Al Pirelli HangarBicocca il nuovo grande murale di el Seed: parola all’artista e al curatore

Il progetto “Outside the Cube” di Hangar Bicocca, nato nel 2016 e dedicato alle forme d’arte pubblica su scala architettonica, dopo aver ospitato per otto anni l’opera Efêmero di OSGEMEOS quest’anno ha rinnovato la proposta con la commissione di un’opera site specific dell’artista tunisino, naturalizzato francese, el Seed.

Waves Only Exist Because the Wind Blows (Le onde esistono solo perché il vento soffia) è il titolo del nuovo intervento monumentale che campeggia sulle pareti esterne del “Cubo” di Pirelli HangarBicocca, per una superficie totale di 1000 metri quadrati, visibile anche dall’area adiacente di Sesto San Giovanni, dalla strada contigua e dalla ferrovia limitrofa. 

Con la forma di un’onda che incarna perfettamente il tema del viaggio e dello spostamento, la composizione è caratterizzata da intricati livelli di colore e di segni linguistici, che rimandano a particolari simbologie e messaggi universali.

Abbiamo incontrato l’artista el Seed e il curatore Cedar Lewisohn e gli abbiamo rivolto alcune domande per comprendere meglio la genesi e i significati profondi di quest’opera in rapporto alla situazione attuale dell’urban art.

eL Seed Ritratto Courtesy eL Seed

El Seed, come sei arrivato a concepire quest’opera sulla facciata del Cubo dell’Hangar e quali sfide hai dovuto affrontare?

Sono anni che parliamo di questo intervento con Hangar Bicocca. Poi c’è stato il Covid e quindi tutto è stato posticipato. E penso che oggi sia arrivato il momento perfetto per il lancio del progetto visto quello che sta succedendo nel mondo. Per quanto mi riguarda, mi sembra che le vicende attuali stiano cercando di separarci tutti. Questo pezzo può invece essere una sorta di invito a riunire le persone, a farci accettare le nostre differenze e ad accoglierci tutti.

L’opera è stata realizzata nell’area esterna dell’hangar, che è un modo per portare l’arte alla gente, invece di portare la gente all’arte. E penso che questa sia la mia missione!

Qual è il messaggio che hai voluto comunicare con questo lavoro?

Qui ho utilizzato quello che io chiamo un ‘linguaggio visivo ispirato alla calligrafia araba’. 

E quello che cerco di fare è creare opere d’arte che siano rilevanti per il luogo in cui le ho create, ma assicurandomi che il messaggio o il tema di cui sto parlando sia globale, universale, che chiunque possa identificarsi con esso.

Il tuo lavoro, derivando dal lettering di strada, è molto legato al linguaggio e alla letteratura poetica. Puoi descriverci questo aspetto?

Penso che il linguaggio sia un modo per creare connessioni. Sono dell’idea che quando impari una lingua, capisci la connessione che c’è tra te e la tua lingua. Ci rendiamo conto che siamo tutti connessi, la nostra umanità è connessa, ma anche la lingua ci connette. 

La calligrafia non è fatta per essere letta, è fatta per essere decifrata. Quindi voglio che le persone guardino l’opera e possano vederla come una sorta di opera astratta. 

Io non mi definisco per la lingua che uso e nemmeno per la nazionalità. Mi definisco in base alla storia che vivo, sono un prodotto della storia. E considero la scrittura araba come un mezzo. Se fossi indiano, userei il sanscrito. 

eL Seed Love – Milan, Italia- 2021

Ti consideri ancora un artista di strada? Pensi che sia ancora possibile lavorare oggi in maniera estemporanea nel contesto della strada?

Io mi considero un artista, ho iniziato con la Street Art, ma poi c’è stata un’evoluzione e in questi venticinque anni ho iniziato a percorrere pratiche diverse, dalla pittura alla scultura, dalle installazioni artistiche alla fotografia. Spesso però è più facile etichettare gli artisti in una categoria senza riconoscerne i cambiamenti. 

Io uso parole e citazioni letterarie prese dalle persone e dal luogo in cui intervengo.

