Se qualcosa nasce in strada, ha senso portarla in un museo? È questa una delle curiosità che anima i visitatori di IN MY NAME. Above the show, mostra-evento internazionale organizzata da Unlike Unconventional Events e curata da Martina Cavallarin con Antonio Caruso. Una risposta non c’è. Ma, piuttosto che cercare risposte (abbiamo già provato a darle qui e qui) a quesiti che non hanno soluzione, o almeno, non univoca, sarebbe forse utile partire da un’altra domanda, che una sua risposta l’ha trovata. E mi ha convinto. “Hai già in mente il risultato finale?”
L’appuntamento era a Bari, piazza del Ferrarese, a due passi dal mare, sotto un sole che riportava alla mente le temperature estive e un vento finalmente autunnale, a scompigliare capelli e sparpagliare volantini sul selciato. Quattro ore di live painting per giornata, otto totali, due spintometri a cui dare nuova vita, un grande artista. Protagonista è stato il padovano Made514, scultore, pittore e sperimentatore, nel lettering così come nei materiali e nelle superfici di lavoro, nonché direttore artistico di IN MY NAME (“Lo faccio nel mio nome, con il mio nome, io sono qui e dichiaro me stesso”), mostra dedicata completamente alla street art, che ospita le opere di altri 16 artisti, oltre a lui, alcuni dei pionieri dell’Urban Art in Europa.
Dai muri al complesso industriale dismesso delle Ceramiche Pagnossin, a Treviso. E ancora, dalla provincia veneta, un salto fino in Puglia, atterrando nell’ex area militare di Monopoli (Bari), a occupare quella che si conosce come “Zona Capannoni – Ex Deposito Carburanti”. E non è finito lì il percorso di IN MY NAME che, nelle serate del 26 e 27 settembre, ha deciso di riportare in piazza quell’arte che, da mesi (e fino al 3 novembre), custodisce all’interno di strutture abbandonate.
“La sfida è stata portare in mostra ciò che generalmente rimane sui muri, aprendo a chiunque queste opere che di solito sono a cielo aperto e adesso si possono visitare in un luogo solo”, l’intenzione dell’organizzazione. Dalla strada ad una esposizione dedicata alla street art, in cui non servono passamontagna e non è necessario né scappare e né nascondersi, con i nomi ben in vista, allestimenti dedicati ad ogni artista, incontri, live performance, 155 fra tele e disegni, sculture, installazioni e rappresentazioni differenti, per intenzioni e per supporti. Le opere attirano, inquietano, affascinano, respingono. A volte tutto insieme. A fare da cornice, spazi enormi, edifici dismessi, sale ampie che aiutano a prendere il respiro.
Da un luogo chiuso, quindi, nei giorni scorsi, ci si è spostati ancora una volta in piazza. Abbattuti virtualmente i muri, i palazzi, le case. È stato come se, contemporaneamente, si fossero aperte tutte le porte della città. Niente palchi, solo un pannello per riparare il suolo dagli schizzi, pochi minuti di presentazioni, uno schermo, e poi la musica alta, il vocio dei curiosi, le domande sussurrate, gli sguardi di chi cerca un appiglio che lo aiuti a capire di più.
Presenti Francesco Cupertino, rettore del Politecnico di Bari, partner dell’iniziativa, e la docente Mariangela Turchiarulo, delegata alla comunicazione istituzionale del Poliba. Al centro della scena, nelle mani dell’artista, le sfere di uno spintometro, strumento che serviva per la misurazione diretta di tensioni impulsive e di tensioni alternative, ormai in disuso dagli anni Settanta. Non serve scendere in ulteriori dettagli ma, cosa può succedere quando due sfere cave dal grande impatto scenico (in alluminio-rame di circa 1,5 metri di diametro), dopo aver incontrato la fisica, incrociano il talento e l’innovazione? Un’opera d’arte, a quanto pare, tanto meglio se realizzata da uno solo, ma con la “collaborazione” di molti.
“La mia prima esercitazione di laboratorio al Politecnico è stata fatta nel laboratorio di alta tensione con queste sfere” ha ricordato il rettore. “Dopo di che, i tempi passano, la tecnologia va avanti, questi oggetti sono diventati obsoleti, il laboratorio è stato ricostruito. La vecchia sede diventerà il nuovo rettorato del Politecnico di Bari. L’idea è quella di dare nuova vita, ricollocandole all’interno del laboratorio. Oggi siamo in piazza per condividere l’esperienza di una trasformazione: due sfere metalliche, due forme immaginifiche, con superfici trasparenti e opache, una bella sfida“.
Se il tempo della creazione è tipicamente un momento di isolamento, solitudine, riflessione o allontanamento – almeno nell’immaginario comune – nella performance di live painting si è trasformato in un pomeriggio, poi diventato sera, in cui non c’era “uno”, ma eravamo in tanti. “Cercherò di rievocare la tensione che li percorreva. Gli spinterometri mi entusiasmano, mi piace che il mio coinvolgimento sia un atto oltre che performativo anche simbolico per le relazioni tra ambiti della ricerca umana così diversi, ma anche così simili per tanti versi”, erano state le parole di Made514. «Bari oggi è come un atelier a cielo aperto dove realizzare un connubio tra arte e formazione», il commento di Mariangela Turchiarulo.
Uno spettacolo fatto di volti, riuniti sotto uno stesso cielo, ognuno intento ad osservare una sfumatura, una linea, un’onda, immaginando disegni, forme da comporre, figure. Le pennellate di nero del giovedì hanno trovato completezza nelle ombreggiature di bianco del venerdì, fino alla conclusione dell’evento. «Riprendiamo la musica e godiamoci l’evoluzione di quest’opera» diceva il rettore nell’intervento del 26 settembre, lasciando spazio all’arte.
Forse è questo il segreto: il movimento, l’eccitazione, la sfida, su e giù, da Treviso a Monopoli, da un’ampia sala-laboratorio dell’alta tensione alla piazza del Ferrarese di Bari, fino al rettorato del Politecnico della città, e poi chissà. «Hai già in mente il risultato finale?» avevo chiesto in un momento di pausa. Scuote la testa, «È tutto in divenire». Per chi sa ascoltare, la musica continua ancora. Che la festa continui.