Maurizio Pellegrin, l’Ottocento e il ritratto contemporaneo a Venezia

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Maurizio Pellegrin è una personalità singolare che, muovendosi dalla calma laguna veneziana fino ai vertiginosi skyline di Manhattan, ha sempre tessuto nelle sue opere un dialogo tra passato e presente, tra l’antico e il moderno. La sua è una carriera costellata da esplorazioni artistiche che si sono dipanate attraverso decenni, muovendosi agilmente tra differenti medium e forme espressive, e che hanno però sempre avuto una difficoltà di fondo: la costruzione dell’identità, specialmente attraverso il ritratto.

Oggi Maurizio torna alle origini, o meglio ad un passato ottoecentesco, con la mostra “Maurizio Pellegrin. Me stesso e io” curata da Elisabetta Barisoni, nella prestigiose Sale Dom Pérignon di Ca’ Pesaro, in dialogo con la grande mostra “Il ritratto veneziano dell’Ottocento“. In questa narrazione visiva, il visitatore è introdotto in un mondo dove i ritratti non hanno volti, ma sono costituiti da oggetti carichi di significati personali: un reliquiario che Pellegrin ha raccolto nel corso degli anni per auto-rappresentare l’identità collettiva. Questi “reperti di umanità”, come li chiama l’artista, sono simboli delle varie fasi della sua vita e della sua continua ricerca identitaria. Dunque, se nell’Ottocento il ritratto era una costruzione di valori e simboli ben definitiva, Pellegrin sembra voler definire e santificare le “rimanenze” del passato più che la vivificazione del presente.

Maurizio Pellegrin, Ca’ Pesaro, ph Elisa Chesini

I suoi autoritratti come “104 Eyes and 1 Black Dot” del 2011 e i “Drawings” dal 1984 al 2002, sono dei frammenti, dei non-finiti michelangioleschi, deo puzzle che compongono il suo essere, un intreccio di memorie e momenti di introspezione, legati indissolubilmente alla sua Venezia natale.

Maurizio Pellegrin, _Memories (The Corsets)_, 2021, tessuto e oggetti, 175,5×231 cm _ fabric and objects, 175,5×231 cm

Man mano che ci si addentra nelle sale, emergono i “Corsets”, una serie che parla di storie private, di tracce lasciate da anime erranti ottocentesche (ormai forse fantasmi) in oggetti esposti quasi un interesse etnografico. Questi pezzi rappresentano i “i lacerti, reperti di un’umanità che ha lasciato sul muro le tracce del proprio passaggio privato” secondo la curatrice Elisabetta Barisoni.

Maurizio Pellegrin, “The Others” Ca’ Pesaro, ph Elisa Chesini

La mostra culmina con “The Others”, un’opera site-specific che si confronta con la storia dell’arte veneziana, un dialogo tra i ritratti del Settecento e Ottocento e la contemporaneità. È qui che Pellegrin trova la sua voce più forte (forse spersonalizzandosi di più), in un’accumulazione quasi ossessiva di immagini del passato che parlano al presente, sussurrando storie di altre vite che si intrecciano con la sua.

Attraverso questa esplorazione artistica, Pellegrin cerca di aggiungere la sua personale pagina alla storia del ritratto: un confronto con i giganti condotto senza paura, ma con una grande consapevolezza. Un’espsozione dove ogni oggetto, ogni immagine, diventa un frammento di un discorso più ampio di sull’arte e sull’eterna ricerca di noi stessi.

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