Addio ad Alain Delon, gentiluomo ribelle, l’ultimo dei grandi

Ho una foto di Alain Delon come sfondo del mio telefono da più di dieci anni. Non sempre la stessa, naturalmente l’ho cambiata più volte, ma è sempre lui. Guardo Alain la mattina appena mi sveglio, gli parlo, gli chiedo di togliere dal mondo il cattivo gusto. Lo prego come una specie di santino. Alain Delon è sempre stato il mio feticcio, uno di quei feticci che ti servono per cercare di campare un po’ meglio in questo mondo sempre più balordo. 

Sapevo che sarebbe arrivato il giorno in cui sarebbe morto, ma al contempo mi pareva impossibile che arrivasse, oppure non volevo pensarci. Ho parlato talmente tanto, pubblicamente e privatamente, di lui nella mia vita alle persone, che una volta un mio amico mi disse che avrei dovuto scriverne un libro. Forse è la volta buona per decidersi a farlo, anche se Alain Fabien Maurice Marcel (io che ho tre nomi ne avrei voluti avere quattro anche solo per eguagliarlo in qualcosa) certamente non è uno di quei miti e icone che hanno bisogno della morte per essere venerati. 

Una morte sicuramente molto più traumatica per chi resta orfano della sua bellezza (intesa anche e soprattutto come eleganza) che per lui, che recentemente dichiarava: “lascerò questo mondo senza sentirlo. La vita non ha più nulla da offrirmi, ho visto tutto, ho sperimentato tutto. Ma soprattutto odio l’era attuale, mi fa male! Tutto è falso, tutto è stato sostituito, non c’è rispetto per la parola data, ora tutto ciò che conta sono soldi e ricchezza! So che lascerò questo mondo senza dispiacermi!”.

La notizia della sua morte mi è arrivata l’altro giorno alle 8 del mattino, da una mia amica cinefila incallita esattamente come la sottoscritta, che mi svegliava avvertendomi accorata come si fa quando si dà la notizia della scomparsa di una persona cara: ognuna delle persone con cui condivido la passione per il cinema (ma non solo) e che conosce ciò che da sempre ha rappresentato per me Alain si premurava d’informarmi della sua morte, o di capire come mi potessi sentire riguardo alla cosa. 

Sì, perché se mister Delon comprensibilmente desiderava morire dopo 88 anni del suo risplendere, noi tutti restiamo privati del suo ineguagliabile fascino: a negarlo neppure maschi cis etero un po’ basic. Del resto, come lui stesso asseriva: “Essere bello sarebbe stato un problema se fossi stato un coglione o un cattivo attore. Ma visto che sono un bravo attore e non troppo coglione, è un problema per gli altri”. 

Il punto è che Alain Delon non è stato bello solo perché era (oggettivamente) bellissimo, ma anche e soprattutto per ciò che la sua bellezza esprimeva, a cominciare dal tormento pervinca dei suoi occhi inquieti, che riflettevano un’infanzia e un’adolescenza difficili

I genitori si separano ai suoi soli 4 anni, il padre scompare per diversi anni ed è proprio la madre ad affidare Alain a una famiglia adottiva. A 8 anni, non potendo più restare con la famiglia adottiva e non potendo tornare dalla madre, vive in un collegio di suore, ma a causa del suo carattere perennemente ribelle, dovuto per sua stessa ammissione al trauma subito dalla separazione dei genitori, ottiene brutti voti a scuola e la lascia a 14 anni. Fa il salumiere nella macelleria del nuovo marito della madre. All’età di 14 anni recita in Le Rapt, un cortometraggio girato dal padre di uno dei suoi amici: è la sua prima esperienza cinematografica in assoluto. A 17 anni, sovvertendo tutto, decide di arruolarsi nella marina francese, fa poi diversi lavori e per sua stessa ammissione finisce per fare il bohémien a Montmartre. Poi finalmente arriva il cinema, quello vero. 

