El Greco a Palazzo Reale di Milano: que pintor!

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Ero ancora molto piccolo quando ebbi il mio primo incontro con la pittura, avrò avuto più o meno sette anni ed allora frequentavo la seconda elementare di una piccola scuola nella provincia di Taranto, città che allora non brillava di certo per le sue iniziative artistiche o culturali più in genere. Nel percorso didattico delle scuole di quella zona era obbligatorio l’annuale passaggio attraverso quei pochissimi laboratori organizzati dal Museo della città che volevano provare ad educare le nuove generazioni ad un uso più consapevole ed intelligente dell’immenso patrimonio archeologico di Taranto e fu lì che ebbi la mia prima folgorazione pittorica.

Le vetrine dedicate alla ceramica dipinta greca e coloniale conservano capolavori immensi ed io ci spiaccicai la faccia sopra sopraffatto dal senso di bellezza infinita che quelle figure nere e rosse sapevano sprigionare. Non sapevo riconoscere né le scene né tanto meno chi fossero i protagonisti di quelle storie, di quale bestiario facessero parte le figure mostruose dipinte o a chi appartenesse la mano che aveva costruito tutto quello ma lì compresi quel fosse il potere enorme di un pennello e soprattutto di chi lo sapesse usare.

Non è un caso che la pittura fiorisca in Grecia così come altri elementi basilari delle nostre società contemporanee ed è altrettanto stimolante notare come già a partire dal VI sec. a.C. ci siano maestri ceramografi che tendono a volersi identificare in prima persona come i creatori di certe scene pittoriche, differenziandosi da tutta la massa di anonimi artisti loro contemporanei: pensiamo, cosi per dirne un paio, ad Exekias con la sua splendida anfora con “Achille ed Aiace che giocano ai dadi” oppure Eufronio con la Cappella Sistina della ceramografia attica quale è il cratere con “Il trasporto di Sarpedonte”.

Per secoli quella penisola è stata un crogiolo di esperienze incredibili che hanno dato vita ad un vero e proprio vulcano di creatività che sembra rimanere quieto per quasi un millennio, sopito dalla conquista romana e dalle vicissitudini medievali per poi riesplodere prepotente nella seconda meta del XVI secolo con un altro genio assoluto che ama firmarsi alla maniera dei grandi d’Attica: Domenico Theotikòpoulos detto El Greco! (Dio lo abbia in gloria).

Per anni si è sviluppato, intorno a questa geniale e del tutto unica figura del panorama manierista europeo, uno sterile dibattito su quanto ci fosse di permeanza (e permanenza) bizantina nelle sue opere, spostando così il focus lontano da quella che è la realtà dei fatti. In Domenico infatti permane ben viva e visibile non tanto la lezione dei grandi iconografi ortodossi ma bensì quel ricordo cromosomico che potremmo definire genetica di un popolo e che lo lega del tutto alle trionfanti figure, nude o vestite, che popolavano il fondo di una kylix o l’intero corpo di un’anfora panatenaica nel V secolo a.C. ad Atene.

El Greco, Palazzo Reale 2023, foto: Roberto Serra, courtesy: MondoMostre

Questa, credo che sia la più grande acquisizione che ci si può portare dietro dopo aver visitato la splendida mostra ospitata a Palazzo Reale a Milano e che vede El Greco come protagonista e che ci restituisce una immagine complessiva dell’artista di assoluto valore, grazie a prestiti importantissimi di rilevanza internazionale.

L’accurata scelta curatoriale di nomi pesantissimi come Juan Antonio Garcia Castro, Palma Martinez – Burgos Garcia e Thomas Clement Salomon segue giustamente quello che è il percorso di vita del pittore che si muove come in un labirinto, all’interno del quale la tappa italiana diventa (come sempre) dirimente.

È una delizia per gli occhi poter finalmente ammirare la tavola con la splendida Adorazione dei magi solitamente al Museo Lazaro Galdiano di Madrid datata al 1568/69 e che denuncia già una piena acquisizione dei modelli veneziani di cui aveva sicuramente appreso dei riferimenti durante la sua primissima fase lavorativa allorché, trovandosi a Candia sua terra natìa, veniva ricordato come “maestro” autonomo con tanto di bottega all’età di soli 22 anni.

Il passaggio in Italia definisce in maniera ancora più netta il delinearsi di una personalità del tutto unica e immediatamente riconoscibile. L’apprendimento delle tecniche pittoriche lagunari e la frequentazione della bottega di un Tiziano ormai ottantenne si vanno ad innestare su quel profilo greco che da sempre è ben presente in Domenico; la visione tintorettesca lo aiuta ad avvinghiare queste lunghe e quasi evanescenti anatomie e ad organizzarle nello spazio di composizioni imponenti.

