Continua la nostra indagine sugli artisti invitati alla Mostra Internazionale della prossima Biennale Arte di Venezia. Un totale di 332 artisti, provenienti da tutti i paesi del mondo e di tutte le generazioni. Le prime cinque puntate sono state pubblicate qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 1), qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 2), qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 3) qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 4) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 5) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 6) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 7) qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 8) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 9) Di seguito, ecco la decima puntata. Per raccontarvi ogni artista in poche righe, con un’opera rappresentativa della sua ricerca.
Hendra Gunawan (Bandung, Indonesia, 1918–1983 Bali, Indonesia)
Pittore, scultore e poeta indonesiano nato a Bandung, capitale dalla provincia occidentale di Giava, conosciuto per il suo impegno militante contro il regime dittatoriale dell’Ordine Nuovo. Gunawan si unì alla truppe studentesche in giovane età e fu un membro di Poetera (Centro del Potere Popolare), partecipò anche a Persagi, l’Associazione degli Artisti Indonesiani, fondata da S. Soedjojono e Agus Djaya nel 1938. L’artista dedicò l’intera vita alla lotta contro povertà, ingiustizie e colonialismo, attività che lo portò alla reclusione durata 18 anni, fino al 1978. Durante la prigionia le sue opere furono raramente argomento di discussione, tuttavia la selezione superstite di questo periodo, composta da un nutrito gruppo di schizzi e bozzetti, rappresenta un’eredità fondamentale per comprendere la sua opera.
La produzione di Hendra Gunawan fu segnata dal carcere assumendo un carattere maggiormente figurativo e realistico rispetto alla ricerca artistica precedente. Realizzati a matita o inchiostro su piccoli pezzi di carta, i disegni restituiscono le difficoltà emotive vissute da Gunawan nel penitenziario di Kebon Waru. Queste opere includono svariati soggetti: dai pescatori della costa, agli animali tipici della sua terra, ai guerrieri, fino alle donne indonesiana portatrici di una lunga tradizione, raffigurate con costumi e trucchi tipici mentre ballano con il volto mascherato. A causa delle complesse situazioni politiche vissute dal Paese, molti lavori sono stati perduti, ma diversi musei e collezionisti privati hanno intercettato parte del suo catalogo, che attualmente ammonta a circa 120 opere tra dipinti, schizzi e sculture.
Antonio Jose Guzman (Panama City, 1971. Vive a Amsterdam, Paesi Bassi e Panama City) & Iva Jankovic (Ruma, Serbia, 1979. Vive a Amsterdam, Paesi Bassi)
Artista di origini panamensi conosciuto per la sua pratica artistica multidisciplinare che usufruisce di diverse media: installazioni, fiber art, collage, video arte e pittura acrilica. Risiede e lavora ad Amsterdam, dove concentra le sue riflessioni sui temi della memoria, della concezione del tempo e della reinterpretazione degli atteggiamenti postcoloniali nella società contemporanea. Antonio Jose Guzman è un artista noto a livello internazionale, ha esposto in celebri istituzioni artistiche in tutto il mondo e le sue opere sono divenute parte integrante di collezioni prestigiose. Parallelamente alla carriera artistica, l’artista svolge la professione di docente e curatore, dimostrando un impegno profondo e concreto nell’ambito dell’educazione e della promozione dell’arte e della cultura contemporanea.
Negli ultimi anni, Antonio Jose Guzman ha scelto di coinvolgere nei suoi progetti numerosi artisti, tra cui spicca Ivan Jankovic con il quale ha partecipato a diversi progetti espositivi ospitati dal Texile Museum di Tilburg, dal Stedelijk Museum di Amsterdam e dalla Biennale di Venezia. In occasione della 60° edizione dell’evento lagunare, Guzman e Jankovic presentano lavori di fiber art accompagnati da una performance attraverso la quale scelgono di rappresentare la storia dei tessuti sacri indaco, colore legato al passato coloniale e al commercio degli africani schiavizzati che trasferirono nelle Americhe la loro esperienza nella coltivazione dell’indaco.
