Se n’è andato ieri, nella sua casa di Pantelleria, Filippo Panseca, artista trasformativo e trasformativo, “capace di anticipare i tempi e di immaginare futuri possibili attraverso l’arte”, come disse di lui Gillo Dorfles. Panseca aveva scelto l’isola siciliana come rifugio e fonte di ispirazione: un luogo di pace dove natura e creatività si intrecciavano, influenzando le sue opere degli ultimi anni. Artista davvero libero e moderno sperimentatore, Panseca è stato capace di ridefinire i confini dell’espressione creativa, unendo estetica, tecnologia e impegno sociale in una visione coerente e audace. Nato a Palermo nel 1940, ha attraversato sei decenni di cambiamenti con una capacità unica non solo di adattarsi ma anche e soprattutto, di anticipare i tempi.
Gli anni delle avanguardie e della pittura informale
Panseca si formò negli anni ’60, un periodo segnato dall’avanguardia e dalla sperimentazione artistica. Le sue prime opere, spesso legate al linguaggio informale, rivelano una ricerca materica e un’attenzione per il dinamismo e la trasformazione, temi che continueranno a caratterizzare la sua carriera. A Palermo, fondò due gallerie d’arte, “Il Chiodo” e “Il Paladino”, che divennero centri di sperimentazione per gli artisti siciliani. Nel 1965, la sua partecipazione alla Quadriennale di Roma segnò il riconoscimento del suo talento su scala nazionale, aprendo la strada al trasferimento a Milano, città che lo accolse come un laboratorio perfetto per la sua visione artistica.
Nello stesso periodo, Panseca realizzò i suoi fluidi itineranti, installazioni dinamiche che si trasformavano continuamente nello spazio e nel tempo. Queste opere sfidavano la staticità dell’arte tradizionale, proponendo un’esperienza mutevole e interattiva. Per Panseca, l’arte doveva riflettere la complessità e il dinamismo della vita stessa, diventando un flusso continuo di cambiamento.
La svolta dell’arte biodegradabile
Negli anni ’70, Panseca introdusse una delle sue idee più rivoluzionarie: l’arte biodegradabile. Anticipando di decenni il dibattito sulla sostenibilità, creò opere utilizzando materiali organici come fiori, foglie e terra, che si trasformavano e si dissolvevano nel tempo. Questa ricerca era profondamente etica, sottolineando il legame tra l’arte e i cicli vitali della natura. Il critico Pierre Restany, padre del Nouveau Réalisme, definì l’arte biodegradabile di Panseca “una risposta poetica e radicale al consumismo dell’arte contemporanea”. Le sue installazioni, effimere e potenti, erano un invito a ripensare il ruolo dell’artista come mediatore tra uomo e ambiente.
L’arte come strumento politico: il rapporto con Craxi e il PSI
Gli anni ’80 segnarono una fase cruciale nella carriera di Panseca, con la sua collaborazione con Bettino Craxi e il Partito Socialista Italiano. Fu in questo periodo che Panseca ideò il celebre garofano rosso, simbolo che sostituì la falce e il martello, rappresentando la modernizzazione e il rinnovamento del PSI. Le sue scenografie per i congressi del partito erano veri e propri spettacoli visivi, con colori audaci, geometrie moderne e un uso innovativo delle luci. Come disse lo stesso Craxi, “Panseca non era solo un artista, ma un interprete dello spirito del cambiamento”. Questa collaborazione, se da un lato gli diede grande visibilità, dall’altro lo rese una figura controversa, accusata da alcuni di piegare l’arte alle esigenze della politica. Per Panseca, però, questa era un’opportunità per portare l’arte fuori dai musei e dentro la vita pubblica, trasformando l’estetica in un linguaggio universale.
Spazi immersivi e design: l’arte entra nella vita quotidiana
Parallelamente al suo impegno politico, Panseca si dedicò al design e alla scenografia, progettando spazi che univano arte e architettura. Tra i suoi lavori più noti ci sono le scenografie per i club milanesi Number One e Studio 54, simboli di un’epoca e di una cultura in fermento. Questi spazi non erano semplici locali notturni, ma ambienti immersivi dove ogni dettaglio – dall’illuminazione agli arredi – era concepito come parte di un’esperienza artistica totale. Panseca credeva fermamente che l’arte dovesse entrare nella vita quotidiana, trasformando gli spazi comuni in luoghi di meraviglia e interazione.
L’innovazione digitale: la computer art
Con l’avvento degli anni ’90, Panseca abbracciò le tecnologie digitali, diventando uno dei pionieri della computer art in Italia. Nel 1991, fondò la prima cattedra di Computer Art presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, contribuendo a formare una nuova generazione di artisti e introducendo nel panorama italiano un linguaggio innovativo. La computer art, per Panseca, non era solo un mezzo tecnico, ma una nuova forma di espressione capace di esplorare le relazioni tra uomo e macchina, reale e virtuale. Le sue opere digitali, che combinavano algoritmi, grafica e video, erano visionarie e sperimentali, portando l’arte contemporanea in una nuova dimensione.
Arte immateriale e opere fotocatalitiche
Negli anni 2000, Panseca si spinse ancora oltre, sviluppando il concetto di arte immateriale. Tra le sue creazioni più innovative ci sono le opere fotocatalitiche, realizzate con materiali capaci di purificare l’aria attraverso reazioni chimiche attivate dalla luce. Queste opere non erano solo oggetti estetici, ma veri e propri dispositivi funzionali, capaci di migliorare l’ambiente circostante. Come sottolineò il critico Achille Bonito Oliva, “le opere fotocatalitiche di Panseca sono la sintesi perfetta tra bellezza e utilità, un esempio di come l’arte possa trasformarsi in uno strumento per il bene comune”.
La morte di Filippo Panseca segna la fine di una vita dedicata alla ricerca e all’innovazione, ma la sua eredità è destinata a durare. Panseca è stato un artista che ha saputo anticipare i tempi, unendo estetica, tecnologia e riflessione etica in un percorso che ha influenzato profondamente il panorama culturale italiano. Come scrisse il critico Valentino Catricalà, “Panseca non è stato solo un creatore di opere, ma un creatore di visioni, capace di immaginare il futuro e di plasmarlo con il linguaggio dell’arte”.