Ma non sarà mai schiavo né del Vecellio né del Robusti, la sottomissione non è roba da greci… non è roba per chi si porta nel sangue vittorie come quella di Platea o Salamina. Ma per quanto si tenda ad individuare un’influenza forte da parte di questi due giganti della Laguna l’attenta sezione dei dialoghi con l’Italia pone in evidenza un altro pittore, che personalmente adoro, e che ha sicuramente lasciato un’impressione marcata nel modo di dipingere del Theotikopoulos, e mi riferisco appunto a quel campione assoluto che è Jacopo da Ponte, meglio conosciuto come Jacopo Bassano.

El Greco, Palazzo Reale 2023, foto: Roberto Serra, courtesy: MondoMostre

In lui si riconosce quello scioglimento della materia che diventa quasi una bava liquida di colore, vibrante e lucente che per El Greco rappresenterà un marchio di fabbrica indelebile. Ma a tutto quello che un genio del suo calibro può apprendere nel viaggio italiano, si aggiunge sempre più evidentemente un carattere che lo renderà decisamente unico al mondo: Domenico procede per squarci, per lampi. Le tele sembrano quasi rompersi in alcuni punti.

Tale maturità è del tutto evidente nelle opere del periodo spagnolo, che lo consacrano a “Divin pintor” e che le ultime due sezioni indagano in maniera fortemente esaustiva grazie a prestiti di opere di altissimo livello, che non trovano precedenti in Italia.

Nonostante un rapporto un tantino burrascoso con Filippo II, El Greco riesce a diventare il pittore di riferimento per tutta la Cattolicissima Spagna, che tra la fine del Cinquecento e l’inizio del secolo successivo viene pervasa da un fervente senso di religiosità controriformista e che elegge proprio il pittore di Candia come la personalità a cui affidare tutta una nuova fabbrica di immagini sacre che possano innalzare il fedele spagnolo fino a Dio, nel vero senso della parola.

Un’infilata di capolavori da rimanerci letteralmente storditi, dalla Spoliazione alla Adorazione dei pastori del 1605, passando per veri e propri infarti pittorici come Il San Martino e il Cristo agonizzante con veduta di Toledo sullo sfondo. In questo clima Domenico trova la sua eccellenza, si muove con estrema agilità ed assoluta indipendenza da modelli esterni proiettando la sua figura ben al di là del tempo che lo vedrà operare e vivere fino ad arrivare ad influenzare tutti i contemporanei: dagli Impressionisti a Picasso fino ad arrivare a Pollock.

El Greco, Palazzo Reale 2023, foto: Roberto Serra, courtesy: MondoMostre

Nella sua pennellata c’è quell’inquietudine che sembra puramente novecentesca ed al contempo si ritrova quella capacità del pennello di essere totalmente descrittivo come in un paesaggio dell’école de Barbizon o in un tramonto impressionista. Lascia definitivamente senza fiato la presenza del monumentale San Sebastiano che sembra più un prodotto degli anni venti/trenta del novecento uscito dalla mano fortunata di un Achille Funi.

Riuscendo a vederlo finalmente dal vivo si nota come, in questa figura di splendido giovinetto, sia importantissimo quel fazzoletto di blu lapislazzulo subito dietro la sua testa che sembra quasi fargli da mantello e che rompe definitivamente rispetto alla linea cromatica scelta per la realizzazione della tela. Anche in questo caso si firma alla greca, come novello Eufronio.

Ma il capolavoro assoluto vi aspetta nell’ultima sala, splendidamente allestita e con la presenza di un mio vecchio amico di università. Con mia grande sorpresa ho infatti ritrovato una bellissima copia in gesso del mitico Laooconte proveniente dalla collezione della gipsoteca dell’ateneo pisano che ero solito frequentare assiduamente proprio nei miei anni universitari, in dialogo con l’unica tela a carattere mitologico del catalogo di Domenico.

El Greco, Palazzo Reale 2023, foto: Roberto Serra, courtesy: MondoMostre

La sua versione del Laooconte è tragica, impregnata di quella forte e cruda teatralità che apparteneva al genio di Carmelo Bene e che per certi versi riecheggia quella violenza tarantiniana nel disporre queste figure sena più salvezza di fronte allo spettatore: crudelmente, la morte arriva senza ipotesi di scampo. Senza Dio e senza speranza!

Ed al centro di questa immane tragedia che così tanto scalpore destò negli antichi, un piccolo pingue e tranquillo cavallo di legno che si appresta a distruggere la città di Troia… quanto De Chirico c’è in quel cavallino.

L’eredità che ci lascia la mostra di Palazzo Reale ha un valore sublime, ci informa di un pittore anticonformista (per quanto estremamente controriformista) che seppe inventare uno stile unico che nessuno seppe replicare, che seppe andare anche oltre la rivoluzione caravaggesca mantenendo quell’impronta riconoscibile che lo rese modello per generazioni di pittori nei secoli successivi.

Uscendo da Palazzo Reale, con le mani nei capelli, si può solo esclamare “Madre mia, que pintor!”.

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