Marie Hadad (Beirut, Libano, 1889–1973)
Nata in una famiglia di banchieri di spicco, Marie Hadad concluse i suoi studi presso l’ “École Des Dames De Nazareth”, dove ha studiato le opere dei maestri francesi, la letteratura e le arti. Iniziò a dipingere per diletto nei primi anni Venti, tuttavia ricevette una breve formazione artistica tra il 1924 e il 1925 frequentando le lezioni private dell’artista Kober, che possedeva una scuola d’arte a Beirut. Ciò nonostante, cominciò ad esporre già nel 1930 ottenendo presto il riconoscimento da parte della comunità artistica di Beirut. Tenne la sua prima mostra personale presso la Galleria Georges Bernheim, nel 1933, sede espositiva con cui collaborò fino al 1940.
I suoi ritratti di beduini e abitanti delle montagne libanesi colpirono per la semplicità e la profondità dimostrate nel ritrarre figure spesso ignorate della società, connotate da uno stile descritto come realismo sociale, sebbene le sue composizioni pittoriche e la scelta dei soggetti presentino figure e ambienti resi con forme stilizzate, dense di emotività e spesso drammatiche. Diventata famosa con l’appellativo di “artista dei beduini“, fu l’unica artista libanese ad essere ammessa al Salon d’Automne De Grand Palais di Parigi dal 1933 al 1937. Hadad espose anche a Londra e New York, dove partecipò alla Fiera Mondiale del 1939.
In seguito allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il governo francese acquisto alcuni suoi ritratti, per assicurarsi che il suo contributo all’arte contemporanea non venisse dimenticato. L’artista fu anche un’abile scrittrice, pubblicò una raccolta di racconti intitolata Les Heures Libanaises. Universalmente nota come intellettuale e artista affascinante e innovativa, Maire Hadad fu una delle figure più importanti della cultura libanese del Novecento.
Samia Halaby (Gerusalemme, Palestina, 1936. Vive a New York City, USA)
Artista e studiosa palestinese-americana, vive e lavora a New York. Halaby ha vissuto gli anni Cinquanta nel Midwest degli USA, rimanendo affascinata dall’espressionismo astratto. Difatti la sua ricerca, seppur arricchita dai riferimenti al linguaggio visivo arabo contemporaneo, è in linea con i movimenti artistici americani del tempo. L’artista concentra la sua attenzione sulle texture, le superfici e i colori attraverso i suoi studi sull’effetto della luci sui singoli oggetti che la circondano. Le illusioni ottiche sono parte integrante dei suoi lavori, che riescono ad imprimere il senso di rotondità e profondità pur partendo da superfici piane. L’artista indaga le abilità visive dell’essere umano allo scopo di sfidarle.
Gli anni Ottanta sono stati fondamentali per la sua carriera, all’epoca era in residenza all’università delle Hawaii, istituzione che ha segnato profondamente la sua opera. Da questo momento in poi l’artista ha giocato con il tempo, lo spazio e il movimento, producendo grandi installazioni che oltrepassando i limiti della tela, mutando la forma stessa del supporto che da quadrato diventa sagomato, ritagliato, mobile e componibile. I suoi dipinti insolitamente grandi obbligano il fruitore a camminarci accanto.
Halaby è stata un’autodidatta nell’ambito dell’arte digitale, sperimentando fino dal 1986 con i Kinetic Painting Programs, strumenti tramite i quali è stata in grado di trasformare una tastiera in un mezzo di pittura digitale in tempo reale.
Samia Halaby può vantare una catalogo immenso colmo di opere particolari ed innovative per la sua generazione, che indagano le abilità percettive dell’occhio umano e della mente attraverso un registro visivo unico, mettendo costantemente in primo piano l’innovazione e il progresso.
