Dal 12 dicembre 2024 al 16 marzo 2025, Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain, legate da un accordo di partenariato della durata di otto anni, presentano la mostra Il Nostro Tempo, CinéFondationCartier, rendendo fruibili al pubblico le opere cinematografiche di dodici registi, alcune delle quali visibili per la prima volta in Italia. L’esposizione costituisce per Triennale il punto d’avvio di un progetto incentrato sulla produzione cinematografica e il suo linguaggio, posti in dialogo sinergico con gli altri linguaggi della creatività contemporanea; e per Fondation Cartier rappresenta uno degli innumerevoli esiti dell’interesse ormai trentennale nutrito per il cinema, coltivato con un approccio multidisciplinare di scoperta e sostegno agli artisti.
Le undici opere cinematografiche proiettate in loop presentano ognuna una personale riflessione sulla storia e sul “nostro tempo”, rappresentazioni parziali di un mondo di cui, collettivamente, restituiscono un mosaico complesso, un puzzle continuamente da completare, scompigliare e rifare. Ciascuno degli artisti fornisce il proprio contributo per la scrittura di una storia collettiva, portando la propria arricchente esperienza del mondo, a partire da posizionamenti culturali, sociali e geografici differenti. Gli artisti selezionati sono partiti dalle complessità delle geografie di provenienza e dalle dinamiche sociali che le attraversano, per ampliare lo sguardo ed elaborare narrazioni visive dense di contraddizioni e fragilità, fusioni di paesaggi intimi e universali.
La mostra, curata da Chiara Agradi, racchiude sguardi estremamente diversi e al tempo stesso complementari nella restituzione del nostro tempo, del nostro secolo, come titola il film Notre Siècle (1982). L’opera di Artavazd Pelechian, un frenetico montaggio di immagini d’archivio delle invenzioni che hanno rivoluzionato il XIX secolo, rende partecipi del grande spettacolo del progresso, del quale non viene di certo mascherato il rovescio della medaglia, ovvero complicazioni, fallimenti e incidenti. Il film delinea così le complessità della storia e, soprattutto, la rilevanza delle emozioni nella scrittura di essa, e funge da summa della mostra, dove frammenti di macrostoria e di microstoria si intrecciano per restituire potenzialità e criticità del nostro tempo.
Nel percorso ci si muove tra questi due poli opposti fin dall’inizio: alla passione intima e travolgente espressa per la loro materia da alcuni matematici, ripresi da Raymond Depardon e Claudine Nougaret (Au Bonheur des Maths, 2011), segue il rigore matematico e disumano delle quindici ore trascorse nelle fabbriche della inarrestabile filiera cinese dell’abbigliamento (Wang Bing, 15 Hours, 2017). Un senso di solitudine e incomunicabilità aleggia in Martine Pleure (2017, di Jonathan Vinel), dove in un ambiente intimo seguiamo la impossibile quête di Martine, e in Decades Apart (2017, di PARKing CHANce), dove il racconto della dittatura in Corea del Nord assume tratti umoristici e grotteschi, con degli inespressivi manichini a occupare la scena. Il tema delle relazioni tra potere politico e linguaggio dei media emerge anche in Nicolae Ceausescu: un’autobiografia (2010) di Andrei Ujica, il quale, attraverso un montaggio di immagini d’archivio, elabora una riflessione sull’iconografia del potere e della polisemia delle immagini, un tempo concepite per la glorificazione del regime e ora ribaltate di segno.
A una dimensione sociale e politica ne subentra successivamente una più ambientale. El Aroma del Viento (2019) di Paz Encina è una celebrazione dell’albero come “luogo di rifugio tra terra e cielo”, come scrigno di memoria e testimone silente di una storia che si stratifica. E l’albero, così come il potere immaginifico dei sogni, è il soggetto principale anche di Mãri hi (2023) di Morzaniel Ɨramari, incentrato sulla approfondita conoscenza onirica da parte del popolo Yanomami. A Queda do Céu (2024) di Gabriela Carneiro da Cunha ed Eryk Rocha presenta un’altra porzione della cultura degli Yanomami: “la caduta del cielo” costituisce una profezia secondo cui, se siamo tutti sotto lo stesso cielo e una parte del mondo si comporta in maniera iniqua nei confronti dell’altra, l’equilibrio si rompe e il cielo cade.
Si conclude, infine, ripiegando sull’intimo e il privato, con Le Triptyque de Noirmoutier (2004-2005) di Agnès Varda, in cui scene domestiche vengono affiancate a un paesaggio marino, all’interno di un trittico continuamente ricomponibile. L’ultimo film che si incontra è Vie (1993) di Artavazd Pelechian, celebrazione del momento della nascita, brevissimo interstizio di tempo in cui gli umani sono accomunati, superando distanze geografiche e barriere culturali.
Dall’accostamento delle opere emerge un senso di frammentarietà, un insieme di sistemi divisi da vari conflitti, ma che si trovano al tempo stesso tutti sotto lo stesso cielo e sono, dunque, interdipendenti fra di loro. Tale impressione combinata di frammentazione e interdipendenza viene amplificata dall’allestimento, concepito da bunker arc, Milano, e articolato in “stazioni di trasmissione”, attraverso le quali costruire un percorso di significato. L’architettura delle undici sale e dei diaframmi tra di esse attinge ai principi dell’architettura relazionale e agli elementi chiave del mezzo cinematografico (luce, buio e movimento), creando un’atmosfera intima. Ogni film introduce il successivo o richiama il precedente, invitando i visitatori a costruire il proprio percorso, fruendo dei film in modo integrale, parziale o alternato e ricercando intrecci, rimandi, consonanze ulteriori rispetto a quelli sopra brevemente delineati.
Triennale Milano affianca alla visita individuale della mostra dei momenti di visione collettiva, dibattito e dialogo aperti alla cittadinanza. L’esposizione viene arricchita, infatti, da Cinema Night, un ampio programma di rassegne e incontri, organizzato con la Fondazione Piccolo America – Cinema Troisi. Ciascuna delle Cinema Night inaugura una rassegna cinematografica tematica nella sala cinema presente nello spazio espositivo, andando così ad approfondire alcuni temi sollevati dalle opere in mostra e aprendo ulteriori orizzonti di senso: Le storie nella storia: cinema e immagini d’archivio; Rural; I quattro elementi: quattro film di Werner Herzog; I see myself, other see me: società e desiderio di riconoscimento; I penultimi del mondo; Sotto lo stesso cielo.
I film e le rassegne proposte posano lo sguardo sulle contraddizioni del mondo contemporaneo, su uno spaccato di questo “scandalo che dura da diecimila anni” che è la storia, evidenziando le fragilità di sistemi divisi da lotte e conflitti in cui, tuttavia, lo spirito comunitario, la speranza e il rapporto simbiotico con la natura continuano a offrire strumenti di resistenza.