Jacques Lacan, collezionista di vizi (propri e altrui)

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C’è una mostra in questo momento al Centre Pompidou di Metz – una cittadina nel nord della Francia, a pochi chilometri dal confine con il Lussemburgo – che è una vera e propria “chicca” per gli appassionati di vizi. Il protagonista è Jacques Lacan. Sì, lo psicoanalista e psichiatra, ultimamente balzato agli onori delle cronache grazie alla voce flautata di Massimo Recalcati (che ne pronuncia il nome con un accento da sciogliere gli iceberg).

Jacques Lacan.

Lui, Lacan, i vizi li conosceva bene, vista la professione. E su alcuni, quelli pruriginosi, si era fatto una cultura in prima persona. Pensate che non appena nel 1955 torna sul mercato l’Origine du monde di Courbet – dopo la caduta in rovina del committente, Khalil Bey, e dopo la decisione del precedente proprietario, il barone Ferenc Hatvany, di liberarsene – lo psichiatra mette uno sull’altro un milione e mezzo di franchi pur di potersi appendere in casa quel meraviglioso ultraverista sesso femminile. Sarà il futuro cognato, il pittore André Masson, a dipingere la porta scorrevole di legno dietro la quale Lacan terrà nascosto quel tesoro, riservato solo a pochi intimi. E comunque non è che il sesso si limitasse a guardarlo, il buon Lacan. Le donne gli piacevano eccome, e la storia con la sua seconda moglie, Sylvia Maklès, comincia quando entrambi sono sposati – lei con Georges Bataille – e consumano la loro passione incontrandosi di nascosto in casa di lui, a cui lei accede arrampicandosi dalla finestra. 

Sylvia Maklès.

Lacan, l’esposizione, quando l’arte incontra la psicanalisi – diciamo che, considerato il contenuto, potevano anche azzardare un titolo più suggestivo – è in programma fino al 27 maggio e procede per libere associazioni (come potrebbe essere altrimenti?) partendo dalla collezione dell’artista, con un posto d’onore riservato all’Origine du monde, e allargando poi all’arte che Lacan ha ispirato, a quella che a lui si è ispirata, alle opere che in qualche modo hanno dato concretezza visiva al suo pensiero e anche a tutti gli artisti che in qualche modo hanno confermato le sue teorie. Così, in maniera tentacolare, si sostanzia un vero e proprio labirinto dei vizi umani. 

Gustave Courbet, Origine du monde 1866, olio su tela, cm 46×55.

Organi sessuali, parti del corpo e oggetti del desiderio sono in pole position, naturalmente, con un taglio di Fontana in rosa ad alta suggestione erotica e con un considerevole numero di falli, dalla Fillette di Louise Bourgeois (quella che lei tiene sotto al braccio come una baguette nel ritratto che le scatta Robert Mapplethorpe) alla Princesse X di Constantin Brâncuși.

Robert Mapplethorpe, Louise Bourgeois, 1982.

Non potrebbe mancare uno spezzone di Blow Job, di Andy Warhol, pellicola del 1964 dove per 35 minuti la camera inquadra il volto di DeVeren Bookwalter a cui viene praticato sesso orale.

E visto che i prodotti del corpo sono tra le fissazioni più amate, ecco anche Piero Manzoni e la sua Merda d’artista.

Violenze e relazioni disfunzionali sono al centro del lavoro di Niki de Saint Phalle – la sua ambigua e abusante figura paterna è l’origine di una serie di opere in cui l’artista spara contro la tela con una carabina – e di Nan Goldin, la cui Ballata della dipendenza sessuale, poi, non tratta solo la violenza di genere (la sua relazione fatta di sesso e botte), ma affronta anche con grazia e sincerità il tema del transessualismo, caro a Lacan e raccontato in mostra anche attraverso il lavoro di Man Ray.

Rise and Monty Kissing, Nan Goldin, 1980, MoMA, New York.

E così, tra maestri del passato – Vélazquez, Caravaggio, Magritte – e miti contemporanei come Cindy Sherman, Sarah Lucas, Paul McCarthy e Maurizio Cattelan (in mostra il suo ansiogeno Senza titolo del 2007, con la donna appesa al muro a faccia in giù come in una crocifissione), passo dopo passo ci si inabissa sempre più a fondo nell’insostenibile bellezza del vizio. 

Maurizio Cattelan, Senza titolo 2007.

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