Tahia Halim (Dongola, Sudan, 1919–2003, Cairo, Egitto)
La vita dell’artista Tahia Halim Dongola fu segnata dal legame del padre con re Fuad I, rapporto che le permise di entrare alla Royal Place del Cairo e all’Accademia di Belle Arti, dove completò i suoi studi in pittura. In seguito, Dongola si unì in matrimonio con Hamed Abdallah, artista con cui fondò uno studio destinato a rivoluzionare l’arte africana.
Il lavoro della pittrice ottenne un grande riconoscimento, traendo giovamento dalle influenze della cultura nubiana, oltre che dall’originalità e profondità dei soggetti. I dipinti di Halim raccontano una comunità poco conosciuta, quella dei Nubiani; si impose nell’ambiente artistico narrando una cultura dalla storia antica, ricca di tradizioni e miti, presentati tramite un’estetica capace di evocare ricordi lontani e, allo stesso tempo, tematiche e problemi dell’attualità.
A lungo acclamata come trionfo dell’Egitto, Paese dimenticato dal panorama artistico internazionale, Tahia Halim ottenne nel 1958 il primo premio Guggenheim assegnato ad una donna. La sua fu una carriera lunga e segnata da molti successi, che lascia una corposa eredità dietro di sé costituendo un simbolo di unità tra culture e nazioni considerate distanti.
Lauren Halsey (Los Angeles, USA, 1987. Vive a Los Angeles)
Artista e architetta rivoluzionaria nata a Los Angeles, Lauren Halsey è un’innovatrice che punta a riformare i rapporti tra mondo dell’arte e dell’architettura con la comunità cittadina. Nella sua produzione possiamo trovare sia opere d’arte autonome che progetti site specific, in particolare quelli dedicati al quartiere di South Central, luogo dove la sua famiglia risiede da diverse generazioni.
La questione ambientale emerge come tema nevralgico nella sua ricerca basata sull’utilizzo di oggetti ritrovati e/o fabbricati a mano. L’opera di Halsey è permeata da un senso di responsabilità civile, ritrae le vite delle persone che la circondano e i luoghi dove è cresciuta, indagando le urgenze delle persone di colore, della comunità queer e della classe lavoratrice per sostenerne le lotte. Al centro del suo lavoro troviamo la critica alla gentrificazione e alla privazione dei diritti trattate attraverso un’estetica influenzata dall’Afrofuturismo e dal funk, oltre che dai simboli e i segni che popolano le città contemporanee. Nella visione dell’artista, l’obiettivo dell’arte e dalla politica dovrebbe essere la creazione di una cultura visionaria, radicale e profondamente collaborativa capace di superare pregiudizi e preconcetti che separano i cittadini di uno stesso centro urbano.
Lauren Halsey ha esposte in mostre personali e collettive in molte istituzioni importanti tra cui citiamo: il Seattle Art Museum (2022); il Museum of Fine Arts di Boston (2021), la Fondation Louis Vuitton di Parigi (2019) e il Museum of Contemporary Art di Los Angeles (2018). Nel 2021, è stata insignita del Premio Gwendolyn Knight | Jacob Lawrence del Seattle Art Museum e ha ricevuto il Mohn Award per l’eccellenza artistica alla biennale Made in L.A. 2018 dell’Hammer Museum. Le sue opere presenziano nelle collezioni del Museum of Modern Art di New York; dell’Institute of Contemporary Art di Miami; del Museum of Fine Arts di Boston; del Columbus Museum of Art di Ohio, dell’Hammer Museum di Los Angeles e del Museum of Contemporary Art di Los Angeles.
Nazek Hamdi (Cairo, Egitto, 1926–2019)
Supportata dalla famiglia amante delle arti, l’artista egiziana ha manifestato fin dall’infanzia una grande inclinazione artistica che l’ha portata a sperimentare con diversi medium focalizzando la sua attenzione in particolare sulla pittura e la scultura. La sua è una ricerca molto personale che parte dal proprio vissuto analizzando il mondo circostante ed offrendo una prospettiva unica sulla cultura e la società egiziana, arricchita dai suoi studi nell’ambito delle antiche arti orientali, della miniatura, della pittura murale e su tessuti di sete ed infine dell’arte batik.
