Tra il 26 settembre 2024 e il 16 febbraio 2025, la Sala espositiva di Palazzo Pallavicini a Bologna si trasforma in un palcoscenico dedicato alla vita e all’opera di una figura emblematica della fotografia e dell’attivismo politico del Novecento: Tina Modotti.
L’antico palazzo bolognese fa da sfondo; uno sfondo che passa in secondo piano, che scivola sotto le fotografie rivoluzionarie di una Modotti rivoluzionaria. In un arco di tempo troppo breve Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti diviene Tina, poi Tinissima, infine Maria. Nomi diversi per un solo volto, un unico sguardo sul mondo, scevro da sovrastrutture.
Una Modotti diciassettenne, immigrata in solitudine negli Stati Uniti, l’incontro col poeta Roubaix de l’Aubrey Richey, detto Robo, e il fotografo Edward Weston. Sono solo alcune tappe della vita di Modotti, vissuta in libertà e indipendenza, sempre con una macchina fotografica al collo. «Una Tina felice e libera, felice perché libera», così si definisce Tina Modotti in una lettera dell’aprile 1925.
Tutto, nella vita della fotografa udinese, pare accompagnare verso la verità dell’esistenza, vissuta con un’intensità profonda e totalizzante. I suoi scatti sembrano fissare un modello di indipendenza, emancipazione e avanguardia. Tina Modotti comprende che la fotografia può andare oltre la ricerca estetica, che può contribuire alla denuncia sociale dei contesti in cui sceglierà di vivere. Registra ogni aspetto lasciando ampio spazio alla figura umana, quasi a volerne ribadire l’assoluto protagonismo: la storia non può essere senza gli uomini e le donne che la raccontano.
Il suo obiettivo cattura i segni del tempo e la fatica del lavoro impressi sui volti del popolo messicano, le mani sporche di terra dei contadini, la forza delle donne e delle madri che portano pesanti vasi mentre reggono in braccio bambini, mani che strofinano panni, bambini precocemente adulti con sguardi troppo seri, sguardi senza futuro, le radici della lotta di classe, i lavoratori, le lavoratrici; tutto questo sostituisce i fiori e le piante dei primi anni di sperimentazioni artistiche.
È con la fotografia che si unisce al mondo: tra lei e il reale solo un obiettivo. Ed è la realtà che entra nell’arte, una voce si alza nel silenzio, la fotografia diventa poesia. Tra le pieghe dei suoi scatti traspare l’attivismo che la caratterizza. Che fanno di lei una rivoluzionaria. Nella forza e nell’indipendenza delle donne tehuane ritrova le sue origini più profonde di donna emancipata e moderna.
Ma Modotti si dedica alla fotografia solo dal 1923 al 1930, per poi concentrarsi sul giornalismo e sulla politica. L’attivismo attraverso la fotografia è, appunto, solo una parte della sua rivoluzione. Modotti conosce con consapevolezza la sua bellezza, il suo corpo: non teme il nudo davanti alla camera di Weston; scopre un corpo bello e potente. Nuda, sicura, presa in primi piani o scorciata dall’alto, dove le curve del suo corpo disegnano paesaggi.
Non traspare giudizio dagli scatti di Tina, ma una sorta di trasfigurazione simbolica del reale, che trova così una collocazione fuori da ogni tempo e spazio. Sarà protagonista degli eventi più intricati degli anni tra Mosca, Berlino, Spagna e infine il Messico, dove ritorna, inconsciamente, per morirvi, il 5 gennaio del 1942.