L’osservazione del cielo e dei fenomeni connessi al movimento degli astri è – dall’alba dei tempi – una preoccupazione fondamentale del genere umano. Dallo spostamento delle mandrie prima al ciclo agricolo poi, la materiale sopravvivenza di esso dipendeva da tale osservazione. Molte tra le primissime forme di ritualità e di festività erano verosimilmente legate al ciclo delle stagioni o alle fasi lunari, ed è ormai chiaro che molte tra le più ancestrali forme di ingegneria edile (anche e soprattutto di monumentali dimensioni) erano e sono direttamente orientate o concepite in connessione con i grandi elementi del firmamento. Quando divenne chiaro che l’iterazione di tali fenomeni poteva essere in qualche modo “registrata”, che quel tempo scandito dalla luna, dal sole e dall’avvicendarsi delle stagioni poteva essere “misurato”, l’uomo si preoccupò subito di creare dei sistemi in cui annotare tutto questo, al fine di regolare la propria azione nel modo più efficace possibile.
Alla luce di quanto detto, non è un caso che la più antica versione di un calendario sia stata probabilmente rintracciata in un sito – Göbekli Tepe – la cui storia si perde nella notte dei tempi. Un sito che, sin dalla sua scoperta nel 1994, ha rivoluzionato molte delle precedenti teorie sui meccanismi che hanno portato l’uomo dal nomadismo alla sedentarizzazione e sui concetti stessi di ritualità e sacralità (per chi si fosse incuriosito, ho dedicato una puntata del mio podcast a Göbekli Tepe, il link è in fondo all’articolo).
Un’equipe di ricercatori della University of Edinburgh da tempo conduce studi legati alle possibili connessioni astronomiche di alcuni dei bassorilievi e dei graffiti che hanno reso famosa “la collina panciuta” in tutto il mondo. In particolare, all’interno di uno dei grandi recinti circolari megalitici che caratterizzano il sito, il recinto D, uno dei pilastri monolitici che intervallano il perimetro del recinto, il Pilastro 43, reca una decorazione caratterizzata da simboli triangolari o a V, ciascuno dei quali rappresenterebbe un giorno. Nella parte alta del pannello, questi simboli a V sono disposti in fila, variamente orientati e raggruppati, per un conteggio totale di 29 o 30 simboli, un perfetto ciclo lunare, nell’interpretazione data dai ricercatori.
La fascia immediatamente sottostante è caratterizzata, invece, da una decorazione a quadrati, in numero di dodici, che indicherebbero dodici mesi lunari, per un totale di 354 giorni. Infine, un ulteriore gruppo di dieci simboli a V al di sotto dei quadrati rappresenterebbe quei dieci giorni “epagomeni” necessari a creare un quasi perfetto calendario solare (e non più lunare) di 364 giorni. E dico quasi perché – apparentemente – sembrerebbe mancare un giorno, il trecentosessantacinquesimo.
Per ovviare a tale mancanza, i ricercatori chiamano in causa il disegno immediatamente sottostante, un grande uccello, forse un avvoltoio, o comunque un rapace, che reca sull’ala una sfera (il disco solare?), e che presenta al collo un altro simbolo a V. Quest’uccello rappresenterebbe un giorno speciale, forse il solstizio d’estate, andando pertanto a completare il conteggio dei giorni dell’anno. A supporto di tale ipotesi, gli studiosi menzionano numerose altre figure animali e antropomorfe, non solo a Göbekli Tepe, ma anche nel vicino sito gemello di Karahan Tepe e in altri della regione, le quali recano la medesima decorazione a V sul collo, figure che sarebbero connesse alla creazione e al controllo del tempo.
Tornando al Pilastro 43 di Göbekli Tepe, per i ricercatori il calendario registrerebbe un evento ben preciso, il cosiddetto Impatto cosmico del Dryas recente, un presunto e controverso evento cataclismatico dovuto all’impatto sulla Terra di un corpo celeste, che avrebbe portato – appunto – al Dryas recente, una delle grandi glaciazioni che il nostro pianeta ha sperimentato, e che, secondo Sweatman e la sua equipe, sarebbe più volte richiamato nelle decorazioni dell’intero sito di Göbekli Tepe.
La teoria è sicuramente affascinante, e non è illogico pensare che in un sito dalla complessità di Göbekli Tepe possano trovare posto speculazioni in merito alla misurazione e alla registrazione del tempo e degli eventi cataclismatici. Ciononostante, la teoria dell’Impatto cosmico del Dryas recente è ancora oggetto di discussione, e in molti suoi punti risulta fin troppo speculativa. Più in generale, non va mai dimenticato che la profonda distanza cronologica che ci separa dal complesso di Göbekli Tepe è tale che l’intero sistema di simbolismi che sembra pervaderlo potrebbe esulare completamente dal nostro modo di ragionare e di rapportarci con il mondo circostante, risultando in tal modo incomprensibile e intangibile.
Ciò non vuole essere un pessimistico proclama sulle nostre effettive capacità di cogliere il linguaggio espresso a Göbekli Tepe (e nei siti circostanti), ma piuttosto un pacato monito a non applicare categorie cognitive della modernità ad un passato così remoto.
Una cosa è – comunque – certa: la scoperta di Göbekli Tepe ha aperto una finestra sul passato remoto del genere umano veramente sconfinata, e continuerà a far parlare di sé, in modo più o meno controverso, ancora a lungo.