Una Biennale multisensoriale. Cinque padiglioni da ascoltare, odorare, toccare

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L’invisibile e impalpabile alternarsi delle sensazioni della realtà è parte della pratica artistica di alcuni padiglioni della 60ma Biennale di Venezia Foreigners Everywhere, a cura di Adriano Pedrosa. La definizione più ampia in cui vengono inseriti i lavori che riguardano queste tematiche è multisensorialità, un termine tanto ampio quanto potenzialmente ambiguo. Il primo pensiero che viene alla mente è relativo all’utilizzo di più sensi, oltre a quello della vista – senso principale quando si parla di mostre ed esposizioni – per fruire opere d’arte. In quale strano mondo, tuttavia, lo spettatore guarda con innocente curiosità a queste caratteristiche nel campo contemporaneo? Lo abbiamo visto, in realtà, nelle biennali precedenti: il morbido padiglione dell’Islanda in Giudecca nel 2019, oppure la ricostruzione di un intero ecosistema nel 2022 completo di piante e insetti (morti, per la maggior parte, durante i sei mesi di permanenza), il piombo fuso che cola in vasche di acqua nel Padiglione di Malta di Arcangelo Sassolino. Multisensorialità vuol dire saper ascoltare, odorare, toccare oltre che vedere. E può essere una buona occasione per fare un resoconto di come noi vediamo il mondo, rispetto alle miriadi di sfaccettature che questo ci presenta e che ci invita a sperimentare.

I padiglioni di Finlandia, Corea del Sud, Croazia, Lettonia e Lituania sperimentano con i loro artisti e curatori questo tipo di approccio tra arte, luogo e spettatore, per portare avanti un filone di relazionalità che vada ben oltre la normale fruizione tra opera, spazio espositivo e pubblico.

Lituania: Pakui Hardware

Pakui Hardware per il Padiglione della Lituania.

La Lituania ospita nel suo padiglione – curato da Valentinas Klimašauskas e João Lai – il duo Pakui Hardware, composto da Nering Cerniauskaite, artista e scrittrice, e Ugnius Galguda, artista. L’installazione cinetica che hanno progettato comprende opere della pittrice modernista lituana Marija Teresė Rožanskaitė con l’intento di creare un percorso che parli di infiammazioni e corpi, in cui l’umano e il cosmico si intrecciano e si fondono.

Lettonia: Amanda Ziemele

Amanda Ziemele per il Padiglione della Lettonia.

In quale altro modo si può ripensare la pittura? Amanda Ziemele espone per il padiglione della Lettonia O day and night, but this is wondrous strange… and therefore as a stranger give it welcome, serie di opere pittoriche, la cui poetica si inserisce nell’interstizio tra spazio, oggetto e spettatore. Per Ziemele la pittura è il mezzo per una riflessione metafisica che scandaglia il ricordo-rottame malandato e apre spazi di suspense e ripresa, creando più livelli di realtà che si estrapolano da se stessi e si proiettano verso una multidimensionalità cosmica, oltre la terza dimensione. La pittura viene esplorata per le sue qualità extra-formali. Tramite questa, Ziemele analizza l’opera satirica di pseudo-geometria vittoriana dell’inglese Edwin A. Abbott Flatland: A Romance of Many Dimensions (1884), un inno alla conoscenza umana e all’immaginazione. Il padiglione è curato da Adam Budak, direttore della Kestner Gesellschaft di Hannover, e commissionato da Daiga Rudzāte, capo dell’INDIE Culture Project Agency.

Finlandia: Pia Lindman, Vidha Saumya e Jenni-Julia Wallinheimo-Heimonen

Jenni-Juulia Wallinheimo-Heimonen.

Tre sono le artiste selezionate dal Frame Contemporary Art Finland: Pia Lindman, Vidha Saumya e Jenni-Julia Wallinheimo-Heimonen, sotto la curatela di Yvonne Billimore e Jussi Koitela. Il loro lavoro è stato concepito in diretta connessione l’una all’altra, con l’obiettivo di riconsiderare quelle aspettative sociali che influenzano l’individuo nel suo rapporto con l’esterno. Si può re-immaginare il mondo per come lo conosciamo: Lindman esplora questa tematica attraverso la relazione tra noi e l’altro nell’ambito del nostro corpo, partendo dalla sua personale esperienza di ipersensibilità ai microsegnali del proprio organismo dopo un avvelenamento da mercurio. Saumya ragiona sull’esilio e l’utopia utilizzando una miriade di media diversi: dalla fotografia al cucito, dalla cucina alla scultura. Wallinheimo-Heimonen ci parla di violenza strutturale, falsa gentilezza che nasconde discriminazione, donne e disabilità esponendo la sua esperienza personale.

Croazia: Vlatka Horvat

Vlatka Horvat.

Questo rapporto con il corpo è ciò che permea l’operato dell’artista Vlatka Horvat, il cui progetto By the Means at Hand è stato scelto per il padiglione della Croazia, curato dalla storica dell’arte Antonia Majača. In quest’opera si analizza il rapporto tra corpo e circondario che, come nel caso della Finlandia, utilizza un insieme variegato di media. In questo modo, si vuole esprimere un concetto che, riguardando i corpi e il loro relazionarsi con lo spazio e gli elementi esterni, non è limitabile all’uso di un unico mezzo o di una sola percezione: per essere efficace, l’opera deve immergersi a pieno nell’esperienza stessa del corpo nella sua realtà quotidiana. È un’opera impregnata di relazionalità, che si concentra su un modo particolare di trasportare da un luogo all’altro oggetti, lettere, pacchi o denaro tramite amici e familiari, attraverso i loro corpi verso altre persone. Sono “reti informali” di comunicazione che uniscono coloro che sono lontani perché, appunto, siamo tutti foreigners everywhere. Poter toccare la stessa lettera o la foto di un proprio parente o amico lontano è un modo diverso di essere in contatto con quest’ultimo, ben oltre le “normali” pratiche di comunicazione e socializzazione; memoria tattile e visiva si intrecciano e provocano reminiscenze che ci fanno sentire un po’ più a casa e meno stranieri.

Corea: Koo Jeong A

Koo Jeong A.

Anche la Corea del Sud ha deciso di portare all’attenzione del pubblico l’evocazione di un ricordo, il risvegliarsi della memoria tramite un senso tanto sottovalutato quanto evocativo: l’olfatto. Il titolo del progetto del padiglione, curato da Jacob Fabricus (direttore dell’Art Hub di Copenhagen) e Seolhui Lee (curatrice della Kunsthal Aarhus in Danimarca) è Korean Scent Journey dell’artista Koo Jeong A che, attraverso profumi e temperature diverse, ci propone un viaggio nella Corea del Sud in un’atmosfera avvolgente. Già nel 2016, l’artista aveva realizzato a Londra Odorama, installazione sensoriale che voleva, attraverso un complesso sistema di luci e profumi, alterare il senso della realtà in metropolitana. In questo caso, l’obiettivo non è tanto alterare il reale per trasportarci in un altrove indefinito, quanto la possibilità di viaggiare con il nostro olfatto fino a un altro continente, per vivere almeno per poco in un’altra nazione, stranieri e familiarizzanti con sensazioni che determineranno i ricordi di questa esperienza. C’è chi ha definito questo approccio un sistema di correlazioni, poiché non è solo l’opera a influenzare il pubblico, ma anche il luogo, la folla, la laguna di Venezia che, con i suoi umori umidi e, in estate, asfissianti, enfatizzerà o minimizzerà la potenza di questa installazione odorosa, in un continuo e mutevole viaggio.

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