Si chiama Cibo l’artista che copre con prodotti culinari italiani svastiche, croci celtiche e simboli razzisti di ogni genere.
Visti i tempi che corrono è proprio il caso di dire: “A mali estremi, estremi rimedi”. A rappresentare questo detto ci pensa Cibo, lo street artist di Verona che ha avviato un progetto di copertura delle scritte e dei simboli fascisti, nazisti e razzisti. Il nome “Cibo” riflette i soggetti da lui disegnati per coprire e cancellare simboli e scritte legate all’ideologia nazifascista, ovvero prodotti dell’eccellenza culinaria italiana come insaccati, frutti, ortaggi e dolci. Street art e tradizione gastronomica a braccetto con un forte messaggio sociale.
“In cucina noi troviamo le nostre tradizioni, la nostra infanzia, la nostra cultura. La tavola unisce i popoli, e per noi italiani è un orgoglio che va sopra a qualsiasi ideologia o confine.”
Courtesy CIBO
1) Ciao, chi sei? Come ti presenteresti al pubblico di ARTUU?
Ciao io sono Pier Paolo Spinazzé, sono uno streetartist in strada da più di vent’anni e tra le molte firme oggi parliamo di Cibo!
2 )In cosa consiste il tuo progetto? Quale messaggio vuoi comunicare?
Il progetto Cibo nasce dieci anni fa, un po’ per scherzo, un po’ per ricerca. Del tutto inatteso è stato il successo di questa idea, da prima i cittadini, veri destinatari di questa forma d’arte (io disegno nelle campagne veronesi, non metropoli), ai follower di tutto il mondo. Il progetto va a valorizzare il rapporto con il territorio della street art, una passione che dai campi, alla tavola, ai muri, troviamo nei luoghi dove nascono le eccellenze che ci rendono orgogliosi di essere italiani. In poche parole ho tradotto la fame della gente, la fame quella buona, quella che a tavola ci zittisce, ma anche che ci unisce. Un messaggio dolce in un momento amaro.
3) Perché hai scelto proprio la tematica del cibo? Arte-cibo-società sono un trinomio interessante!
Per diversi motivi il cibo ha incontrato i muri, primo è la nostra appartenenza, è un linguaggio che tutti riconoscono e capiscono, secondo è l’immediatezza, per strada devi essere diretto, veloce, terzo è positivo, non dai fastidio, strappi sorrisi.
4) Spiegaci la tua visione di street art: oltre alla tecnica, quanto conta il rapporto con il contesto sociale e il rapporto con le persone?
Se posso implementare con una domanda provocatoria: “Perché la gente non va più nei musei o nelle gallerie d’arte?”. Perché percepisce questo distacco fatto di paroloni, di critici, di galleristi e “gallerine”. Un jet set che esclude a suon di aggettivi chi non è del settore. Un mondo chiuso che sensibilizza e non risolve, al limite fa domande, ma sempre educatissime. (Ovviamente da questa polemica sono esclusi gli artisti presenti nei libri, che si sono guadagnati il rispetto della Storia dell’arte).
Street art è per me l’unico modo di fare questo lavoro da sogno senza cadere in edulcorati intermediari, andando direttamente dal fruitore senza un invito o un vernissage. Io scelgo i miei mecenati, o loro scelgono me, e l’arte è tornata ad essere veramente di tutti. Certo non devi essere commerciale, ma pop, un artista che va a realizzare arte pubblica si fa catalizzatore di una passione propria degli abitanti di quel luogo. Il rapporto artista-cittadino è indissolubile, e senza di esso entrambi saremmo più vuoti. Una città ha bisogno della street art per dimostrare di saper cambiare, di dimostrare di stupirsi ancora, ridere, arrabbiarsi, pensare. È dalla notte dei tempi che si disegna sui muri. Solo ultimamente fanno storie.
5) Prendere parte al dibattito socio-politico non è prassi del sistema dell’arte italiano. Cosa pensi del tradizionale astensionismo degli artisti al discorso dell’attualità politica in Italia?
Ogni artista sente più del dovuto, sia nel bene che nel male, ma non tutti hanno la forza di metterci la faccia, a rinunciare a parte delle proprie libertà personali per esprimere il proprio dissenso o favore. Gli italiani sono così.. un detto recita “ quando è ora di decidere è pronto in tavola”. Certo è che l’ignavia non è una bella cosa, Dante la metteva nell’antiferno.
6) Dove hai realizzato l’intervento di cui vai più fiero?
Andando per estensione, ho chiuso un 1100 mq a Zevio (Verona) un inno alla campagna che mi accolto, ai suoi prodotti e alle sue tradizioni. Un lavoro colossale che mi ha occupato un inverno, ma è record e una sfida portata a termine totalmente in solitaria.
7) Come si sta sviluppando il progetto e che futuro ti auguri possa avere?
Tutto è molto dinamico, le offerte si accumulano e anni di impegno in un settore tanto difficile stanno dando i loro frutti. Ho inviti a festival di streetart che mi danno modo di essere libero nei temi, e commissioni per enti, aziende e privati che mi chiamano a conoscere e ad interpretare determinato piatto, tradizione, territorio. Senza i paletti dei mecenati, non sarebbe così performante e stimolante, cerco di bilanciare le commissioni con le “missioni”.
Esco sempre volentieri dal muro, ma sempre a firma Cibo, già sto seguendo lavori di packaging per aziende del settore gastronomico di eccellenza, ma credo che svilupperò del merchandising saporito, per autofinanziamento colori-avvocati 😉 Inoltre ogni anno faccio un’asta divertentissima (validi anche i baratti) prima di natale con una trentina di opere. Alla fine street art è show!