La follia omicida di Richard Dadd, il pittore di fate e gnomi che incontrò il demonio

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Essere o non essere, ma soprattutto chi essere, questo è il problema.

Richard era nato dalla parte giusta del fiume, come si diceva dalle sue parti. Era figlio di un farmacista con buon occhio per gli affari, si sarebbe potuto tranquillamente dire che in tutta Chatam poco ridente cittadina nella regione del Kent non ci fosse uno speziale capace di trasformare le ampolle colme di preparati galenici in sterline fumanti, così bene come sapeva fare papà Robert.

Aveva i fondi necessari allo studio, un certo talento innato e una gran curiosità verso il mondo interiore o almeno per quella parte che ha a che fare con fantasia e creatività. La documentazione che riportava i buoni giudizi dei professori liceali parlava chiaro, il ragazzo prometteva bene. A suo favore anche un grande amore per Shakespeare e in particolare per il Sogno di una notte di mezza estate, che sapeva recitare a memoria dalla prima all’ultima parola.

Sì, il rettore della Royal Academy of Arts di Londra aveva tutte le ragioni per ammettere nella prestigiosa istituzione artistica quel ragazzo di campagna.

Richard Dadd non avrebbe tradito le aspettative. Si applicava alle tele senza sosta e apprendeva velocemente la tecnica e le leggi formali dell’arte figurativa. I risultati dopo pochi anni di frequentazione erano certamente incoraggianti. Con un po’ di fortuna e di aiuto quel pennellare avrebbe potuto diventare un lavoro.

Ora il problema del giovane era un altro. Cosa voleva fare da grande?

Limitarsi alla soddisfazione di arredatori e clienti o cercare una propria arte che pur muovendosi nei rigidi schemi della società vittoriana andasse oltre alla retorica accademica, ai ritratti borghesi, alle scene di caccia e alla rappresentazione dei cadaveri architettonici provenienti del passato? Eterno dilemma di ogni studente di belle arti.

Un autoritratto di Richard Dadd del 1841

Dove trovare l’afflato artistico, l’ispirazione, ma soprattutto il coraggio per percorrere nuove vie che non scontentassero il mercato. Cerca, Richard, cerca. Cerca nella letteratura, nei classici, cerca nella Metamorfosi di Ovidio, nei lavori del Bardo di Avon, nel regno della notte e del sogno. Avrai molti compagni di viaggio, Puck, Oberon, Titania, fate e folletti, re e regine delle tenebre, pipistrelli e libellule che si muovono sgraziatamente al chiarore della luna.

Cerca nel sonno e negli incubi, quando la mente si libera di ogni pudore e torna ai tempi in cui bambino, accompagnavi papà nel nosocomio di Medway. Era il giorno dedicato al girone dei folli e papà aveva bisogno del tuo aiuto per portare la preziosa cassa con droghe, sedativi, unguenti e veleni a quei corpi straziati dalle cinghie di contenimento, a quei volti deformati in smorfie che di umano conservavano poco o nulla.

Richard Dadd cerca, Richard Dadd trova.

“Titania Sleeping”, 1841, olio su tela by Richard Dadd

Nel 1841 espone alla Royal Academy Il sonno di Titania, tela visionaria abitata da tutti i suoi fantasmi tra funghi immaginari, pipistrelli dorati, fauni, gnomi e folletti dallo sguardo spiritato e qualche mese dopo Puck, presentata alla Society of British Art, tributo esplicito al mondo shakespeariano del Midsummer Night’s Dream, nel quale oltre al tema dei funghi giganti prende vita una danza onirica di minuscole fate.

Fairy painting, pittura di fate, escapismo, simbolismo, qualcuno nel lungo secolo successivo tirerà in ballo perfino punk e psichedelia. Poco importa, non era affare di Richard dare un nome alla propria arte.

Hai fatto centro Richard, hai solo ventiquattro anni e Londra ti ha aperto le porte. Non sei più il pittore anonimo di campagna, la critica è positiva, c’è qualche cosa di valido, qualche cosa di curioso, di nuovo in quelle pennellate romantico vittoriane. Hai anche un gruppo di seguaci, artisti che come te vogliono esplorare l’immaginifico, concordi nel fuggire da una realtà che può essere opprimente e perfino una prestigiosa rivista, The Art Journal, che supporta strenuamente le vostre idee. Vi chiamerete la Cricca, The Clique, consorteria di giovani che vogliono ritagliarsi uno spazio onirico nel panorama accademico e asfittico dell’arte londinese.

