Luca Beatrice è Presidente della Quadriennale. Scelta azzeccata per un ente nato per valorizzare l’arte italiana

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E così l’ha spuntata Luca Beatrice. Sarà Presidente della Quadriennale, a sostituzione di Umberto Croppi, che ha ricoperto la medesima carica fin dal 2019. Un segno di lungimirante continuità per un’istituzione che è stata sempre molto attenta alla grande varietà e complessità dell’arte italiana, ben lontana, sotto questo aspetto, dalle pastette elitarie del “sistema chic”, quello che ha sempre privilegiato (e, potremmo dire, quasi imposto) la presenza, nelle mostre pubbliche di rilievo e nei luoghi “significativi” del contemporaneo, di una pletora di malaccozzati artisti stranieri, e di pochissimi italiani – quasi sempre solo e unicamente quelli legati alle “gallerie che contano”, per intenderci –, di fatto bandendo dalle grandi manifestazioni di respiro internazionale i moltissimi e ottimi talenti che l’Italia esprime ovunque, dalle grandi città fino ai centri minori, anche se spesso privi di padri protettori e di sponsor di rilievo.

In questo, il profilo di Luca Beatrice, ottimo critico, talent scout di giovani talenti fin dalla prima ora, attento e acuto esegeta della miglior pittura italiana, giornalista culturale di razza (ha scritto, oltre che per molte testate di settore, per Il Giornale e ora per Libero), battitore libero nel senso più autentico del termine, teorico di un approccio metodologico “sul campo” più che sussiegosamente ripiegato nella torre d’avorio delle teorie aprioristiche del contemporaneo e della curatela per dir così “prudente” e circospetta, quella fatta col manuale Cencelli delle gallerie “importanti” a far da guida e da Bibbia, com’è da sempre abituata a fare buona parte dei curators più in voga in Italia – in questo, dicevamo, Luca Beatrice possedeva e possiede il curriculum perfetto, ottimale, per una manifestazione che, fin da tempi non sospetti, celebra il “genio italico” in ogni sua forma, indagando e monitorando, appunto, l’estrema varietà e complessità dell’arte – dalla pittura alla scultura alle tecniche installative alle nuove tecnologie – sparsa a pioggia sul territorio italiano.

Il suo ultimo, ottimo libro dedicato all’arte italiana (Le vite, Un racconto provinciale dell’arte italiana, Marsilio editore), ben testimonia non solo del suo grande e decennale lavoro “sul campo”, come compagno di strada, testimone, esegeta del lavoro dei moltissimi artisti, i più diversi, che affollano il panorama artistico italiano, ma anche della sua vocazione orgogliosamente e autenticamente “provinciale”, nel senso di una rivendicazione di attaccamento a ciò che di meglio i campanili, intesi come le città e le cittadine, ma anche le scuole regionali, le comunità di artisti e finanche i singoli studi isolati di artisti sparsi ovunque sul territorio, sanno offrire in termini di forza identitaria, di ricchezza e varietà dei linguaggi, di ricerca profonda del senso del fare arte, e non solo come specchietti per le allodole dell’omologazione e dell’adesione ai diversi “sistemi” e alle diverse “urgenze” che l’arte contemporanea, questo oggetto spurio e sfuggente, spesso snobisticamente incomprensibile e altrettanto spesso banalmente piegato a mere logiche di profitto e di comodo dei principali attori che ne reggono le fila, decide di volta in volta debbano essere quelle vincenti.

In questo, non sappiamo come Beatrice si rapporterà con il suo (ancora per poco: la sua carica scadrà a breve) direttore artistico, Gian Maria Tosatti – nomina sulla quale fin dall’inizio in molti avevano storto il naso, a cominciare proprio dallo stesso neo-presidente, per il carico di onori del tutto inusuale per una sola persona, e per la macroscopica inesperienza curatoriale (mica per niente è un artista, e non uno studioso né un critico) che lo caratterizza. Non lo sappiamo, ma sappiamo anche che Beatrice è un critico navigato, un ottimo mediatore, quando vuole, insomma un uomo di esperienza e di saggezza. Crediamo quindi che saprà dare slancio e vitalità, e probabilmente anche un po’ di svecchiamento di matrice pop, che d’altra parte caratterizza le sue mostre da sempre (e non è un caso che si sia laureato con una tesi sulla storia del cinema, che abbia guardato e guardi con interesse alla letteratura contemporanea, di cui è stato anche attento e intelligente critico, e che una delle sue grandi passioni, Juve a parte, siano il rock e la sua storia, su cui ha costruito più di una mostra di rilievo), a un ente storico come la Quadriennale, rimanendo fedele alla vocazione originaria dell’istituzione, da sempre (cioè dalla sua fondazione, nel 1927) attenta alle istanze del territorio, della pittura e della scultura italiane, alla ricchezza e vivacità di una realtà artistica che, per crescere e germogliare, anziché i consueti piagnistei di maniera, ha soltanto bisogno, come una buona pianta, di cura, attenzione, intelligente accompagnamento fuori dalle secche dell’elitarismo forzato cui il sistema Italia l’ha troppo spessa relegata, rischiando troppe volte di soffocare in culla talenti, ricerche, mestieri, carriere. Un buon augurio dunque e un viatico di slancio, energia, rinnovamento nella continuità.

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