Tamara de Lempicka e D’Annunzio, di un ritratto mai fatto e di un amplesso mai consumato

In questa rubrica vi raccontiamo storie, aneddoti, gossip e segreti, veri, verosimili o fittizi riguardanti l’arte e gli artisti d’ogni tempo. S’intende che ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti sia puramente casuale…

Molti e disparati sono gli aneddoti riguardanti la vita di Tamara de Lempicka. Uno, in particolare, riguarda una visita che la pittrice polacca fece a Gabriele D’Annunzio al Vittoriale, il santuario sul lago di Garda che il Comandante eresse a testimonianza imperitura del culto di se stesso. Era il gennaio del 1927 quando Tamara sbarcò a Gardone Riviera, abitato in quel momento, oltre che dal Comandante, da Luisa Baccara che allietava le serate di tutti suonando il pianoforte, da una ballerina diciassettenne, venuta nella speranza di una raccomandazione a Djagilev per i Balletti Russi, e da Aélis Mazoyer, giovane contadina entrata nella grande villa sul Garda come cameriera e divenuta presto l’amante di D’Annunzio, che gli fu vicina fino alla morte (“Sono stata la serva più fedele, l’amante più disponibile, la compagna più devota. Per quasi trent’anni ho condiviso con lui una vita straordinaria, senza mai pentirmi di nulla”, dirà).

Tamara arriva in pompa magna il mattino dell’11 gennaio, una domenica. Pochi giorni prima gli aveva scritto, da Firenze: “chissà se vi piacerò, così, una studentella, senza il mio guardaroba parigino, senza i miei cosmetici?”. Lui confessa ad Aélis, la sua amante-complice: procederò con lentezza, ma sarà mia. Un dubbio – premonitore? – lo assale però all’ultimo: “E se non dovesse funzionare?”. Poi, prosaicamente: “Potrà sempre farmi un ritratto — le farebbe una buona pubblicità”. Quello che non sa, è che proprio per fargli un ritratto, e non per altro, la pittrice veniva a fargli visita a Gardone.

Eccola, dunque, la contesissima pittrice regina dei salotti parigini, descritta nelle cronache mondane dell’epoca con ogni sorta di epiteti strabilianti, “sontuosamente bionda”, “sottile, levigata e rotonda nei posti giusti”, incedere di fronte a un Comandante sempre più vecchio, sempre più solo e perso nei suoi giuochi privati di piccole seduzioni e altrettanto piccole perversioni. L’accoglienza che il Vate le riserva è di quelle sontuose, anzi, sontuosissime, degne d’un capo di Stato. Per prima cosa fa sparare un paio di colpi di cannone dalla prua del suo incrociatore, il Puglia, la cui massiccia mole si trovava, e si trova tutt’ora, saldamante ancorata tra le falde del parco del Vittoriale, al grido di: “Per Voi! Per la Polonia! Per la vostra Arte! Per la vostra Bellezza!”. Poi la porta nella stanza che ha riservato per lei, quella della Leda, arredata con mobili orientali, ori sbalzati, elefanti in maiolica cinese e piatti arabo-persiani, che prendeva il nome da un grande gesso posto sul caminetto raffigurante Leda amata da Giove trasformatosi in cigno, sulla cui porta si leggeva il motto: Genio et voluptati, al genio e al piacere, e, dall’altro lato, Per un dixir, per un solo desiderio; stanza da cui, si diceva, “nessuna donna era mai uscita incolume” (da lì era da poche ore transitata la principessa di Piemonte). Qui, annota Giancarlo Marmori, raffinato scrittore e traduttore, che prefasse il volume che alla pittrice dedicò Franco Maria Ricci nel 1977, “la sottopose alla prova sontuaria, tentò cioè di provocare in lei il riflesso della vanità e, conseguentemente, della prova cortigianesca, gettandole ai piedi una profusione di vesti e ornamenti più o meno esotici, più o meno sfarzosi. Ma tra quei crespi di Cina, velluti e merletti, la pittrice scelse solo un paio di calze di seta”.