Hamdi è un’artista rinomata in Egitto ed ha esposto in numerose mostre in patria ed all’estero guadagnandosi il riconoscimento e l’ammirazione dei colleghi e della critica, che ha apprezzato la semplicità del suo lavoro capace di catturare l’essenza della quotidianità in tutte le sue sfaccettature.
Contemporaneamente alla sua attività artistica, l’artista svolge il ruolo di insegnante presso varie istituzioni considerato parte del suo contribuito al panorama culturale del Paese. Nazek Hamdi è scomparsa nel 2019, lasciando un’eredità duratura nel panorama dell’arte egiziana e continuando a ispirare artisti e appassionati d’arte in tutto il mondo.
Mohamed Hamidi (Casablanca, Marocco, 1941. Vive a Casablanca e Azemmour, Marocco)
Rinomato artista marocchino originario di Casablaca, Mahamed Hamidi è divenuto celebre per lo stile eclettico e l’approccio innovativo all’arte. La sua ricerca artistica è segnata dal profondo legame con la storia e la cultura del Marocco. Cresciuto tra Casablanca e Azemmour, dove vive e lavora, l’artista ha manifestato precocemente una forte propensione per le arti figurative, che l’ha portato a completare la propria formazione presso l’Accademia di Belle Arti.
Le sue opere presentano una compenetrazione tra influenze dell’arte tradizionale marocchina e le istanze del contemporaneo, dimostrata tramite l’utilizzo di svariati media diversi, dalla pittura, alla scultura, fino alle installazioni. I temi principali della sua produzione sono legati all’identità, alla memoria e alla spiritualità affrontate da un punto di vista strettamente personale che riflette con profondità la complessità della società marocchina di cui cerca di catturare l’essenza.
Acclamato e ampiamente riconosciuto dalla critica internazionale, Hamidi vanta una solida reputazione ed è considerato uno degli artisti marocchini viventi più importanti, grazie alla sua produzione che continua a stupire e intrigare gli spettatori di tutto il mondo.
Faik Hassan, Baghdad, Iraq, 1914–1992, Parigi, Francia
Artista iracheno nato a Baghdad profondamente legato alla storia dell’Iraq e all’obiettivo di costruire un linguaggio visivo nazionale. Nonostante abbia studiato in Europa, territorio chiaramente riconoscibile nelle influenze che più caratterizzano le sue opere, raffigura prevalentemente scene di vita quotidiana di contadini iracheni residente lungo il corso dei fiumi Tigri ed Eufrate. Figure maschili circondate da oggetti tradizionali e intente a bere del tè nelle proprie tende.
La composizione e il collocamento dei soggetti nello spazio sono fondamentali nello stile di Hassan, che sfida la profondità collocando su piani distinti oggetti e persone per offrire una visione simultanea da più punti di vista. Con questo espediente l’artista rappresenta scene intime, nelle quali è possibile osservare le peculiarità di ambienti e composizione, come le forme dell’arredo o i dettagli dei costumi che dipinge da angolazioni innaturali.
Faik Hassan svolge un ruolo fondamentale nella promozione e nella divulgazione della cultura irachena evidenziando le condizioni e gli stili di vita dei cittadini, dei lavoratori, dei villaggi e delle comunità rurali.
Kadhim Hayder, Baghdad, Iraq, 1932–1985
Artista, incisore, scenografo e organizzatore teatrale, la cui pratica artistica ha contribuito allo sviluppo del Modernismo iracheno, Kadhim Hayder attinge dalle rappresentazioni rituali, delle cerimonie religiose e dalle tradizioni artistiche del proprio Paese ispirandosi all’antica epoca mesopotamica di Gilgamesh (2150-1400 a.C. circa), oltre che alla celebre battaglia di Karbala (680 d.C.), nella quale Husayn Ibn Ali, nipote del profeta Maometto, venne trucidato in combattimento contro il califfo Omayyade Yazud. Evento storico che contribuì tragicamente ad incrinare i rapporti tra musulmani sciiti e sunniti, divisi dalla diaspora su cui fossero i reali successori e custodi dell’Islam. La battaglia è un tema iconografico ricorrente nella cultura visiva e letteraria dei Paesi mussulmani.