Arrivano i primi clienti come Sir Thomas Phillips, avvocato e ex-sindaco di Newport, che vuole sgrezzare la tua arte da qualche accenno di provincialismo. Ti vuole con sé per un viaggio nel quale cercare tra la sabbia le radici della civiltà e del soprannaturale. Potrai esplorare e illustrare i miti antichi che sono linfa vitale di ogni artista. Potrai incontrare le divinità greche, quelle egizie, quelle che si annidano nelle scritture sacre e nei geroglifici.

“Caravanserraglio a Mylasa in Asia Minore”, 1842, Courtesy of: Yale Center for British Art

Nel luglio del 1842 tutto è pronto, la spedizione può salpare dall’Italia, prima tappa Atene e l’Acropoli, poi avanti verso i confini dell’impero bizantino, Istanbul e la Cappadocia con i suoi eremiti, per poi virare a sud in un percorso che è architettonico, naturalistico, antropologico ma anche spirituale.  Aleppo, Damasco. Un esploratore svizzero seguendo antiche leggende sui Nabatei ha da poco riportato alla luce nella località di Petra i fasti di una civiltà perduta, la spedizione immortala i lavori di scavo prima di proseguire per Gerusalemme e le terre di Palestina.

Incurante del caldo che si fa sempre più insopportabile, Sir Thomas Phillips conduce il suo testimone attraverso il deserto di Engaddi, in un’esperienza tanto mistica quanto stressante. Giungono al Cairo nella necropoli di Giza, incontrano le piramidi e il volto enigmatico della Sfinge, si imbarcano su una feluca del Nilo, padre nobile della civiltà e della mistica medio orientale.

L’ex sindaco di Newport insegue il passato dell’umanità risalendo con il battello verso Assuan e Abu Simbel, Richard Dadd, viceversa, nella sua notte di mezza estate ha un appuntamento con il regno degli inferi.

Si dirà che sia stata la fatica, un colpo di calore, l’insostenibile inquietudine davanti a tanti misteri e a tanta bellezza. Si diranno tante cose. Hashish, radici velenose, bacche allucinogene trovate nel deserto, funghi? Melanconia aggressiva, come si chiamava allora o disturbo bipolare maniaco depressivo, come si preferisce oggi? Schizofrenia paranoide?

Sigmund Freud sfortunatamente non era ancora nato e la psichiatria muoveva solo incerti passi nelle gelide stanze dei manicomi. Di fronte a quel giovane pittore diventato in una notte di mezza estate vittima di allucinazioni che gli confermavano di essere stato eletto dal dio Osiride in persona quale messo dall’oltretomba, i mezzi di comprensione e di cura dei compagni di viaggio erano risultati assai scarsi.

Povero Richard che cercavi le fate e hai trovato i demoni.

Il difficile viaggio di ritorno prevedeva una tappa a Roma, nella quale Dadd confessò all’esausto compagno di avventura di avere per missione comandata dal dio egizio quella di accompagnare negli inferi individui riluttanti quali il Papa Gregorio XVI.

Le cose si mettevano decisamente male.

Giunti a Londra nella primavera successiva l’ex sindaco di Newport poteva finalmente restituire Richard alla famiglia che dopo un consulto medico ritenne che la cosa migliore da farsi, per risolvere quello che fu diagnosticato come un colpo di calore fosse un soggiorno nel villaggio di Cobham nel Kent. Sfortunatamente la terapia a base di passeggiate nella piovosa campagna inglese in compagnia del padre Robert, non diede gli effetti sperati.

Richard proseguiva nei suoi vaneggiamenti nel culto di Osiride. Tutto precipitò in un’altra sera di mezza estate a un anno esatto dalla prima crisi. Il 10 agosto 1843 il giovane pittore brandisce un coltello e recide la giugulare dell’incolpevole genitore. Un parricidio su commissione della Sfinge, apparsa in sogno, spiegherà il povero Richard.