Per questo pezzo ho trovato ispirazione nelle parole di Cesare Pavese, tratte dal romanzo La Luna e i falò, dove affermava che ognuno di noi ha bisogno di un posto a cui appartenere, almeno per il gusto di viverlo. E per me si è trattato dello stesso bisogno di esprimere il senso di appartenenza a un luogo, il bisogno di avere una casa, un posto a cui appartenere. 

Si tratta di definire la casa, definire il luogo a cui apparteniamo. 

Intervista a Cedar Lewisohn

Cedar Lewisohn photo by Matylda Krzykowski

Cedar, nel 2008 curasti la mostra “Street Art” alla Tate Modern di Londra, una delle prime grandi mostre di arte pubblica in un museo, che presentava il lavoro di sei artisti il cui lavoro era strettamente legato all’ambiente urbano. Ora molti di questi artisti sono diventati delle star internazionali come Os Gemeos, JR, Faile. Lo avresti immaginato?

Quando nel 2008 curai la mostra “Street Art” alla Tate volevo catturare una istantanea di ciò che stava accadendo in quel momento. Ed è stato una specie di esperimento. Molti dei miei progetti curatoriali sono esperimenti. Non sempre si prevede cosa succederà dopo, è un po’ come quando un artista realizza in strada opere effimere che poi vengono rimosse.

Ed è sempre così quando lavori su progetti, in particolare progetti di alto profilo, a volte gli artisti vanno avanti e realizzano lavori molto ambiziosi mentre altre volte voglio sviluppare progetti più discreti. Ogni artista è diverso. 

Quella è stata un’istantanea del momento, ma è stata anche l’occasione per fare qualcosa che normalmente non si vedeva a Londra, così come oggi ho portato a Milano un artista quale El Seed che non si era ancora visto. 

Quindi è bello istituire ponti e portare artisti in luoghi diversi del mondo, creando un certo tipo di interazione globale e al tempo stesso connettendosi con le varie comunità locali. 

Street Art exhibition on the front exterior of Tate Modern shoiwng the work of Sixeart JR and Faile

In questi anni la scena del Writing e della Street Art è notevolmente cambiata rispetto ai suoi inizi alcuni decenni fa. Cosa ne pensi al riguardo?

Tutto è completamente cambiato. Quando ho realizzato la mostra “Street Art” alla Tate Modern, nel 2008, era, in un certo senso, una cosa nuova, anche se la storia del Writing risale a molto tempo fa, alla fine degli anni Sessanta in termini di scrittura di graffiti e così via. Nel 2008 iniziava a prendere piede il concetto di “Street Art”. E ora è cambiato tutto di nuovo, tutto è diventato accettato dalle istituzioni e si è sviluppato un nuovo mercato che è globale. Penso anche che la diffusione dei social media e di Internet abbia avuto un enorme impatto sulla percezione del fenomeno del Writing e della Street Art e sulla velocità con cui può diffondersi in tutto il mondo. 

Anche rispetto a El Seed, ha davvero attinto a una sorta di bagaglio di parole e frasi del pubblico online per il suo lavoro. E penso che lo facciano anche molti altri artisti. 

LOADING Urban art in the digital age photos from the exhibition

A Parigi è in corso una mostra immersiva e digitale sul fenomeno dell’arte di strada, intitolata “Loading. Street Art in the Digital Age” presso il Grand Immersive Palace. Hai per caso visto questa mostra e cosa ne pensi dell’impatto delle tecnologie di produzione e diffusione digitale sugli artisti urbani?

Sfortunatamente mi sono perso la mostra, ma sono stato recentemente a Parigi, ho incontrato il curatore Christian Omodeo e ho visto l’archivio che sta realizzando sulla storia dell’arte urbana. Penso che questa fusione tra tecnologia, realtà virtuale, spazio virtuale e mostre in generale sia una dimensione dell’arte molto interessante.

Ed è fantastico che sia stato fatto un progetto con i graffiti, ma allo stesso tempo penso questo spettacolo digitale e immersivo non possa esistere senza che prima sia stata fatta una ricerca estremamente approfondita a livello di archivio sulla storia della Writing e della Street Art. Quindi sì, il regno digitale delle mostre è super eccitante, ma penso che le fondamenta provengano da questo tipo di archiviazione di tracce nello spazio fisico. 

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