Anno domini 1688: uno studente discute la propria tesi di laurea all’Università di Basilea parlando di una patologia sino ad allora sconosciuta e alla quale diede un neologismo: nostalgia, da nostos (ritorno) e algos (dolore). Un termine moderno dunque per uno stato d’animo antichissimo.
Anno domini 2024: la Fondazione Palazzo Ducale per la Cultura organizza una mostra, visitabile sino al primo di settembre, su questo sentimento nelle stanze dell’Appartamento del Doge, dal titolo Nostalgia. Modernità di un sentimento dal Rinascimento al contemporaneo.
Sono undici le sezioni che declinano la nostalgia nell’arte in questa affascinante mostra curata da Matteo Fochessati in collaborazione con Anna Vyazemtseva. Con una importantissima premessa che differenzia la nostalgia dalla malinconia, stato dell’animo quest’ultimo sicuramente più antico e già ampiamente rappresentato nella storia dell’arte. I due sentimenti non sono sovrapponibili: la malinconia è un disagio percepito dall’individuo, la nostalgia può essere un sentimento diffuso ad una condizione più sociale e collettiva, che attraversa lo spazio (i luoghi) e il tempo (le età).
La promenade artistica della mostra attraversa così le due consorelle nostalgia e malinconia, per poi virare sulla nostalgia per l’infinito, per la felicità, per l’altrove, per l’antico, per il mondo classico, per il paradiso perduto, per la propria casa. E ancora ci sono due sezioni che interrogano la nostalgia associata alla propaganda dittatoriale e un’altra più poetica che indaga lo sguardo umano intriso di nostalgia.
Molto vario è anche il percorso tecnico tra le oltre 120 opere in esposizione: affiancano i quadri scelti infatti anche sculture, modellini e bozzetti, installazioni, oggetti in ceramica, opere grafiche, volumi illustrati e fotografie (tra cui, celebre e impressionante per la forza che emana, Centro di permanenza temporanea di Adrian Paci del 2007 e sempre molto attuale).
Si può essere nostalgici e può l’animo diventare materia anche in un’epoca come quella contemporanea basata sulla velocità? Si può desiderare qualcosa o qualcuno che è assente? La risposta è evidentemente affermativa, se è vero che sembra così diffusa l’insoddisfazione verso il presente. E ci diventa dunque familiare lo sguardo perso nel caos urbano della donna ritratta nel 1935 da Miriam Tindall Smith in Screen Door.
Così come ci si ritrova pienamente nel gomito che sorregge la testa pensosa della figura alata immortalata da Albrecht Dürer in Melancholia I (1514) oppure nell’altrettanto atteggiamento familiare de L’Odyssée di Jean-Auguste-Dominique Ingres (olio su tela composto tra il 1827 e il 1850), assorta con le dita delicatamente all’altezza della fronte. Nostalgia, la figura femminile seminuda composta nel 1864 dal gesso di Cristoforo Marzaroli sembra guardare in direzione dell’infinito sospirando qualcosa per noi ignoto.
Ricordi di infanzia e spensieratezza sono alla base di un sentimento nostalgico per la felicità di una corsa sulla Spiaggia del Lido (di Ettore Tito, olio del 1914), e in questo caso l’ammonimento etico di Kant ci dimostra che ritornare ai luoghi dell’infanzia significa trovare un mondo cambiato. La medesima dimensione può essere rintracciata nell’altrove, la fascinazione verso luoghi lontani geograficamente o semplicemente lontani da noi stessi. L’intensissimo ma crepuscolare rosso solare di Galileo Chini ne L’ora Nostalgica sul Mè-Nam del 1912-13 ci ricorda che l’altrove potrebbe essere un luogo dove vedere meglio se stessi.
L’incommensurabile e l’irraggiungibile sono alcuni elementi fisici dell’infinito e possono assumere le sembianze dell’assenza di molteplicità (come nel caso delle tele monocrome di Yves Klein) oppure del rigore cosmico del Concetto spaziale di Lucio Fontana, qui presente con il significativo post titolo di Attese (1965). Infine, è ineludibile declinare la nostalgia con la passione intellettuale, culturale e sociale verso uno specifico tempo: è il caso dell’adorazione verso il mondo classico che ha attraversato da gigante le epoche e che in questa mostra trova una summa mirabile con Statua naufragata, rievocazione del 1930 anche metafisica e soprattutto intensa di Arturo Nathan, un quadro che significativamente sintetizza la necessità di un eterno ritorno dei miti fondativi.