta da quattro forzute braccia femminili, l’abitino rosa che le si solleva nel gesto a mostrare le cosce fasciate di rete, un fiocco virginale a legarle i capelli e un caschetto in stile Raffaella Carrà, non sembra essersi messa in posa per compiacere qualche sguardo maschile in cerca di una Lolita, ma al contrario pare divertirsi un sacco con le amiche, brandendo il fungo velenoso che tiene in mano al ritmo di Girls just wanna have fun.

Un mondo senza uomini si spalanca in questo “strange Valentine’s day”: due ragazze chiacchierano tra nappine che ciondolano dai capezzoli e pose ieratiche da yogi; altre due siedono a fumare, e improvvisamente ci rendiamo conto che il cappello dell’amanita muscaria, che una delle due indossa come copricapo, ci sta riportando alla mente come in un flash il Brucaliffo di Alice nel paese delle meraviglie.

Metamorfosi oscure, poi, avvengono su alcune delle protagoniste, come la signora che stringe un gatto tra le braccia mentre un altro, abbarbicato sulla sua testa, sta diventando parte dei suoi capelli e intanto dal fondo della schiena le spunta una coda felina. La sensazione, guardandola, è quella del compimento di un destino, di un ritorno al vero sé. La stessa che si prova osservando l’altra ragazza, poco lontano; la testa girata a lanciarci uno sguardo da sopra la spalla, sfoggia un paio di natiche perfettamente tonde e una lieve escrescenza che da lì sembra partire: una coda piumata tempestata di occhi piangenti, forse, o una spina dorsale esterna, in una serie di suggestioni che vanno da Frida Kahlo a Salvador Dalí.

La tecnica di Monzo – unica – contribuisce alla preziosità del suo lavoro, che si sostanzia di pittura, disegno, collage, inserti, lustrini in un continuo sovrapporsi di piani e trasparenza e che rende impossibile allo sguardo di fissarsi su un unico dettaglio. Echi di Schiele si avvertono nel disegno netto, quasi inciso a volte, memorie di Klimt nella luminosità dei materiali e risonanze di Toulouse-Lautrec nella sfrenatezza delle figure. Con la differenza, però, che queste sono donne guardate e create da una donna.

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