I dipinti di Hayder narrano simbolicamente la storia e i miti legati alla religione islamica, rappresentando uno studio che funge da analisi morale sulle trasformazioni e le divisioni nelle società contemporanee.
Gilberto Hernández Ortega (Baní, Repubblica Dominicana, 1923-1979, Santo Domingo, Repubblica Dominicana)
È stato uno dei primi artisti iscritti alla Escuela Nacional de Bellas Artes, dopo la sua istituzione nel 1942, dove è stato allievo dell’artista Josep Gausachs. Guidato nella sua formazione anche dal pittore Celeste Woss y Gill, Ortega è stato un grande interprete dell’habitat caraibico, stabilendo un rapporto simbiotico con l’ambiente che restituisce l’aspetto surreale e l’essenza della foresta e dei costumi delle popolazione autoctone. Come possiamo apprezzare dal suo capolavoro, l’opera Marchanta (1976), che presenta un tema iconografico molto diffuso nella pittura dominicana ossia il tipico assembramento di fiori e frutti portati sulla testa dalle donne caraibiche. La figura femminile domina la produzione di Ortega, caratterizzata da opere sensuali, che esaltano il colorito della pelle, il collo lungo e le forme che contraddistinguono la popolazione locale.
Con grande capacità di sintesi il pittore riesce a restituire con poche lumeggiature ciò che lo circonda guidando lo spettatore sulla tela. Gilberto Hernández Ortega è un artista conosciuto a livello internazionale e ha esposto in svariate mostre in tutto il mondo, quest’anno per la prima volta partecipa alla Biennale di Venezia.
Carmen Herrera (La Havana, Cuba, 1915–2022, New York City, USA)
È stata un’artista statunitense di origini cubane nota per il suo approccio minimalista e geometrico che ha aperto nuovi orizzonti nella storia dell’astrazione mondiale.
Tra il 1948 e il 1956, la pittrice è entrata a contatto con artisti e stili di astrazione differenti, appartenenti alle tradizioni dell’avanguardia europea, latinoamericana e sudamericana, influenze perfettamente apprezzabili nel suo lavoro. Periodo durante il quale ha prodotto opere realizzate su tela da imballaggio con colori acrilici: Herrera è stata infatti la prima artista ad utilizzare questo supporto in Europa. La sua produzione è ricca di opere sperimentali che adottano forme stravaganti tele, ovali, squadrate, e abbinano colori contrastanti, scelte che offrono una pittura ritmata e variegata capace di evocare atmosfere uniche. Quest’anno per la prima volta le opere di Carmen Herrera sono esposte spazio alla Biennale di Venezia.
Evan Ifekoya (Iperu, Nigeria, 1988. Vive a Londra, UK)
Artista multidisciplinare nigeriana la cui ricerca coinvolge aspetti spirituali, volti alla cura attraverso l’arte percepita come dimensione capace di ridistribuire e rinegoziare le risorse disponibili, sfidando le norme e le gerarchie imposte dagli spazi politici e sociali. La pratica artistica multiforme di Ifekoya si estende attraverso video, performance, installazioni, sculture e suoni, concentrandosi sulla costruzione di narrazioni alternative intorno alla sessualità, alla razza e al genere.
Evan Ifekoya ha conseguito la laurea in Fine Art alla Slade School of Fine Art, per poi iniziare una carriera colma di riconoscimenti internazionali che esplora il potere delle narrazioni marginalizzate e le politiche di rappresentazione. Attraverso un approccio critico e sperimentale usufruisce di un’ampia varietà di media, con una particolare attenzione alla relazione tra corpo, spazio e suono. Le sue opere sono state esposte nell’ambito di svariati eventi internazionali, incluso il prestigioso British Art Show 9.