La Stanza della Leda al Vittoriale

Lei viene subito al dunque: “Vorrei, gli dice, che posaste per me”. Lui già se n’adonta. Che sia già fallito il proposito di seduzione? Ecco allora che parte un serratissimo corteggiamento, che durerà una diecina di giorni. Parole ardenti, baciamano, strusciamenti, suppliche, regali: nulla servirà a smuovere la bionda pittrice polacca di cui tutto il bel mondo, a dispetto del marito, conosceva le avventure amorose, delle quali poi riportava regolarmente i “trofei” sotto forma di ritratti. Una sera lei arriva a dirgli, che, per paura della sifilide, non si è mai lasciata andare ad avventure extraconiugali (nonostante fosse nota a tutti la sua disinvoltura in questo campo). “Vedete, ho un marito giovane e preferirei evitargli un dono del genere. Voi avete così tante donne che mi chiedo se posso davvero fidarmi”. Lui trasecola: “Come si permette di parlarmi in questo modo?”. Aélis, la sua amante-complice, gli sussurra all’orecchio, perfida: “Ho l’impressione che accetti i vostri omaggi fin troppo di buon grado: in due giorni le avete dato più di venticinquemila lire”. “Sì”, risponde lui, “avrei fatto meglio a darle a un pover’uomo”.

Gabriele DAnnunzio sullincrociatore Il Puglia a Gardone Riviera

Una sera, l’ultimatum: “Vogliate o non vogliate, questa notte sarò da voi!”. La notte stessa, dunque, eccolo aprire la porta della Stanza della Leda (al Vittoriale, per ordine del Comandante, nessuna porta possedeva una chiave). Lei non ebbe il tempo di reagire, che il Comandante fu, come scrisse un cronista, “un uragano di accenti”: la bacia, la cinge, le si struscia addosso, “proprio come fanno i barbieri in campagna”, annoterà il poeta (assai poco poeticamente per la verità), “col loro rasoio sulla striscia di cuoio”; la esorta a prendere della cocaina, balsamo preferito del solitario comandante. Lei niente, irremovibile: “Non voleva annusare a nessun costo”, annotò in seguito D’Annunzio, “per paura di ricadere nel vizio, come le era successo qualche anno prima. Se ne strofinò solo un poco sulle gengive…”. “Cercai di ammansirla levandomi il pigiama e mostrandole la bellezza del mio corpo. Lei però distolse lo sguardo e disse che detestava la pornografia”. Quello che in realtà detestava, si scoprì poi, era proprio il corpo e le attenzioni del triste Poeta ormai in disarmo. Cercò infine “di penetrarla”; e lei, di risposta: “Perché vi comportate tanto da villano?”.

Tamara de Lempicka mentre esegue un quadro Getty Images

“Quando le domandai se non volesse rivelarmi una volta per tutte cosa si aspettava da me”, dirà in seguito D’Annunzio, “cominciò a parlare del ritratto che aveva intenzione di dipingere e disse: ‘Può darsi che non vogliate toccare questo argomento perché non conoscete i miei prezzi’. Non potei fare a meno di ribattere: ‘Come avete detto, Madame? Se credete di poter parlare in questo modo con Gabriele D’Annunzio, vi sbagliate. Addio!’”. E, offeso nel profondo del cuore, o per meglio dire in fondo all’inguine, concluse: “Voi non siete una signora, bensì nient’altro che una cocotte, una cocotte molto accorta, lo ammetto. Solo la cortesia mi impedisce di farvi mettere alla porta dalla più umile delle mie serve. Eppure io rimarrò un signore fino alla fine (sic!), lo faccio per vostro marito, che d’altra parte posso solo compatire per avere avuto in sorte una donna come voi”. E così finì l’avventura, mai consumata, tra D’Annunzio e la pittrice dell’alta società, che lui non riescì mai a conquistare, e di cui lei non riescì mai a fare il ritratto.

Qualche giorno dopo, a mo’ di epilogo, mentre s’era rifugiata in casa di amici nelle vicinanze, lui le fece recapitare, forse per scusarsi di tante e tali insistenze, molestie e cafonaggini, un anello di topazio. Lei ringraziò, asciutta. Ma agli amici confessò di detestare con tutto il cuore “quel nano in uniforme”.

Le puntate precedenti degli aneddoti sulle vite degli artisti le potete trovare qua:

Picasso e quella strana passione per il bagno

Manet, Monet e quel giudizio velenoso su Renoir

Annibale Carracci, i tre ladroni e l’invenzione dell’identikit

Quando Delacroix inventò l’arte concettuale

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Il prossimo aneddoto sulla vita degli artisti lo trovate qua:

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