Fotografia di impegno civile e documentazione del mondo: Galimberti e Micalizzi a Brescia

Afghanistan 2009 (presenza contingenti occidentali), Thailandia 2010 (proteste popolari), Grecia 2011 (repressione criminalità), Gaza 2012 (operazione bellica “Colonna di Nuvola”), Turchia (proteste di Gezi Park) 2013, Gaza 2014 (operazione bellica “Margine protettivo”), Siria 2015 (Isis), Libia 2016 (Isis), Iraq (Isis) 2017, Gaza 2018 (70.mo anniversario della nakba), Milano 2019 (marginalità urbana), Provincia di Piacenza 2020 (covid), Afghanistan 2021 (ritorno dei talebani), Ucraina 2022 (guerra), Libia 2023 (alluvione), Indonesia 2024 (alluvione).

E’ il (parziale) elenco del giro del mondo giornalistico di Gabriele Micalizzi che scorre davanti ai nostri occhi mostrandoci ciò che non vogliamo vedere e che è molto parzialmente in mostra al Museo di Santa Giulia sino al prossimo primo di settembre.

E’ il settimo anno di “Testimoni” che, nell’ambito del Brescia Photo Festival, quest’anno ci propone, tra gli altri, questa selezione del fotoreporter milanese del collettivo piacentino Cesura, dal significativo titolo “Legacy. Materia-Storia-Identità”.

Al di là dell’incommensurabile coraggio umano di Micalizzi, colpisce anche il trittico di elementi che costituiscono la carta d’identità della mostra. La materia che vediamo è quella reale delle distruzioni, dei corpi, della disperazione, delle speranze di rinascita. La Storia (con la S maiuscola) è quella che vediamo scorrere dinanzi ai nostri occhi, fatta di una moltitudine di storie (con la s minuscola) che diventano maiuscole identità grazie allo sguardo del fotoreporter, capace di allargare il respiro sui problemi globali e quelli apparentemente territoriali. Nel caso di Gabriele Micalizzi, più che mai, sono le fotografie a dirci qualcosa (e non viceversa).

Sulla scia del doveroso ‘non dimenticare’ si innesta il progetto storico e fotografico di Maurizio Galimberti, dall’inequivocabile titolo “Brescia. Piazza della Loggia 1974”, a cinquant’anni esatti dal tragico maggio della strage. Pur non essendone stato contemporaneo, anche Galimberti ne diventa testimone destrutturando e ricomponendo immagini originali del massacro, creando un puzzle personale e altrettanto ricco di tensione. 

E anche visivamente, queste fotografie rievocano l’effetto distruttivo di una bomba ad alto potenziale: la struttura delle opere richiama la forma delle mille schegge che, in preda alla terribile forza centrifuga dell’ordigno, sciamano in tutte le direzioni. E’ la tecnica di riferimento di Maurizio Galimberti, che, strumentalmente, usa la polaroid per creare ‘nuove’ foto pregne di sperimentazione meticolosissima.

La sequenza di fotografie/opere d’arte impressiona l’osservatore. Il fotocollage dell’artista comasco diventa un mosaico dinamico e storicizzato allo stesso tempo. Dalla singola polaroid abbiamo una nuova opera fotografica composta che amplifica la forza di queste drammatiche e simboliche immagini.

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