Nel cuore della compatta maestosità del Palazzo Pubblico di Siena, prepotentemente slanciato dalla Torre del Mangia voluta dai Nove per stringere la mano a dio, si apre fino al 19 novembre 2023 I wonder if you can, mostra collettiva che raccoglie le immagini vincitrici del premio fotografico Creative Photo Awards, a sua volta inserito nel prestigioso Siena Awards Festival, un viaggio di imprecisabile ricchezza fra sguardi di ogni cultura riuniti in circa dieci rassegne concentrate fra Siena, Chiusdino e Sovicille. Ospitata nello spazio dei sotterranei Magazzini del Sale, accessibili attraverso il Cortile del Podestà (e col solo ticket del vicino Museo Civico), I wonder if you can concentra desideri, auspici e sfide, come quelle lanciate dalla fine-art alla fotografia convenzionale, bisognosa e fautrice di una profondità che i lavori senesi trasfigurano per fondere arte e denuncia sociale, territorialità e clima, passato e presente, futuro e istante.
Ma non solo: nelle otto categorie tematiche previste dal concorso è interamente abbracciata la fluidità di un’antropizzazione che, nei quadri di questo tempo inquieto, si manifesta con sempre meno pudore verso il consumo ambientale, la discriminazione, la prevaricazione, l’esclusione. Dove l’uomo genera caos, allora, è importante fissare, catturandoli, dei frangenti che, sospinti da un bisogno, traducano per altri quell’inquietudine che anima un periodo con effetti che, notati da pochi, coinvolgono chiunque; quell’angoscia che l’immagine rende intelligibile e condivisibile.
Alla fin fine, è questo che si chiede alla fotografia e alle arti visive, comunque le si declini: dare un senso al mondo nel bene e nel male e scoprirlo nella bellezza indecifrabile o per tanto tempo, semplicemente, omessa. È forse in diretta continuità con simile speranza che rileviamo in Aesthetics from Africa-3, scatto di Frank Zhang premiato come fotografia dell’anno, quella statura di manifesto di un’intera collezione in grado di dipanare, con la forza del colore, la dirompente spazialità dei paesaggi o la magnetica caparbietà delle provocazioni grafiche, i nodi di una modernità a tratti asfissiante. Il soggetto, l’iconica Sonia Barbie Tucker, modella afroamericana di origini ghanesi, proietta l’elaborata bellezza africana nello spartito delle questioni attuali e urgenti, rischiarate da una grazia che abbiamo sempre cercato di fuggire.
La stessa grazia che, aggirandoci fra gli spessi muri dei Magazzini, intrisi di storia e di storie, possiamo scorgere negli animali ritratti, in ogni modo, dagli obiettivi in gara, maestri nel catturarne un’energica dignità che non devono certo a noi; nel restituirne l’indipendenza e l’autonomia all’interno di habitat e geografie di cui siamo ospiti; grazia che possiamo respirare, travestita da vulcanico entusiasmo, nelle immagini dei nostri Mirulla e Ciaffoni, impegnati a scovare nel matrimonio quei tempi rituali e relazionali che fondano l’impegno di una vita insieme.
Ancora un angolo, infine, ed eccoci davanti all’esasperata simmetria delle più irriverenti architetture pensabili dalle nostre tradizioni urbanistiche, plastiche metafore nazionali che ammiriamo come esempi di organizzazione politico-economica e stigmatizziamo come eccessi ecologici.
Insomma, I wonder if you can non illustra soltanto le più recenti suggestioni fotografiche, accasandoci nella mente che le converte, ma consente di esplorare il cambiamento della fotografia e delle sue possibilità espressive – fino alla fine-art – in funzione del mondo che vuole catturare; di valutare la diversità e la parità – a tutti i livelli sociali e culturali – secondo prospettive inedite e coinvolgenti; di confrontare il nostro con i mondi altrui, non ultimi quelli arborei e animali che abbiamo bisogno di preservare e rispettare. D’altra parte, brandire il dinamismo dell’immagine laddove Simone Martini e Ambrogio Lorenzetti vollero affermarne l’armonia imperitura è di per sé un atto rivoluzionario. I wonder if you can, si capisce, è un invito all’azione.
Cover Pictures Credits: Nicolò Atzori