Spazio Volta apre l’ex chiesa di San Rocco, oggetto di un restauro in corso, con la mostra Troppo facile per l’incredulo vedere da lontano di Wilfredo Prieto.
Che cosa hanno in comune un uovo e una palla da bigliardo numero 8? Oppure una patata e una lampadina tonda? Uno specchio e un bastone di legno? Apparentemente sono oggetti e elementi cui viene sottratta la funzione originaria, per inserirsi all’interno di un contesto significante diverso. Prelievi di una quotidianità che riattivano una riflessione, seppur talvolta con spostamenti minimi, sulla condizione umana. Una possibilità dell’arte, cui ci hanno abituato le avanguardie novecentesche, nel trasferire alla conoscenza del reale una visione differente. La pratica dell’artista cubano Wilfredo Prieto (1978, Sancti Spiritus, Cuba) si colloca tra gli interstizi della conoscenza, producendo una destabilizzazione visiva e di senso.
Il dialogo di Prieto con lo Spazio Volta ha portato alla produzione di opere nuove realizzate appositamente, ma anche di opere precedenti ricontestualizzate. Troppo facile per l’incredulo vedere da lontano di Wilfredo Pietro in collaborazione con la Galleria Massimo Minini, sarà visitabile fino al 12 gennaio 2025, nell’ex fontana della chiesa di San Rocco, con la vetrata a volta che si affaccia sulla piazza del Mercato delle Scarpe nella Città Alta. Già attivo dal 2020 con la biblioteca Gavazzeni (che tecnicamente ne consente l’accesso), aderendo anche al Patto della lettura, in cui è ospitato l’archivio REPLICA (progetto di libri di artista, con l’allestimento realizzato da Furlani-Gobbi e da Parasite 2.0), e luogo di confronto e dialogo, con mostre, incontri e presentazioni di libri.
Ma anche con una delicata leggerezza, per la prima volta, nei fragili ambienti della chiesa adiacente, oggetto di un recente progetto di riqualificazione, tuttora in corso d’opera. L’Associazione Volta APS (che gestisce già Spazio Volta) ha “caparbiamente” (come sostenuto dall’amministrazione pubblica), creduto in questo recupero. Lo scopo è quello di restituire un bene alla comunità, che dagli anni ’80 risultava inutilizzato, applicando il modello del partenariato pubblico privato (PPP) con le istituzioni comunali, insieme al ruolo della Sovrintendenza. E al medesimo tempo riaprirlo attraverso un programma culturale, che prevede un dialogo tra discipline diverse.
Il presidente dell’associazione Edoardo De Cobelli con gli altri soci, hanno avviato il progetto attraverso una raccolta fondi indipendente, consentendo un primo intervento necessario per ottenere una parziale agibilità degli ambienti. La chiesa del ‘500 che si colloca tra il Mercato delle Scarpe e la salita verso via Rocca, racconta una storia travagliata tra passaggi di funzione e proprietà. Dedicata al culto di San Rocco, tribunale mercantile nel Medioevo, chiesa poi sconsacrata nel 1697 e ripristinata nel secolo successivo al culto dalla famiglia Salvioni. Fino alla definitiva sconsacrazione nel primo quasi trentennio del Novecento, per essere poi dimenticata dagli anni ’80, dopo un intervento di consolidamento strutturale da parte del Comune.
L’attuale operazione di restauro nella chiesa, che si trova al di sopra dell’ex fontana, oggi consente una parziale agibilità della stessa, includendo il ripristino degli ambienti, del controsoffitto, degli impianti, con il coinvolgimento di una serie di professionalità diverse e attori economici. Tuttavia, il progetto richiede un maggiore sostegno concreto, tanto più che si tratta di una iniziativa partita da una giovanissima squadra di professionisti dell’arte, il cui scopo è quello di generare un dialogo tra la memoria storica di un luogo soggetto al vincolo di tutela, con i linguaggi della storia contemporanea, coinvolgendo la comunità e il territorio.
Wilfredo Prieto, invitato a confrontarsi con le asperità e le fragilità di questo spazio, ha prodotto opere che si inquadrano in una dimensione scevra da volontà invasive. Si tratta piuttosto di interventi il più delle volte minimi, che si inseriscono negli interstizi degli ambienti e della memoria. Sfidano la percezione e le classificazioni normalizzate, obbligando lo spettatore allo sforzo riconoscitivo dell’oggetto originario, ma all’interno di un codice di riferimento differente. Alimentando, in questo modo, una riflessione sul processo di distorcimento, che il metodo e la pratica dell’artista cubano prevedono, suggerendo prospettive più ampie.
Cielo e Terra (patata e lampadina 2024), e L’anima portata via della materia (profumo bottiglia 2019), sollecitano l’attenzione dello spettatore. Le opere si trovano in uno stato di sospensione reale (il filo della bottiglia, e quella della lampadina al soffitto) che si conclude sul pavimento di cotto. Ma anche metaforico sottraendosi a una comprensione standardizzata. È un’estetica delle forme quella di Uovo e palla 8 (2016), appoggiato su una porzione di un piccolo muretto con l’intonaco scrostato, che quasi passa inosservato. Mentre la dimensione si fa più spirituale con il cuore e il cervello di Troppo facile per l’incredulo vedere da lontano (cuore e cervello, 2024), che dà il titolo alla mostra, chiusi dentro un contenitore di vetro, nel luogo più sacro e rituale come l’altare. È un gioco di trasparenze e di riflessioni oggettive, lo specchio con legno di Trappole (2024), nella vetrata esterna della volta che si mostra alla piazza Mercato delle Scarpe, e che si inquadra in un contesto di molteplici riflessioni (reali e non), e in uno spazio considerato eterotopico.
Sono trappole visive e mentali, quelle che l’artista mette in scena, muovendosi in contesto di riconoscimento quotidiano, tra interferenze e disconoscimenti, che tra ironia e leggerezza, si adeguano a nuove letture e riconfigurazioni.