Violenza di genere. Anche l’arte ha le sue vittime

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Schiacciate dagli uomini, manipolate psicologicamente, private della loro arte, stuprate e qualche volta anche uccise: quello dell’arte non è un mondo a parte per quanto riguarda la violenza di genere. 

E se un processo per stupro è un bagno di sangue oggi, immaginatevi cosa sarà stato nel 1612 per Artemisia Gentileschi. Eppure lei, tra visite mediche invasive e torture spietate, non molla. Una forza che ne farà la più grande pittrice di storie del Barocco, indipendente economicamente e faro per le colleghe che la seguiranno. 

Camille Claudel

C’è però chi resta annientata. Pensiamo a Camille Claudel e al suo vampiro. Auguste Rodin è quello che oggi si definirebbe un narcisista manipolatore: un uomo capace di alternare travolgenti dichiarazioni amorose a silenzi ostili e lunghe assenze fino a minare completamente l’autostima della sua compagna e ad annientarne la volontà. E così, nonostante sia oramai una scultrice di successo, all’ennesimo rifiuto dell’amante di lasciare la compagna ufficiale Rose, Camille perde il senno. Finirà in manicomio, abbandonata anche dalla famiglia, rimanendoci per trent’anni fino alla morte. E la stessa sorte tocca a Dora Maar. Ottima famiglia dalla mentalità moderna, studi solidi, viaggi, un grande talento per la fotografia e un solo fatale difetto: essersi innamorata di Picasso. A lui le donne forti piacciono per un motivo: dà più soddisfazione annientarle. Dora, nelle sue mani, diventerà la “donna che piange”, perderà sicurezza, lascerà l’arte e, una volta abbandonata, si chiuderà in una clinica psichiatrica. 

Unica Zurn

Sceglierà invece il suicidio Unica Zürn, artista spesso dimenticata e miracolosamente recuperata da Cecilia Alemani nella sua Biennale Il latte dei sogni. Disperata, reduce da un divorzio che le vede strappare anche i figli, decide sciaguratamente di consolarsi tra le braccia di Hans Bellmer. Lui è il surrealista delle bambole deformi e ipersessuate, quello che candidamente dichiarava che tutti gli uomini, sotto sotto, desiderano abusare sessualmente delle donne e mutilarle. Unica si presta a interpretare le sue fantasie più perverse e quando Hans decide di lasciarla, lei si lancia dalla finestra. 

Poi a volte è “papino” a combinare il disastro. Quello di Louise Bourgeois tradisce spudoratamente la moglie, amoreggiando con l’insegnante di inglese dei figli davanti a loro, e usa la piccola Louise come pretesto per uscire quando va al bordello (lei, almeno, aspetta fuori); semplicemente odia le donne: un giorno, a tavola, pulisce meticolosamente un mandarino dando alla buccia la forma di un omino con un gagliardo pene eretto (artista anche lui!) e commenta che Louise, purtroppo, non ha niente di così interessante. Lei lo ripaga cominciando la sua travolgente carriera con l’installazione The destruction of the father, banchetto cannibale in salsa freudiana in cui – racconta – traduce la sua fantasia di bambina che tutta la famiglia si riunisse intorno al tavolo e smembrasse papà pezzo per pezzo. 

Va un po’ peggio a Niki de Saint Phalle, abusata sessualmente dal padre durante l’adolescenza. Si sfoga nell’arte con i Tiri, azioni in cui sia l’artista che il pubblico sparano con una carabina su tele preparate con rilievi di gesso e sacchi di colore che esplodono. Solo dopo, scaricata la rabbia, arriveranno le morbide, accoglienti e colorate Nana.

Un’opera di Margaret Hawkins

Margaret Hawkins del suo aguzzino manipolatore si innamora e se lo sposa. Lei dipinge bambini tristi con gli occhioni lacrimosi, lui – tale Walter Keane: agente immobiliare pigro e senza successo – fiuta l’affare e, una volta datole il suo cognome, le suggerisce di firmarsi con quello. Poi si appropria delle opere. Il business che creano quelle faccine ha dell’incredibile: non esiste americano che non ne voglia una in casa. Tutti lodano il grande artista Walter Keane, i vip fanno la fila per un ritratto, e mentre lui si occupa delle pubbliche relazioni e si pavoneggia, lei sta segregata in casa a dipingere. Con le tendine tirate, naturalmente, perché nessuno possa mangiare la foglia. Quando finalmente lo lascerà, rivelerà la truffa e si ricostruirà una vita con un nuovo amore, la beffa sarà che comunque tutti (anche Tim Burton che le dedicherà il film Big eyes) continueranno a chiamarla Keane.

L’ultima in ordine di tempo è Pippa Bacca. Nipote di Piero Manzoni, una passione per l’objet trouvé, purché intriso di memorie, l’8 marzo 2008 parte con la collega Silvia Moro per la performance itinerante Spose in viaggio. L’idea è quella di attraversare in autostop undici paesi in guerra, vestite da sposa per portare un messaggio d’amore e di pace. Le due artiste si separano a Istanbul con lo scopo di incontrarsi pochi giorni dopo, ma proprio in Turchia, a Gebze, il 31 marzo Pippa Bacca è violentata e poi uccisa da un uomo che le ha dato un passaggio. 

Resta il mistero su Ana Mendieta, l’artista cubana delle Siluetas scavate nella terra col suo corpo e delle performance contro la violenza sessuale (per Rape scene, azione di protesta contro gli insabbiamenti relativi all’omicidio di una compagna di università, Ann Otters, si fa trovare nella sua stanza al Campus seminuda, sanguinante e riversa faccia in giù su un tavolo). La notte tra l’8 e il 9 settembre 1985 Mendieta cade dal trentaquattresimo piano del palazzo nel Greenwich Village dove vive con il marito, l’artista Carl Andre. Qualcuno li ha sentiti litigare, e non è la prima volta. Ma dal processo che segue questa morte misteriosa Andre esce pulito.

Inquietante oltre ogni limite il fatto che lui commenti l’accaduto spiegando che stavano discutendo sul fatto che lui era più famoso di lei. E che poi lei si è buttata.

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