Grand Tour (pt. 3): tra i tesori e le bellezze della Puglia

Il vero grand tourist non può essere sprovvisto di ottime letture per tutta durata del viaggio, questo è abbastanza ovvio, bisogna però sottolineare l’urgenza di essere in grado anche di trovare volumi che man mano si adattino alle tappe del nostro pellegrinaggio. Ed in Puglia ci si deve arrivare con un testo fondamentale di Ernesto De Martino, La Terra del rimorso, dove il grande antropologo napoletano esprime una teoria del tutto innovativa sulla potenza del tarantismo. Lo studioso lo identifica come uno strumento potentissimo per far defluire i profondi conflitti che operano nell’inconscio a seguito del morso della Tarantola, che viene presentata come il grande male, il mostro mitico che viene esorcizzato tramite questa serratissima musica danzata.

Ah… se solo Ernesto sapesse che oggi la taranta viene ballata da orde di milanesi che esorcizzano la loro milanesità con bottiglioni di vino e gonnellone a fiori, credo che darebbe fuoco alle sue stampe. Pertanto vi è fatto divieto assoluto di esercitarvi in danze che vi provocherebbero solo slogature alle caviglie e vi è negata qualsiasi partecipazione alla Settimana delle taranta di turno… non si addice al raffinato viaggiatore.

Ma veniamo lesti alla prima tappa nel tacco d’Italia: il santuario di Santa Maria a mare presso le Isole Tremiti, la cui fondazione si deve ad un vero e proprio atto di tombarolaggio, uno di primi e più clamorosi casi di scavo illegale e successiva ricettazione dei beni scoperti. Tutto parte con un eremita che per ragioni ancora ignote, approda sull’isola di San Nicola dove è attualmente situato il monastero, nel III sec d.C. Circa e dove sicuramente non vi trova un ambiente ospitale.

L’incrollabile fede di questo eroe cristiano, che dobbiamo immaginare si aggirasse per l’isola pregando e dolendosi per i peccati del mondo, viene premiata con la visione della Vergine che gli ordina di edificare e dedicarle un santuario che sia degno della madre di Cristo. Il sant’uomo accoglie con entusiasmo la richiesta di Maria ma qualche secondo dopo si guarda intorno volgendo poi nuovamente lo sguardo verso Nostra Signora come a dire: “E i fondi chi ce li mette…. n’do stanno i sordi?”. Lesta ed anche un po’ seccata, Maria gli indica prontamente un luogo presso cui iniziare una vera e propria campagna di scavo che lo conduce a trovare un immenso tesoro celato da una lapide funeraria… si parla della tomba dell’eroe acheo Diomede.

Jean Auguste Dominique Ingres Venere Ferita da Diomede Ritorna allOlimpo 1803 circa

Una volta arraffato il bottino (qui la storia si fa ancora più paradossale) si avventura su una imbarcazione di fortuna che dotata di pilota automatico e sospinta da dolci venti, arriva a Costantinopoli. Appena entrato in porto con la sua bagnarola, l’eremita vede una grande imbarcazione già provvista del materiale edile e con una serie infinita di operai che si imbarcavano in totale autonomia, reclutati dalla grazia di Dio e pagati sempre con essa, già tutti pronti per l’impresa pugliese. Ovviamente il sant’uomo gira immediatamente le ricchezze rinvenute nella tomba a chi aveva apparecchiato tutta la questione in Turchia e salpa pere tornarsene in Puglia dove finalmente darà inizio all’opera.

A parte le considerazioni scherzose circa le traversie che hanno portato alla fondazione del monastero, questo vive il suo periodo di maggior importanza nell’XI secolo sotto la reggenza benedettina e diventa un luogo di ritrovo per star dell’epoca del calibro di Federico di Lorena per dirne uno tra i tanti. Verso al fine del Quattrocento, il complesso passa sotto la direzione dei Canonici Lateranensi diventando una vera e propria fortezza ed anche un carcere per qui preti un po’, per dirla elegantemente, poco ortodossi o invisi alle gerarchie romane… insomma una declinazione vaticana del concetto di confino.

La bellezza rude e violenta di questo luogo affacciato sul mare vi rapiranno senza alcun dubbio proiettandovi in quel mondo monacense che doveva rappresentare un microcosmo del tutto particolare.

Ritornate in terra ferma e siate veloci nel rimettervi in autostrada in direzione Taranto, non ci vorrà moltissimo ed arriverete a quella che viene definita la Barriera tarantina, quasi come delle Colonne d’Ercole e qui troverete già la prima cittadina da scoprire.

Massafra infatti è il primo paesino che si incontra dopo aver superato il finis terrae di cui sopra e sono sicuro che girare per le stradine del borgo antico avventurandosi nelle decine di chiese barocche che incontrerete, rappresenterà un’esperienza che terrete a mente.

A questo punto la strada per Taranto è tutta dritta ed in poco tempo vi farà approdare nella città dei due mari.

Nonostante il passaggio obbligato attraverso un paio di chilometri di deposito ferroso dell’Ilva che vedrete entrando in città, non abbiate paura! Da li a poco si diraderà un panorama di calme acque salate e filari di cozze, quello è il Mar Piccolo.

Il consiglio è assolutamente quello di trovare una suite nelle splendide residenze alberghiere della città vecchia che pian piano crescono in numero ed importanza, seguendo un generale sviluppo del capoluogo tarantino che è ormai in atto da qualche anno… Taranto è una città che, per quanto violentata nella sua identità e nella sua salute dalle logiche siderurgiche, sta cercando di risorgere affidandosi ai suoi veri caratteri: mare, archeologia e bellezza.

