Travolti dalle terribili conseguenze dell’antropocene finiamo per accettare inermi un destino fatalmente dubbio, dove non esiste futuro. Le persone approvano imperturbabili la loro sorte; sono state avvisate e così accettano una realtà senza futuro.
Posti all’interno di una società che non contempla un vero cambiamento siamo diventati fatalisti, osserviamo indifferenti il susseguirsi continui di eventi che sovvertono il quotidiano. Quello che ieri sconvolgeva oggi è norma, la terra si è abituata ai «cigni neri». La routine sembra aver inglobato le catastrofi «determinate»: i cambiamenti climatici, l’inquinamento e l’aumento delle temperature medie sono diventati parte di una normalità allarmante. Il sistema in cui viviamo ci ha addestrati ad abituarci, e quindi lasciamo correre, ci abbandoniamo all’attesa dell’istante in cui succederà l’irreparabile e sarà troppo tardi. Come malati sottoposti al passare del tempo, che hanno accettato di andarsene.
Ar/Ge Kunst presenta, fino al 30 novembre, «The Fluo Swan», mostra personale di Anna Scalfi Eghenter, che riflette sull’atteggiamento delle società contemporanee manifestando, con una certa ironia, l’assurdità dell’inerzia da cui sono afflitte. I lavori esposti proseguono una riflessione decennale portata avanti dall’artista attraverso eventi performativi, installazioni e pubblicazioni che esplorano le contraddittorietà della società moderna, evidenziandone i limiti. Come con «Chat» (2009), composta da una scala alta nove metri appoggiata ad una parete del viale intento dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e posizionata per poterne usufruire in caso la temperatura aumenti due gradi innalzando il livello dell’acqua, l’artista costruisce una narrazione ironica e paradossale capace di risvegliare i fruitori.
Ma perché rimaniamo impassibili di fronte alla promessa di una fine certa? Questa è la domanda cardine attorno cui si sviluppa l’esposizione. Non esistono scialuppe di salvataggio abbastanza grandi per salvarci e non conosciamo pianeti abitabili in cui fuggire, non si tratta di una puntata di Star Wars. Allora, cosa ci spinge all’inerzia? Forse, a forza di ribadire le future conseguenze dell’agire umano, siamo passati dal domani al presente senza neanche accorgercene, oppure la promessa di una fine ci libera dalla responsabilità di trovare un rimedio. Le motivazioni sono molteplici, eppure Scalfi indaga l’immobilità coinvolgendo gli spettatori in una performance contrattuale, durante la quale stipulano un’assicurazione collettiva a cui possono partecipare per supplire all’assenza delle istituzioni nella difesa dei diritti dei cittadini in caso di un evento raro, non prevedibile, impossibile: un cigno nero. Dal 20 settembre fino al 30 novembre 2024, è possibile prendere parte all’esperimento che coinvolge una vera agenzia assicurandosi protezione nell’eventualità della fine della felicità, della gratuità dell’acqua, del crollo della rete internet oppure della promozione di un divieto di aggregazione negli spazi pubblici. Come afferma l’artista dialogando con la curatrice, Francesca Verga, queste pratiche assicurative cercano di dare forma al cigno nero, «lo affrontano, lo scolpiscono, di tratti reali e lo esorcizzano». È una performance che si trasforma in un esercizio socio-antropologico che incita all’azione l’osservatore.
La mostra esplicita il paradosso del capitalismo che dinanzi all’impossibilità dello Stato di garantire la sicurezza e il benessere chiama in causa il privato mutando tutto in una merce commerciabile. Varcando la soglia dello spazio espositivo un turbine di moduli assicurativi travolge le persone, innescando uno scambio tra realtà e rappresentazione nutrito dai colori dei documenti, che sembrano comporre un quadro in movimento. Come nel precedente lavoro presso l’Università di Trento, «Cross the Passion Line: the Aesthetic Translation of a Performance» (2005), l’ingresso nella performance viene mascherato e i visitatori si accorgono di farne parte quando questa è già in atto.
Anna Scalfi, influenzata dalla sua formazione accademica in sociologia, traspone alcune pratiche sociali in arte lavorando sui mezzi e i linguaggi del contemporaneo per mettere in scena la società e i suoi attori, rimuovendo filtri e consuetudini. Le sue opere sono parte della realtà e, allo stesso tempo, la fagocitano per poi scardinarne le regole. «The Fluo Swan» non è altro che il proseguimento di una ricerca scaturita dalla voglia di demolire le sovrastrutture che limitano l’agire sociale e politico allo scopo di sovvertire il sistema e offrire al pubblico uno spaccato delle fobie, ma anche delle scomode verità, dell’epoca odierna