Il MASI di Lugano inaugura la stagione autunnale col botto. Apre al pubblico Luigi Ghirri. Viaggi, Fotografie 1970-1991, una delle più grandi retrospettive dell’artista, visitabile fino al 26 gennaio 2025. L’incarico è stato affidato a James Lingwood, importante curatore di fama internazionale e co-fondatore insieme a Michael Morris di Artangel, prestigiosa associazione culturale londinese che produce progetti d’artista tramite finanziamenti pubblici e privati.
È singolare che sia stato selezionato un curatore di arte contemporanea invece che di fotografia, come generalmente accade. Questa scelta ha un chiaro scopo: la possibilità di approcciarsi in maniera alternativa a delle immagini più che note. Lingwood, affiancato a Lugano da Ludovica Introini a capo del coordinamento del progetto, si era già occupato nel 2018 di una personale di Ghirri al Reina Sofia di Madrid, promuovendo la notorietà dell’artista anche all’estero, purtroppo non molto conosciuto. Ma da dove nasce l’idea di portare a Lugano una personale su Luigi Ghirri? Lo spiega direttamente l’assistente alla curatela Virginia Marano: “Innanzitutto è la prima grande mostra di Ghirri che viene fatta in Svizzera, il quale sicuramente è molto conosciuto in Italia ma poco all’estero. Uno degli obiettivi era quindi anche quello di promuoverne la notorietà”.
La selezione delle opere al MASI comprende 140 fotografie a colori, principalmente provenienti dagli eredi di Luigi Ghirri e dalla collezione dello CSAC di Parma. Queste includono sia gli scatti più noti che quelli meno conosciuti, alternando novità e familiarità.
Senza dubbio uno dei più importanti fotografi italiani degli anni Settanta, Luigi Ghirri (Scandiano, 1943 – Reggio Emilia, 1992) inizia a dedicarsi seriamente alla fotografia all’età di ventisette anni, dopo aver lavorato come geometra nella provincia di Reggio Emilia. Il precedente impiego lavorativo ha certamente influito nel suo modo di fotografare, avendo contribuito a determinare la precisione dell’inquadratura di ogni sua fotografia, escludendo elementi estranei.
Il viaggio è sempre stato un tema centrale nelle sue opere, dove immortalava incessantemente paesaggi delle sue avventure o di vacanze in famiglia e la mostra al MASI restituisce appieno la necessità quasi spasmodica dell’artista di ritrarre i luoghi che hanno fatto parte della sua vita, rendendo partecipi anche gli spettatori delle sue due grandi passioni.
“L’idea di una mostra su Ghirri articolata come se fosse un viaggio, invece che in ordine cronologico, è assolutamente una novità, non era mai stata fatta prima – spiega Virginia Marano, assistente alla curatela – L’idea del viaggio e del turismo sono stati interpretati diversamente, in maniera più profonda”. Il viaggio, nelle foto di Ghirri, non viene quindi concepito solo nel senso letterale del termine ma anche nel suo significato più intimo e personale, come esplorazione interiore.
Un “astronauta da camera” così lo ha definito un suo caro amico, racconta la figlia Adele. Non si potrebbe trovare paragone più azzeccato: l’immagine di Ghirri che dalla sua macchina fotografica è in grado di esplorare l’universo è molto poetica ma anche molto veritiera. Fin dagli esordi, prese la decisione di lavorare esclusivamente a colori perchè “il mondo reale non è in bianco e nero”. Solo da questa semplice affermazione è chiaro quanto per lui fosse importante restituire un’immagine il più reale possibile, quello che i suoi occhi vedevano doveva allinearsi alla fotografia. La genuinità dei suoi scatti è di fatto quello che più lo contraddistingue. Si tratta di foto con geometrie semplici, talvolta malinconiche, come d’altronde è la vita, dove la figura umana è marginale se non addirittura assente.
“Quando viaggio, faccio due tipi di fotografie, quelle solite, che fanno tutti, e che in fin dei conti mi interessano poco o niente, e poi le altre, quelle a cui veramente tengo, le sole che considero ‘mie’ davvero” osserva il fotografo. Luigi Ghirri ritrae senza dubbio luoghi convenzionali e turistici ma lo fa attraverso un’ottica totalmente nuova e un punto di vista alternativo, che non hanno nulla a che fare con la classica fotografia da viaggio.
Le fotografie sono presentate in ordine tematico invece che cronologico. La mostra si apre con la sezione intitolata Paesaggi di cartone: il titolo della serie venne dato dall’artista per la prima volta nel 1973 e poi si ampliò in un progetto più ampio chiamato Kodachrome. In questa prima parte della mostra si trovano scatti di immagini “trovate” da Ghirri nell’ambiente quotidiano, come manifesti e cartoline. Fin dagli esordi negli anni Settanta, l’artista è stato attratto dalle immagini che casualmente incontrava e a cui dava un nuovo significato attraverso la fotografia. In questa personale al MASI ci possiamo quindi imbattere nell’immagine di un mare scintillante a Modena o di un panorama alpino a Reggio Emilia, a dimostrazione di quanto la contraddizione sia solo apparente e la fotografia ritragga anche una realtà inaspettata.
Di grande interesse è anche la terza sezione della mostra, dal titolo Viaggi in casa. Ghirri scattò la maggior parte delle sue fotografie durante i suoi viaggi. Le eccezioni di rilievo sono due: le opere intitolate Atlante e Identikit, ideate e realizzate in casa. Nel 1973 ingrandì con un obiettivo macro, singole pagine del suo atlante, catturando dettagli di deserti, oceani e catene montuose. Stravolse le immagini tradizionali della cartografia, facendo nascere Atlante. Tre anni dopo realizzò invece Identikit, fotografando libri, dischi, mappe e souvenir che aveva in casa. L’opera è un vero e proprio identikit dell’artista, come il titolo specifica, realizzato però con gli oggetti che meglio lo rappresentano.
Nonostante il percorso espositivo sia chiaramente articolato in sezioni, è importante sottolineare la fluidità che questo garantisce. Il pubblico è infatti invitato a ripercorrere la mostra a ritroso e a stabilire liberamente connessioni tra pensieri e immagini così come spontanei collegamenti tra le varie fotografie. La curatela ha preso la decisione di rendere la visita sciolta e svincolata da rigide impostazioni prestabilite, così come lo stesso Ghirri concepiva la fotografia. In questo modo l’opera fotografica viene concepita come viaggio, seguendo quelli che Ghirri definiva “gli strani grovigli del vedere”.
Degno di nota è sicuramente il display che la curatela del MASI ha deciso di adottare. Tutte le fotografie sono circondate da larghi bordi bianchi, che conferiscono all’immagine incorniciata l’impressione di trovarsi su una pagina di catalogo, come se le foto facessero parte di una raccolta sfogliabile.
Questa scelta non è certamente casuale: Ghirri aveva infatti utilizzato lo stesso display espositivo per presentare dei suoi scatti, alcuni dei quali presenti in mostra e firmati dall’artista. Lingwood ha quindi optato per uniformare il layout, conferendo omogeneità alla mostra e mantenendo allo stesso tempo la scelta espositiva dell’artista, impossibile da non considerare.