La spirale ciclica dell’esistenza, Caravaggio, Van Dyck e Sassolino a Vicenza

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Camminando per le vie di Vicenza, in un pomeriggio nebbioso di inizio gennaio, si viene catturati dai pannelli appesi ai muri del centro, in cui spicca tra tutte un’opera: il San Girolamo del Caravaggio. La mostra è Caravaggio, Van Dyck, Sassolino. Tre capolavori a Vicenza allestita presso il Museo della Basilica Palladiana fino al 4 febbraio 2023. 

Lo spazio dell’enorme edificio, con la sua volta a carena di nave rovesciata, è estremamente suggestivo: l’atmosfera è fin da subito satura di reverenza e mistero. Le tre opere sono collocate ai margini della sala. La prima, illuminata da un occhio di bue, è quella di Arcangelo Sassolino No Memory Without Loss (2023). Il titolo è evocativo: non c’è memoria senza perdita. L’artista, presente alla Biennale di Arte Contemporanea di Venezia nel 2022 con una altrettanto suggestiva opera che ripercorreva la narrazione della tela di Caravaggio La decollazione di San Giovanni Battista (1608), dialoga con le opere del Caravaggio e di Antoon Van Dyck a distanza, in un allestimento consapevole dello stacco cronologico che intercorre tra questa e i due capolavori del Seicento.

Il viaggio inizia proprio da una delle materie principali per la realizzazione di un dipinto: il colore. Un olio industriale estremamente denso è stato versato su un supporto circolare. Il movimento del supporto impedisce alla tempera fresca di colare velocemente a terra a causa del suo peso: rallentando la sua discesa, ci porta a riflettere sull’importanza del movimento per rimanere in equilibrio, sulla qualità del colore, rosso scarlatto che richiama istintivamente il mantello di San Girolamo, mentre compone goccioloni che scorrono sul supporto. La tempera cerca insieme al suo supporto di dominare il tempo, posticipare l’istante inevitabile in cui tutto l’eccesso di colore sarà colato. Inoltre, il movimento è importante affinché la tempera rimanga liquida, per continuare a plasmare forme casuali nello spazio.

Allestimento mostra: credit Lorenzo Ceretta

All’estremità opposta, padroneggiano la scena, affiancati, i due dipinti di Caravaggio e Van Dyck: San Girolamo (1605-1606) e Le quattro età dell’uomo (1620). San Girolamo sta combattendo una battaglia contro il tempo, come la tempera nell’opera di Sassolino: traduce la Bibbia dal greco al latino. È a metà strada, intento nel suo compito in modo così assorto che non ci rivolge lo sguardo, ma continua a rimanere concentrato sulla pagina per non perdere il filo. L’età avanzata non gli permette di indugiare al di là del compito che si è prefissato. Ci sono solo lui, la scrivania, i libri – simbolo dell’immensità della conoscenza, un teschio – il simbolo della Vanitas, la fragilità di tutti i valori materiali. Il braccio dell’uomo, protendendosi in orizzontale con la propria penna, cerca il calamaio senza guardarlo, sapendo ormai a memoria la collocazione di ogni singolo oggetto nello spazio: è l’unico elemento di congiunzione tra le due parti dell’opera.

Michelangelo Merisi detto Caravaggio
San Girolamo
1605-1606
Olio su tela
116 x 153 cm
Roma, Galleria Borghese, inv. 56
© Galleria Borghese / Photo Mauro Coen

Questi dettagli sono la testimonianza dell’impegno di Girolamo verso la sua traduzione, impegnato in un compito che va al di là dell’umano e, per questo, affidabile solo a un santo. Si nota, avendo una visione privilegiata data da un sobrio allestimento, che il tratto di Caravaggio in certi punti è stato più frettoloso, come se volesse concludere velocemente l’opera. Il mantello del santo, per esempio, laddove tocca l’incavo del gomito, presenta una pennellata distesa, piatta, al suo massimo grado di brillantezza; i contorni colgono i fili del pennello che è passato sulla tela. Forse la corsa contro il tempo di San Girolamo è anche quella del Caravaggio. 

Le quattro età dell’uomo di Van Dyck affiancano il San Girolamo e intrecciano il tempo dell’uomo con il tempo del mondo. Quattro figure, tre uomini e una donna, rappresentano l’infanzia, la giovinezza, l’età adulta e la vecchiaia, ovvero: le quattro stagioni. La genesi del dipinto di Van Dyck risale al suo periodo di permanenza in Italia, precisamente in Veneto, dove ha potuto conoscere Tiziano, ma anche la pittura di Giorgione. Questo dipinto, dal contenuto apparentemente così intuitivo, ha messo in difficoltà la critica relativamente ai modelli a cui Van Dyck può aver attinto: è logico pensare che Tiziano sia la via più plausibile, eppure, sappiamo che anche Giorgione aveva dipinto un’opera dallo stesso soggetto, ad oggi perduta. Non solo: alle età dell’uomo e all’alternarsi delle stagioni sulla Terra, si aggiunge un’altra suggestione mitologica proveniente dal Guercino: Venere, Marte, Cupido e il Tempo (1625-1630 circa) potrebbe essere stato un ulteriore modello.

Antoon Van Dyck Le quattro età dell’uomo 1625-1627 Olio su tela 115,5 x 167,7 cm Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati, inv. A 288 © Musei Civici di Vicenza – Museo Civico di Palazzo Chiericati

La pennellata di Van Dyck non presenta i contrasti e i moti dell’animo del Caravaggio: modulata, precisa, attenta agli effetti di luce più tenui, sembra cogliere ogni sfaccettatura del tempo che scorre. L’anziano e il bambino si congiungono grazie, ancora una volta, alla mano del vecchio che si allunga verso il basso, intenzionato a chiudere il cerchio dell’esistenza per far sì che il ciclo continui all’infinito. Siamo di fronte alla rappresentazione occidentale del simbolo dell’Uroboro, il serpente che si mangia la coda e che, fin dall’antichità, rappresenta l’eterno ritorno dell’esistenza. È un ritorno della materia, ma non necessariamente della forma di partenza. 

Ed ecco che torniamo all’idea di decadimento, insieme a quella di fallimento, per concludere in un cerchio, il viaggio: se in Caravaggio e Van Dyck lo scorrere del tempo era visto come una lotta per un obiettivo superiore o come, semplicemente, l’alternarsi degli eventi e la rigenerazione dopo l’inverno dell’esistenza, ritornare a riflettere sull’opera di Sassolino porta a un arricchimento: il concetto di ciclicità e di contrasto fa spazio all’idea di fallimento; dalla circolarità, inevitabile, dell’esistenza, si deraglia verso uno squilibrio a favore dell’ineluttabilità del destino: la materia sembra consumarsi, cambiando nello spazio e nel tempo; il nostro sforzo per bloccare questo cambiamento non fa altro che rallentare un processo che è quello dell’esistenza, seppur nella perdita di ciò che è stato e che conosciamo. 

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