Inoltre, l’artista è coinvolta in diversi progetti dallo spirito attivista e dimostra un forte interesse per i temi della visibilità e dell’empowerment delle persone queer e trans. Con un’impronta artistica distintiva e altamente politicizzata, Evan Ifekoya continua a sfidare e ridefinire i confini dell’arte contemporanea con la sua pratica innovativa e provocatoria.
Julia Isídrez (Itá, Paraguay, 1967)
Artista dalle origini indigene, parte della comunità guaranì, divenuta celebre per il suo utilizzo della ceramica. Julia Isídrez apprende le tecniche della ceramica dalla madre, operando all’interno della tradizione del suo popolo con l’intento di valorizzarne storia e cultura. Il mestiere di ceramista viene tramandato da madre a figlia nella cultura guarinì, passaggio che comporta il trasferimento dello stile e delle peculiarità tipiche della storia famigliare, che nel caso dell’artista prevede l’accostamento di forme e funzioni appartenenti ad epoche diverse.
Dopo la scomparsa della madre, Isídrez ha scelto di continuare questo percorso di sperimentazione con un approccio innovativo che, seppur tenendo in considerazione la forza elementare dell’argilla e le antiche tecniche guaraní, coinvolge la sensibilità contemporanea. I vasi progettati e plasmati dall’artista richiamano forme fantasmagoriche, al limite del barocco, conservando allo stesso tempo l’esattezza dei volumi. Le linee pulite e l’attenzione alla forma, unite ad una immaginazione febbrile e dal sapore evocativo, hanno fatto della sua opera una delle più importanti del Paese natio.
Le opere di Julia Isídrez indagano le connessioni tra paesaggio, spiritualità ed identità culturale, tramite diversi medium, tra cui pittura, scultura e installazioni, esaltate da una tecnica distintiva e da un uso vibrante dei colori che restituiscono l’essenza vitale della natura paraguaiana. L’artista ha esposto in numerose mostre sia a livello nazionale che internazionale, guadagnando riconoscimenti e apprezzamento per la sua visione artistica unica.
Mohammed Issiakhem (Tizi Ouzou, Algeria, 1928–1985, Algeri, Algeria)
È stato uno dei principali artisti modernisti dell’Algeria, il cui lavoro esplora le tematiche legate al movimento anticoloniale del paese, alle lotte personali e collettive, alle tradizioni Amazigh, restituite tramite ritratti di persone comuni. Laureatosi presso l’École nationale supérieure des beaux-arts d’Alger, Issiakhem ha ottenuto molti riconoscimenti nazionali e internazionali per il suo lavoro innovativo e provocatorio. Noto per la sua peculiare ricerca artistica, ha abbracciato una vasta gamma di stili e tecniche, dalla figurazione alle esplorazioni più astratte, dal disegno alla pittura.
Il suo capolavoro Femme et Mur (in basso, ndr), del 1977-78, ritrae una donna algerina vestita con abiti tradizionali Amazigh, gioielli e copricapo, dallo sguardo misterioso e l’espressione cupa. Le sue mani sono unite e fissa l’orizzonte in silenziosa contemplazione. Inquietante e audace, incarna un’etica di resistenza silenziosa, ma tenace, più volte dimostrata dalle donne algerine nel corso del ventesimo secolo. Sullo sfondo appare un muro con graffiti che richiamano chiaramente la Guerra d’Indipendenza algerina che ebbe luogo tra il 1954 e il 1062, con acronimi come FLN, riferito al Fronte di Liberazione Nazionale dell’Algeria.
Le sue opere sono state esposte in importanti mostre internazionali, contribuendo ad informare sulla situazione politica del Paese e sulla ricchezza artistica che nasconde. Parallelamente alla pratica artistica, MohammedIssiakhem è stato un insegnante e un leader per la comunità artistica algerina, influenzando e guidando intere generazioni. La sua eredità artistica continua tuttora ad ispirare e nutrire il dialogo culturale algerino spingendolo oltre i confini nazionali.
(schede a cura di Francesca Calzà)