AI e Cinema: rivoluzione creativa o minaccia all’intero settore?

Le intelligenze artificiali sono uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni, suscitando opinioni spesso contrastanti. Da un lato, c’è chi le percepisce come una minaccia per l’occupazione e il futuro del lavoro umano; dall’altro, chi le considera un’opportunità unica per trasformare profondamente la società, alleggerendo l’essere umano dalle fatiche quotidiane e aprendo la strada a nuove possibilità.
Come spesso accade, il confronto si trasforma in una contrapposizione sterile, con schieramenti che ricordano le tifoserie da stadio, arroccate su posizioni rigide e incapaci di dialogare.

Il dibattito si accende ancora di più quando si parla di arte e cinema.
C’è un duplice aspetto che desta non poche preoccupazioni, il timore che l’AI possa non solo sostituire il lavoro umano — come dimostrano i recenti scioperi nell’industria cinematografica — ma anche appiattire l’espressività e l’emozione nelle opere artistiche. D’altro canto, alcuni registi e produttori la vedono come un’opportunità per migliorare le performance attoriali con accorgimenti tecnologici. Un esempio controverso è Emilia Pérez, dove si è fatto uso dell’AI nella clonazione vocale: il fonico Cyril Holtz ha rivelato che la voce del personaggio principale è stata combinata con quella della pop star Camille tramite Respeecher, un’IA ampiamente utilizzata nel cinema per migliorare le voci o ricreare quelle di attori scomparsi. Questo naturalmente ha alimentato la controversia sull’autenticità artistica e sull’impatto dell’intelligenza artificiale nel processo creativo.

Emilia Perez

A gettare benzina sul fuoco, in precedenza, ci aveva pensato lo sceneggiatore Paul Schrader che aveva condiviso su Facebook il suo entusiasmo per il lavoro di ChatGPT, affermando:Ogni idea che mi ha suggerito era buona e originale. Perché gli sceneggiatori dovrebbero passare mesi alla ricerca di una buona idea, quando l’intelligenza artificiale può generarne una in pochi secondi?

Questa posizione, oltre a sollevare molte perplessità, ha suscitato indignazione, in particolare tra coloro che, dopo anni di studi e senza una posizione già consolidata nell’industria cinematografica, vedono sfumare la possibilità di costruirsi una carriera a causa di una macchina che, secondo loro, non potrà mai produrre idee veramente originali come quelle di un essere umano.

E cosa ci si può aspettare quando si scopre che un film premiato al Festival di Venezia e vincitore di ben tre Golden Globes, ha fatto ampio uso dell’intelligenza artificiale? Una polemica accesa, ovviamente. È proprio ciò che sta accadendo con The Brutalist, il film diretto da Brady Corbet, già considerato uno dei possibili candidati ai prossimi Oscar. La pellicola, che dura ben 3 ore e mezza, vede Adrien Brody nel ruolo di László Tóth, un architetto ebreo originario dell’Ungheria.

The Brutalist

Il montatore del film, l’ungherese Dávid Jancsó, ha rivelato con grande trasparenza che la produzione ha fatto uso delle AI, ad esempio tramite Respeecher, che ha consentito di perfezionare la pronuncia magiara degli attori principali. Grazie alla sua conoscenza delle sfumature linguistiche del proprio Paese, Jancsó ha contribuito personalmente inserendo nel sistema espressioni dialettali che l’AI ha integrato, donando maggiore autenticità e naturalezza alle interpretazioni. Inoltre, per ottimizzare il budget, l’intelligenza artificiale è stata impiegata anche per creare sfondi e scenografie, consentendo un notevole risparmio di tempo e risorse.

Jancsó ha sottolineato quanto sia complesso affrontare il tema dell’AI all’interno dell’industria cinematografica, un settore che, nonostante le controversie, ha ora la possibilità di realizzare opere senza precedenti. Un altro esempio emblematico è Here, il nuovo film di Robert Zemeckis con Tom Hanks, in cui l’AI non solo gioca un ruolo fondamentale, ma quasi si guadagna un posto tra i protagonisti.

Basato sull’omonima graphic novel, Here racconta una storia che attraversa il tempo e le generazioni. Piuttosto che focalizzarsi sul dinamismo della macchina da presa, il film pone l’accento sui cambiamenti fisici dei protagonisti, che invecchiano e ringiovaniscono in modo straordinariamente realistico grazie all’uso dell’intelligenza artificiale. Risultati di questa precisione sarebbero stati impossibili da ottenere rapidamente con il solo trucco o altri strumenti analogici.

La possibilità di apparire più giovani senza ricorrere alla chirurgia non è certo una novità nel cinema. Hollywood ci prova almeno dal 2009, un anno che oggi sembra quasi distante anni luce dal punto di vista tecnologico, con Il curioso caso di Benjamin Button. Nel 2019, invece, nel film The Irishman diretto dal leggendario Martin Scorsese, fu utilizzata la tecnologia digitale per ringiovanire i protagonisti, tra cui Robert De Niro, che, entusiasta, si rivolse a uno dei tecnici responsabili del ringiovanimento digitale, dicendo: “Mi hai appena dato altri trent’anni di carriera!”.

Scorsese, da parte sua, aveva già da tempo in mente The Irishman, ma decise di realizzarlo quando stava esplorando un altro progetto mai andato in porto: un biopic su Frank Sinatra, in cui desiderava un unico attore per interpretare tutte le fasi della vita del cantante. Scoprendo la possibilità di utilizzare il ringiovanimento digitale, abbandonò il progetto su Sinatra e si concentrò sul mastodontico The Irishman, ponendo una condizione fondamentale: che gli attori più esperti, come De Niro e Joe Pesci, girassero le scene in modo tradizionale.

Un giovane De Niro in The Irishman

Innegabile dunque che l’intelligenza artificiale, usata nel modo giusto, sia uno strumento capace di potenziare l’immaginazione, permettendo la realizzazione di progetti che prima sembravano irrealizzabili a causa di limitazioni tecnologiche o finanziarie. Un sospetto che si sta rivelando sempre più fondato è che le AI potrebbero introdurre nel mondo del cinema una rivoluzione simile a quella causata dall’avvento delle animazioni grafiche, che ha trasformato radicalmente il panorama dei cartoni animati. Questi ultimi, infatti, hanno acquisito un aspetto completamente nuovo rispetto ai classici del passato, segnando un cambiamento epocale.

Siamo a un bivio cruciale giacché le intelligenze artificiali rappresentano al contempo una grande opportunità e una sfida complessa. Non possiamo prevedere con certezza come evolverà la loro applicazione nel cinema e in altri ambiti creativi, né quali saranno le conseguenze a lungo termine. Questo rende impossibile prendere una posizione definitiva. Tuttavia, come in ogni rivoluzione tecnologica, è fondamentale evitare di demonizzare lo strumento in sé: ciò che farà la differenza sarà l’uso che se ne deciderà di fare. La speranza è che queste tecnologie vengano impiegate per ampliare i confini dell’immaginazione umana, piuttosto che appiattirli, e per dare vita a opere che, altrimenti, sarebbero rimaste irrealizzabili. Il futuro rimane aperto e, con esso, anche la responsabilità collettiva di guidarlo nella direzione migliore.

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