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Breve ma intensissima la vita di Touluse-Lautrec. Quando muore non ha ancora compiuto trentasette anni, ma è già diventato lo straordinario testimone e l’interprete di un’epoca d’oro, la Belle Époque. Il suo occhio raffinato, libero e privo di giudizio ci racconta l’umanità anticonvenzionale della Parigi di fin de siècle, quella che anima i locali di Montmartre.
A Rovigo la mostra “Henri de Toulouse-Lautrec. Parigi 1881-1901” curata da Jean-David Jumeau-Lafond, Francesco Parisi e Fanny Girard, visitabile fino al 30 giugno, ne ripercorre l’opera, prestando particolare attenzione alla produzione pittorica, inserita nel vivace contesto parigino di fine Ottocento.
Aristocratico e bohémien, Henri de Toulouse-Lautrec appartiene a una nobile ed antica famiglia, eppure agli agi dell’aristocrazia preferisce la vita notturna e dissoluta dei cabaret e dei cafè chantant. Nella varietà umana di Parigi, nel quartiere di Montmartre dove artisti e ballerine si mescolano a prostitute, emarginati e nobili in cerca di piaceri nascosti, si sente a proprio agio. Sente di appartenere a quel mondo, a quel campionario variegato di “tipi” e, soprattutto, di “casi” umani.
Alto poco più di un metro e mezzo, Toulouse-Lautrec è praticamente nano, le sue gambe non crescono a causa di una grave malattia ereditaria dovuta alla consanguineità dei genitori che sono cugini primi. Fragile di salute, fin da bambino trascorre lunghi periodi di convalescenza a letto. L’arte è la sua prima via di fuga, il disegno il suo modo di interpretare il mondo. Dai dipinti e pastelli su cartone, più segreti e intimisti, fino alle innovative affiches, la sua opera è un documento storico-sociologico che testimonia la vita e i sentimenti di un’epoca. Con il suo stile grafico (quando usa il pennello è come se disegnasse), con il fascino indiscutibile dei tagli fotografici e il ritmo sintetico delle stampe giapponesi ukiyo-e, Toulouse-Lautrec riesce a “strappare alla vita moderna il suo lato epico”, proprio come si augura Baudelaire.
Con pochi e rapidi tratti questo raffinato artista è in grado di restituirci le personalità e i protagonisti della “vita moderna” di fine Ottocento, riuscendo a fissare con estrema sintesi quelle due o tre cose che li rendono unici e immediatamente riconoscibili: la sciarpa rossa di Aristide Bruant, lo chignon della mitica Goulue, i guanti neri di Yvette Guilbert, la silhouette di Jane Avril. Disegnati con tratti quasi caricaturali, questi volti e queste fisionomie rimangono impressi nella memoria collettiva anche grazie alle sue affiches. Ma questi modelli sono anche i suoi amici e sono quelli che, probabilmente, lui ha invitato alle sue raffinate cene. Henry de Toulouse-Lautrec, in pochi lo sanno, è stato anche un ottimo cuoco, si dice addirittura che abbia inventato la mousse al cioccolato, da lui battezzata mayonnaise au chocolat.
Ma la vera protagonista della sua opera è il quartiere Montmartre, quell’area ibrida, cresciuta rapidamente, situata a metà tra città e campagna, in cui si concentrano i locali da ballo, i ristoranti, i caffè. È a Montmartre che si trovano i locali più anticonvenzionali e alla moda di Parigi, quelli in cui si beve l’assenzio come il Divan Japonais, Le Chat Noir e il Moulin Rouge. Quest’ultimo, allestito all’interno di un mulino a vento, viene inaugurato nel 1891, occasione perfetta per realizzare il suo primo manifesto pubblicitario, quello in cui la Goulue balla senza freni il can can veloce.
È sempre a Montmartre (e poi anche a Monparnasse) che vanno ad abitare e a sperimentare gli artisti bohémien. Tra le strade di Montmartre Toulouse-Lautrec conosce Vincent Van Gogh, che diventerà suo grande amico, e il vecchio Degas, al quale si ispirerà moltissimo. Nelle case chiuse di Montmartre trova la sua massima ispirazione, lì trasferisce persino la sua residenza. Yvette Guilbert dirà che Lautrec non solo era amico delle prostitute, ma ne era il confidente, il consolatore, colui il quale cercava di comprendere “i dolori sentimentali di quelle povere creature, serve dell’amore”. Questa introspezione psicologica si scorge chiaramente nei suoi ritratti, in particolare in Studio di nudo, donna seduta su un divano del 1882. C’è sempre un profondo rispetto e un’alta considerazione per la persona nei suoi ritratti, una delicatezza rara che solo un animo nobile poteva avere. Anche se Henry Toulouse-Lautrec non diventerà mai un conte (morirà prima di prendere il titolo) nobile lo sarà davvero, ma nell’animo.
Se per incanto mi ritrovassi nel passato tra le strade di Montmartre, se come Adriana e Gil in Midnight in Paris (il film di Woody Allen in cui il protagonista torna nella Parigi della Belle Époque, ndr) incontrassi Toulouse-Lautrec con i suoi amici seduti al tavolo di un cafè chantant, accetterei senz’altro l’invito a sedermi con loro e rimarrei lì, in quell’epoca d’oro. E pazienza se non avevano ancora scoperto gli antibiotici!