Il culto del legno d’ulivo in una mostra a Lecce

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Si è conclusa pochi giorni fa la mostra “Capolavori in legno d’ulivo”, allestita, durante il periodo natalizio, fino al 7 gennaio, in una sala del chiostro dell’antico seminario di Piazza Duomo a Lecce.

Qualcuno potrebbe chiedere “Se si è conclusa, perché ne parliamo adesso?” Rispondo io: Perché non è troppo tardi.

Chi ricorda il Salento di dieci anni fa, saprà che gli alberi di ulivo erano, non uno dei paesaggi che accompagnava l’occhio del turista, ma il paesaggio, una distesa infinita, unica, verde. Senza nulla togliere al mare, che la Puglia condivide con molte altre regioni della penisola, seppure rimanga uno dei vanti del Sud Italia, sono sempre state le campagne a caratterizzare l’orizzonte salentino. Oggi, di quelle distese sconfinate fatte di tronchi possenti, nodosi, incredibilmente forti, rimane il ricordo, e l’amarezza.

Chi conosce il Salento degli ultimi anni, si trova davanti alla distruzione che la Xylella, chiamata batterio killer, non a caso, mostro invisibile, capace di aggredire anche i più robusti tra gli alberi d’ulivo, ha generato.

Nelle campagne, gli ulivi, quelli secolari, quelli con i tronchi così grandi che ad allargare le braccia se ne riusciva ad abbracciare a stento metà, sono crollati poco a poco, colpiti, prima a un ramo, poi a tutti, privati della linfa, fino al disseccamento completo. Quegli alberi che, come scrive Daniele Rielli nel libro Il fuoco invisbile sulle conseguenze ambientali e sociali della Xylella, erano come cattedrali, non ci sono più.

E allora a cosa serve una mostra in cui al centro c’è il legno d’ulivo, se non a commemorarne la morte? A celebrarne la vita.

La mostra ospitava solo 18 delle centinaia di opere, sculture, bassorilievi, manufatti e intarsi realizzati dagli artisti attivi nella provincia di Lecce, che da circa un anno si coordinano nella rete La Cultura del legno d’ulivo, con lo scopo di creare una comunità che dia voce a ciò che è andato perduto e a ciò che rimane, impegnandosi nella valorizzazione del legno d’ulivo e dei tronchi monumentali.

Ad aprile 2023, si contavano circa novanta maestri, come si dice in dialetto salentino, del legno d’ulivo, artisti che, lavorando e modellando il legno, ne esaltavano le forme e le venature, realizzando oggetti di vario genere, dagli utensili ai gioielli.

Nonostante la maggior parte degli alberi estirpati, per cercare di contenere gli effetti catastrofici dell’agente patogeno, siano stati bruciati, venduti e distribuiti, gli artigiani locali, così come accade per un pittore davanti a una tela bianca, sono riusciti a vedere in un albero tagliato, secco, spesso abbandonato, qualcosa di più e hanno voluto mostrarlo.

Già il 26 novembre 2023, per la Giornata mondiale dell’Olivo, cinquanta artisti avevano riunito le loro opere per un’esposizione nella chiesa di San Francesco della Scarpa, a Lecce, sotto il nome di “POST FATA RESURGO”, riprendendo il motto latino con cui, nell’antichità, ci si riferiva alla fenice: “Dopo la morte mi rialzo”. Così gli artisti, con opere di pittura, scultura, fotografia, design, musica e artigiano, avevano rappresentato l’ulivo, dalla nascita, alla raccolta, fino alla distruzione nei campi.

Simbolo di morte e rinascita, secondo il mito, torna alla vita risorgendo dalle proprie ceneri e diviene emblema di chiunque sia convinto che neppure la morte abbia l’ultima parola”.

Nei prossimi mesi, davanti a un tronco che ha perso la sua chioma, potremmo forse averla noi?

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