Il mondo dietro di te: un’apocalisse in atto e la consunzione del reale

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Non è facile raccontare una stagione culturale che sappia di benessere, stupore, gioia e bellezza quando quella stagione si trova agli antipodi temporali dalla nostra contemporaneità. Ma quello che spesso capita è di proiettare quella stagione culturale, che può andare dalla rivoluzione industriale ad oggi, ma anche dal boom economico ai primi anni ’90, nelle nostre vite attraverso storie e racconti che sono stati forgiati, pensati e scritti in quella stagione, che non ci dice molto di quello che siamo ma dice molto di come il boom economico sia stato idealizzato e portato in scena.

In questo senso, non si può chiedere un tempismo migliore di quello de Il mondo dietro di te, angosciante thriller fantapolitico Netflix diretto da Sam Esmail (Mr. Robot, Homecoming) e ispirato all’omonimo bestseller di Rumaan Alam. In un panorama socio-politico di crescente allarme, segnato da conflitti armati sempre più rischiosi, disastri sanitari e ambientali e dalla salita inarrestabile di populismi ed estremismi, Sam Esmail ci obbliga a confrontarci con la dicotomia solo apparente tra evasione e riflessione e con l’inevitabile fine di un’epoca in equilibrio tra leggerezza spensierata e sicurezza di stabilità politica e sociale, per quanto ingiusta e imperfetta. Non è un caso che tocchi a Friends, la celebre sitcom della NBC, ad essere portata come paradigma degli anni ’90, che in questo film viene considerata l’emblema di quella stagione culturale, spensierata, stabile, priva di angoscia. 

Sam Esmail si ispira a Jordan Peele e M. Night Shyamalan, ma lascia da parte le loro tematiche sociali e religiose, per offrirci una visione lucida e spaventosa della nostra oscura realtà. Al centro di questa storia c’è la newyorkese misantropa Amanda (Julia Roberts) che decide di fare una sorpresa al marito Clay (Ethan Hawke) e ai loro figli affittando per un weekend una villa di lusso vicino alla spiaggia. Una volta arrivati sul luogo, in una calma giornata di sole una petroliera si incaglia improvvisamente a pochi metri dalla famiglia. Il primo di una serie di eventi strani e inquietanti, come il blocco della linea telefonica e della rete Internet (per la delusione della piccola Rose, che vorrebbe finire la sua maratona di Friends con l’ultimo episodio) e l’arrivo nella villa di G.H. Scott (Mahershala Ali) e sua figlia Ruth (Myha’la Herrold), che si presentano come i veri proprietari dell’abitazione. In un’atmosfera di sospetto, diffidenza e paura crescente, la situazione attorno ai protagonisti peggiora ma, anche a causa di un blackout e della difficoltà negli spostamenti, è difficile capire cosa stia realmente succedendo.

Una società segnata dalla cronica sfiducia verso gli altri, totalmente asservita alla tecnologia e in bilico tra normalità e catastrofe. In questa realtà, così astiosa, divisa, incapace di rapportarsi con gli l’altro, c’è una consunzione in atto, un logoramento che trova tutti d’accordo, e che in questo dilapidare, in questo elidere, ci sono tutti e sono tutti sullo stesso piano. Ed è la fine a livellare ogni personaggio, il sentimento della fine o comunque il sospetto che i personaggi si stiano avvicinando alla fine, alla fine del loro mondo, alla fine di ogni certezza. E ognuno si rapporta a questo sentimento come può e come crede. 

Nel libro da cui è tratto questo racconto apocalittico, l’autore Rumaan Alam fa anch’egli riferimento a Friends. Ma il regista Esmail, nella trasposizione filmica del suo racconto, ha deciso di estendere la presenza della sitcom trasformandola in un filo conduttore che gioca un ruolo chiave nella conclusione del film, arrivando a dimostrare come gli esseri umani bramino una fuga dalla realtà, anche a scapito del presente. L’uso di Friends, come dicevamo in apertura, che inizialmente sembra un inside joke generazionale, si rivela uno dei punti cardine del film: il mondo di Friends è ambientato in una New York brillante, in cui tutto è possibile, in cui gli appartamenti sono economici, grandi, un mondo in cui l’11 settembre non è mai accaduto. Il mondo di Friends è un modo comodo, felice, rilassante, è pura evasione per chi lo guarda, soprattutto per Rose che passa ore a guardare intere stagioni della sitcom della NBC, un posto che lei vuole tornare ad abitare mentre il mondo fuori brucia. Perché se è vero che leggere ti moltiplica le vite, per Rose guardare l’ultima puntata di Friends mentre il mondo sta deflagrando è un modo per trasformare la cronologia in analogia, e quindi trasferire la consunzione temporale in un vortice sentimentale in cui non c’è flessione verso la fine ma riflessione sul sentimento della fine.

Sam Esmail riesce a trovare un buon equilibrio tra narrazione e riflessione proponendoci una storia che non lascia indifferenti. Non si può ignorare che uno dei temi principali del complesso contesto politico che circonda il film (e quindi noi stessi) è il rischio di una guerra civile negli Stati Uniti, sfiorata alla fine del mandato di Donald Trump e sempre più temuta per una sua eventuale rielezione. Questo però non impedisce a Sam Esmail di realizzare un’opera varia e stratificata, che gioca con le paure occidentali (la ribellione delle Tesla, i biglietti minacciosi che cadono dal cielo) ma allo stesso tempo demistifica il deep state, dipingendo una situazione in cui il caso e il caos sono più forti e pericolosi di qualsiasi élite.

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