Lo so, si avvicina San Valentino. Ma quando è finita è finita: il problema è trovare le parole per dirlo e, dall’altra parte, saper reagire con un certo savoir faire. Gli artisti possono offrirci qualche spunto. Anche negativo, in effetti.
Prendiamo Man Ray, che dopo essere rimasto invischiato in una storia decisamente tossica con Kiki de Montparnasse (eh, però quale altro fondoschiena sarebbe mai riuscito a incarnare così meravigliosamente il Violon d’Ingres?), incontra Lee Miller e capisce che l’amore può essere qualcosa di diverso dall’andare a vedere la propria fidanzata che balla il can can senza biancheria intima. Lui cerca di spiegarlo a Kiki in maniera tranquilla, razionale, ma è costretto a nascondersi sotto il tavolo mentre lei gli rovescia addosso una gragnuola di vasellame.
Non finisce benissimo neanche tra Jeff Koons e Ilona Staller, in effetti. Non è chiaro chi abbia detto a chi che la cosa non funzionava più (sarà stata la bionda Cicciolina ad annoiarsi mentre lui varcava tronfio le soglie di Biennali e musei blasonati o sarà stato lui a rendersi conto che oramai, incoronato re del neopop, non aveva più bisogno della pornostar planetaria per far parlare di sé?), ma la battaglia che si è scatenata tra denunce, avvocati e bimbi sottratti è stata devastante.
Andy Warhol e Edie Sedgwick non sono proprio una coppietta tradizionale, ma lei non deve dire niente perché lui si accorga che non è più il centro dei suoi pensieri: a Andy basta guardarla fare le fusa mentre Bob Dylan canta. E la vendetta che si scatena contro la fragile biondina è terribile: scacciata dalla Factory, epurata dalle pellicole già girate e abbandonata a droga e psicofarmaci come unica consolazione.
Ci sono anche artisti che reagiscono in maniera più controllata, all’abbandono o al tradimento. Max Ernst, per esempio, deve ribollire non poco quando l’intrigante Meret Oppenheim decide di lasciarlo perché si rende conto che la personalità del collega rischia di soffocare la sua arte. Non è abituato: di solito è lui che senza tanto garbo leva le tende perché attratto altrove. Così finge indifferenza, ma la definizione che dà della ragazza (“è un panino imbottito di marmo: può succedere che con un morso ti spacchi i denti”) la dice lunga sul suo livore.
Alma Mahler non si fa mai troppi scrupoli quando decide di cornificare o lasciare i suoi amanti artisti: lei agisce. C’è chi la prende maluccio (il marito Gustav, di cui si è tenuta furbamente il cognome, dalla rabbia diventa impotente e nemmeno Freud riesce a dargli una mano) e chi malissimo, come Oskar Kokoschka, che prima parte per la guerra sperando di restarci secco e poi, rassegnato a vivere, si fa confezionare una bambola identica all’amata.
Anche Gala, pure lei seduttrice compulsiva di artisti e letterati, è una di poche parole e di molti fatti: quando decide che la coppia Paul Eluard (che al momento è suo marito) e Max Ernst è un po’ troppo esclusiva, sgomita fino a entrarci con tutti e due i piedi, conquista Ernst e spezza gli equilibri. Eluard se ne scapperà nei mari del Sud, ma poi tornerà e non smetterà mai più di scriverle bollentissime lettere d’amore; anche quando lei lo avrà lasciato definitivamente per i baffetti di Salvador Dalí.
Ma poi, alla fine, perché preoccuparsi di lasciare quando si può semplicemente stringersi un po’: dove ci si sta in due ci si sta anche in tre, no? (e magari in quattro). Lo pensava certamente Picasso, che nonostante dichiarasse che sarebbe stata una buona idea dare fuoco alla donna che abbandonava (eh, sì: un po’ rude), poi gli piaceva tenere il piede in due o tre scarpe. Peccato che le signore in questione non fossero d’accordo. Molto più convincente, sul punto, Leonor Fini, che convive con il pittore Stanislao Lepri quando incontra lo scrittore Costantin Jelenski e ne resta folgorata. Intelligentemente non fa un plissé: apre la porta e modifica un po’ l’arredamento della camera. E vissero per tanti anni felici e contenti.