Vai ragazzo, fuggi verso le bianche scogliere di Dover, fuggi dalle leggi degli uomini, fuggi in nome di Osiride verso Parigi dove ai piedi dell’obelisco di Place de la Concorde troverai la porta che conduce al regno di Ramses II.

A Parigi Richard Dadd non arriverà mai. Arrestato in territorio francese mentre tenta di uccidere con lo stesso coltello un ignaro viaggiatore.

La triste vicenda potrebbe finire qui. Con uno dei primi processi della Giustizia anglosassone nel quale vennero applicate le McNaghten rules, timido tentativo di giustificare con l’incapacità di intendere e volere l’azione omicida risparmiando la forca al reo confesso.

Henry Hering, Ritratto fotografico di Richard Dadd mentre dipinge “Contradiction” (1875 circa) Fotografia: Bethlem Museum of the Mind

Invece no. La storia del pittore pazzo, sotto il profilo artistico, ma anche psichiatrico, ha un nuovo inizio nella cella del manicomio criminale di Bethlem, allora situato alle porte di Londra.

Dadd ricaccia i miti egizi nell’antro oscuro da cui erano venuti e riabbraccia i pennelli. Ad accoglierlo ritrova quel mondo fantastico fatto di spiriti e spiritelli, di fate e di gnomi che tanto l’avevano sostenuto nei primi anni di carriera. È guarito? Nessuno può dirlo e c’è da dubitare che un barlume di cura l’abbia sostenuto nei ventanni passati tra le mura del Bethlem Royal Hospital o nel frenocomio di Broadmoor, dove sarà trasferito fino alla sua morte, avvenuta nel 1886.

Quello che è certo è che la produzione artistica di Richard Dadd, oggi riconosciuta come straordinaria e esposta alla Tate Gallery, al Louvre, all’Harris Art Museum di Preston e al British Museum, liberata da ogni vincolo esterno, raggiunge le sue vette più alte.

Dadd non cerca la libertà dai pochi metri quadri nei quali è rinchiuso, nemmeno fugge dai suoi fantasmi, ma utilizza la pittura per dar vita al suo mondo interiore. In una raccolta di trentatré acquarelli intitolata Schizzi per l’illustrazione delle passioni ripercorre le tappe del suo viaggio oltre i confini della follia. Angoscia o dolore, Amore, Gelosia, Pazzia delirante di tormento, Omicidio, alcuni dei titoli.

“Schizzo per illustrare le passioni: suspense o aspettative”, 1855 (wc, penna e inchiostro su grafite su carta)

Nei lunghi anni che lo separano dal fine pena mai, apre la finestra della memoria rievocando paesaggi e marine, dall’atmosfera impalpabile del sogno a immagini del viaggio in Oriente rievocati grazie i suoi appunti.

Di Dadd esiste solo una foto, voluta dal direttore del manicomio, che lo ritrae davanti a una tela appena abbozzata. Lo sguardo perso nella sua lucida follia, rivolto verso un mondo immaginifico che ha continuato a ritrarre fino alla morte. Forse nei tanti personaggi dall’occhio sbarrato pieni di angoscia che come le mille miniature dei quadri di Bosch, fanno da cornice ai personaggi fantastici della Fairy painting, Richard ha nascosto un autoritratto, un grido proveniente da quel lato oscuro della mente che a noi osservatori, presunti sani, non è dato di frequentare.

Nella sua seconda vita ha lasciato tele importanti, come The Fairy Feller’s Master-Stroke (Il colpo da maestro del taglialegna fatato) giudicato il suo capolavoro.

Fairy Fellers’ Master-Stroke“. 1855–1864. Oil, Tate Gallery, Londra

Eccentricità di un folle o insopprimibile bisogno di comunicare col proprio io, seppur a brandelli? Ci sarebbe molto da indagare su quei messaggi artistici che arrivano da un buco nero della mente. Qualcuno ha raccolto il grido di Richard e forse l’ha anche compreso. Freddie Mercury, per esempio, tanto colpito da questo quadro da dedicargli una canzone dallo stesso titolo. Chi meglio di Freddie poteva ricordare al mondo che the Show must go on.

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