Alain Delon in Rocco e i suoi fratelli

Alain Delon è stato un fenomeno di puro magnetismo, non soltanto per l’avvenenza fisica ma anche per la luce tenebrosa che la sua presenza emanava sempre: Gilles Deleuze aveva scritto delle parole incisive sull’energia e la tensione che erano peculiari del suo sguardo e del suo corpo inquieti, un’energia nutrita dalle sue “armes de l’enfance” e che ha ispirato magnifici sodalizi con cineasti quali, ad esempio, René Clément, Luchino Visconti, Jean-Pierre Melville e Joseph Losey e ha infuso vita ad alcuni grandi personaggi della storia del cinema d’autore e del noir francese. Ricordiamo Rocco di Rocco e i suoi fratelli (1960) di Visconti, Ulisse di Quelle joie de vivre (1961) di Clément, Piero di L’eclisse (1962) di Antonioni, Tancredi de Il Gattopardo (1963) di Visconti, Francis di Mélodie en sous-sol (1963) di Verneuil, Marc di Les Félins (1964) di Clément, Thomas in L’Insoumis (Il ribelle di Algeri, 1964) di Cavalier, Manu di Les Aventuriers (1967) di Enrico, Jeff Costello di Le Samourai (1967) di Melville, Pierre Lagrange di Diaboliquement vôtre (1967) di Duvivier, Barran di Adieu l’ami (1968) di Herman, Sartet di Le Clan des siciliens (I1969) di Verneuil, Sifredi di Borsalino (1970) di Deray, Corey di Le Cercle rouge (1970) di Melville, Jean Lavigne de La Veuve Couderc (1971) di Granier-Deferre, Jackson alias Mercader di L’Assassinat de Trotsky (1972) di Losey, Coleman di Un Flic (1972) di Melville, Devilars di Traitement de choc (1972) di Jessua, Gino di Deux hommes dans la ville (1973) di Giovanni, Rison di Les Seins de glace (1974) di Lautner, Hugo Sennart di Le Gitan (1975) di José Giovanni, Klein di Mr. Klein (1976) di Losey, Ambrose di Armaguedon (1977) di Jessua, Niox di L’Homme pressé (1977) di Molinaro, Xavier di Mort d’un pourri (1977) di Lautner, Gerfaut di 3 hommes à abattre (1980) di Deray, Charlus di Un Amour de Swann (1984) di Schlöndorff, Richard/Roger Lennox di Nouvelle vague (1990) di Godard. 

Alain Delon e Claudia Cardinale ne Il Gattopardo

Delon è stato un’incarnazione indimenticabile della sua solitudine, soprattutto a mio avviso nelle sue tre interpretazioni migliori, che in ordine cronologico sono senz’altro quella di Tom Ripley in Delitto in pieno sole (Plein soleil, 1960) di René Clément, per la quale si evince massimamente la capacità che Delon aveva di poter decidere le sorti di un film anche soltanto attraverso la potenza espressiva dei suoi occhi; quella di Jean-Paul ne La piscina (La piscine, 1969) di Jacques Deray, uno dei film più estetizzanti della storia del cinema, ambientato in una Costa Azzurra scintillante ma esistenziale teatro del burrascoso e tormentato legame del protagonista con la sua Marianne (Romy Schneider), burrascoso e tormentato esattamente per come lo è stato nella vita; Daniele Dominici ne La prima notte di quiete (1972) di Valerio Zurlini, personaggio che più di ogni altro interpretato da Delon ha riflettuto il suo disagio esistenziale, il tormento dei suoi occhi a tinte cerulee: un professore di liceo classico in una Rimini invernale desolata e desolante, che veste la sua frustrazione stropicciata con un cappotto cammello oversize, che solo Delon ha saputo indossare così bene, seguito solo da Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi (1972, stesso anno del capolavoro di Zurlini) di Bertolucci. 

Alain Delon con Romy Schneider

Delon ineguagliabile anche con le rughe, anche con le borse sotto gli occhi, anche tra le lacrime quando nel 2019 a Cannes ricevette la Palma d’Oro alla carriera e la dedicò alle donne della sua vita, le più amate (su tutte Romy Schneider e la sua ex moglie Nathalie Delon, di cui Alain fu gelosissimo): classe estrema e neanche una sbavatura, perché mostrare le proprie debolezze non significa essere deboli davvero.

Delon era anche un vero gentiluomo e una persona gentile, in maniera comprovata: la giornalista Maria Corbi ha raccontato di quando Delon, che lei non riconobbe, soccorse lei e le sue ginocchia sbucciate in seguito a una caduta sui tacchi dodici durante un party a Castel Sant’Angelo; Angela Stagnitta invece, la figlia di Letizia Battaglia, ha raccontato di quando Delon, durante una pausa dalle riprese de Il gattopardo (al Castello di Solanto vicino Palermo), notò lei bambina assieme alla sorella Cinzia che lo sbirciavano e le chiamò a sé: l’attore tenne teneramente Angela sulle sue ginocchia. 

Alain Delon è stato inoltre un fervente animalista, in particolare amante dei cani (diceva: “La solitudine vera è quella che vedo negli occhi del mio cane quando devo lasciarlo solo”), abbiamo quindi da perdonargli solo certe sue idee “destrorse”, perché altri difetti pare proprio che non ne avesse. 

Valerio Zurlini e Alain Fabien Maurice Marcel Delon sul set de La prima notte di quiete 1972 Delon ha considerato il film di Zurlini il migliore della sua carriera

“Perché la morte è la prima notte di quiete?”, domanda Spider, il Dott. Mosca (un giovane e già talentuoso Giancarlo Giannini) a Dominici (Delon) in quel capolavoro assoluto che è La prima notte di quiete di Zurlini. “Perché finalmente si dorme senza sogni”.

È la fine di tutto Alain, per te che hai vissuto veloce come il vento e poi come una maestosa quercia con le radici ben salde, piantate in terra. Una volta disse che ad una certa età bisognerebbe ritirarsi in convento, esagerava, era per dire di non essere ridicoli. Anche questa è stata intelligenza. 

Sei stato forte Alain, immenso, strepitoso, una montagna, hai sostenuto il tormento pervinca dei tuoi occhi tutta la vita, hai ricordato sussurrando tra le lacrime anche chi non c’era già più prima di te. 

Anche per te, adesso, è la prima notte di quiete.

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