Emilio Leofreddi, Respirare con il disegno

Era il 2014 quando curai una mostra di Emilio Leofreddi a Palazzo Collicola Arti Visive. La intitolammo “Disegni” ma era come se avessimo scritto Pitture: perché ogni singola opera rispondeva ad un medesimo respiro omeostatico, ad un equilibrio fragilmente maturo tra la lingua atavica dei materiali e il linguaggio fluido dei risultati figurativi

Emilio Leofreddi

Il verbo disegnare, racchiudendo Idioma e Parola di Leofreddi, ha supportato i suoi sconfinamenti, fatto da ponte tra Roma e la sua amata India, aperto varchi chatwiniani ai pensieri fuggevoli, ai frammenti iconici, ai colori ma anche spiragli per quelle correzioni che non indicavano errori ma (ri)pensamenti narrativi, diventando parte significante di una storia significativa. La carta ha assolto il compito della fragilità persistente, del foglio che si rendeva atelier borgesiano di un registrare la risonanza del mondo, dei cuori a pulsazione stereofonica, delle antenne umane che attraversavano le nuvole. 

Scriveva Emilio: Il disegno è pensieropoesia… l’immediatezza di un’immagine con i puntini di sospensione… che la fantasia di ognuno può completare.

Emilio Leofreddi è morto il 22 luglio 2023. Aveva 65 anni.

Il 13 giugno 2024 è morto mio figlio Bernardo. Aveva 20 anni.

Sabato 15 giugno 2024 abbiamo celebrato Bernardo per il suo volo cosmogonico.

Lunedì 15 luglio 2024 ho visitato la mostra che è stata dedicata ad Emilio presso WEGIL (aperta fino al 31 agosto, ndr).

Siamo a Roma… qui sul Pianeta Terra… dentro l’universo dove tutto è galleggiamento.

S’intrecciano vite ed emozioni mentre guardo le opere di un grande artista che ha viaggiato nelle spirali etiche delle battaglie sostanziali (fu Leofreddi nel 1992 a mettere due grandi balene bianche scultoree sull’Isola Tiberina, fu Leofreddi nel 1993 ad affrontare la pena di morte con un’installazione catartica), della fratellanza come frutto risonante oltre il sangue, del confronto tra culture quale consonanza di scambi operosi, della geografia come atlante sentimentale di una mappatura linfatica terrestre, del pop quale essenza globale di un tribalismo urbano che aggrega lo spirito degli innovatori sentimentali.

La carta era il suo seme ma anche il suo frutto ibrido, la superficie desertica che carezzava il grande bianco e lo lasciava respirare con effettiva consistenza materica. Su quel bianco emergevano ritagli o frammenti, segni e disegni, parole e frasi scritte con una manualità in stampatello maiuscolo: pagine su pagine di un diario privato che agiva verso gli altri, per rendere ogni appunto un piccolo appuntamento con il destino privato e il senso generale dell’essere.

Emilio Leofreddi è cresciuto nella Roma in cui avrei voluto trascorrere la mia prima fase adulta. Quando ero adolescente la città aveva chiuso il suo ciclo virtuoso per scivolare nella vertigine mondana degli anni Ottanta, il decennio in cui ho scoperto le prime tracce di artisti come Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa, Alighiero Boetti, Pino Pascali, Renato Mambor… uomini illuminati che hanno filiato poco in natura biologica ma che hanno provocato partenogenesi creative nel loro contesto di risonanza, influenzando l’attitudine godardiana degli “allievi” che sarebbero diventati grandi senza fronzoli paternalistici, senza isole di salvataggio, senza fermate al caldo.

Proprio da questa stramba città e da quella generazione stellare sono nati esseri speciali come Emilio Leofreddi: erede senza vantaggi testamentari, braccio (dis)armato della rilucenza figurativa di Schifano, stella solitaria che annusava la fugacità lieve di Boetti, che sentiva il suono del cinema giusto, della letteratura giusta, della vita giusta. Sempre così, fino al fatidico ultimo respiro terrestre.

Respirare con il disegno, respirare nel disegno, respirare con il corpo che diventa pittura

Bernardo ed Emilio, silenziosamente vigili, amorevolmente agili, fulgidamente bellissimi…. perché dipingere nel cielo è questione di galleggiamento (con i puntini di sospensione).

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