In tal senso, è obbligatorio sostare per qualche minuto sul Ponte Girevole che è una delle tante unicità della città, un ponte concepito per girare su stesso ed aprirsi in modo tale da permettere il passaggio di grandi navi da guerra, da lì avrete una panoramica completa dello splendido Castello Aragonese che si apre tra i due mari e l’inizio della città vecchia.

Percorrendo il ponte in direzione del borgo antico, possibilmente in orari non troppo caldi, dirigetevi verso le colonne del tempio dorico dedicato a Zeus che, forti della loro immortalità, ci fanno intuire la monumentalità di quel complesso sacro che accoglieva chi arrivava dal mare.

Da qui c’è una sola strada, Via Duomo, che vi condurrà direttamente in bocca allo splendido edificio che è la Cattedrale dedicata a San Cataldo, patrono della città, e mi raccomando non fatevi ingannare dalla facciata settecentesca perché in realtà qui parliamo della più antica chiesa romanica di tutta la Puglia.

Dopo una prima fase paleocristiana la vera struttura si fonda sui lavori dei bizantini nel corso del X secolo: all’indomani del grande saccheggio musulmano che nei primi anni del 900 d.C. Falcidiò Taranto che si vide distruggere anche le ultime testimonianze greco-romane, Niceforo II Foca che in quel momento sedeva al soglio imperiale di Bisanzio, volle ricostruire il borgo antico proprio a partire dalla nuova Cattedrale.

Nel corso dei secoli la cattedrale accrebbe la sua importanza tanto da essere dichiarata Basilica Minore da Papa Paolo VI ed oggi rappresenta uno dei punti di snodo fondamentali per quel particolarissimo evento che è la Processione Dei Perdoni, per la quale vi consiglierei di ritornare in città durante il periodo della settimana santa.

Usciti dal duomo è quasi fisiologico perdersi nei vicoli della città antica e spuntare dalla parte opposta del quartiere in zona Ponte di Pietra con nelle vicinanze la caratteristica Piazza Fontana o, per i più indigeni, Piazza dell’Orologio.

Se il giretto lo concludete sul far della sera, allora il suggerimento è quello di voltare le spalle al Ponte di Pietra e risalire in direzione della Discesa Vasto, qui proprio all’inizio, ben prima quindi di tornare sul Ponte Girevole, troverete un ristorante fondamentale per il buon mangiare: Il Canale. Se siete degli amanti del coquillage e dei crudi di pesce beh, siete capitati in uno dei templi di questo genere di culto… senza parlare della vista che offre il cenare sul loro terrazzo. Annaffiate il tutto con due ottimi vini prodotti dalle Cantine San Marzano: Talò, splendida verdeca o con dell’Edda che è un capolavoro di Chardonnay che fa 4 mesi di affinamento in barrique di rovere francese con batonnage settimanali.

Al mattino seguente dovrete farvi trovare pronti per una delle meraviglie assolute per chi ama l’archeologia… ed il vero grand tourist va letteralmente pazzo per questo genere di cose. Il MARTA è uno dei musei archeologici più importanti al mondo e conserva al suo interno una serie pazzesca di capolavori.

Dalla collezione di antefisse tarantine, passando per le ceramiche attiche e coloniali e attraverso una delle più fornite raccolte di mosaici romani, si arriva a toccare quasi con mano alcuni oggetti immortali. La cosiddetta Testa di Marta ne è un preclaro esempio: una testa in terracotta, risalente al IV a.C., che conserva ancora la sua policromia intatta e soprattutto lo splendido diadema in oro nel mezzo dell’acconciatura, anticamente doveva anche vestire orecchini in oro come si evince dalla presenza di fori nei lobi degli orecchi.

Una menzione di merito particolare spetta alla collezione di ori tarantini che dovremmo definire del tutto unica al mondo e ci apre uno spaccato su quella che doveva essere la città soprattutto nel periodo greco. Taranto fu colonia panellenica, riconoscimento di grande importanza, che la pose ovviamente al centro del sistema coloniale greco in Italia e che le permise di accrescere la sua influenza e, va da sé che in un contesto di tal guisa, la popolazione doveva essere tutto meno che disagiata o impoverita.

I tarantini ad un certo punto divennero talmente ricchi e con un gusto così raffinato e ricercato da dare inizio in città ad una vera e propria officina dell’oro che si legge perfettamente proprio nella raccolta museale.

Vetri, paste vitree e vaghi in terracotta e corallo si inseriscono in queste creazioni audaci come nel  caso del famosissimo Orecchino a Barca o in altre creazioni altrettanto funamboliche.

Non si può ignorare quel celeberrimo e del tutto unico oggetto che è lo Schiaccianoci… sì, questa era la funzione di questa splendida scultura realizzata in bronzo dove le due mani, impreziosite da bracciali in bronzo dorato, sono fornite di una cerniera che ne permette il movimento per la rottura di noci et similia.

Ovviamente imperdibile è la Tomba dell’Atleta, rinvenuta in via Genova 9 in occasione di uno scavo per le fondamenta di un palazzo (sì, perché a Taranto basta scoperchiare qualche centimetro di massetto e viene fuori un altro mondo) che ci racconta la storia di un vero e proprio campione deceduto tra il 490 ed il 480 a.C. Quindi in pieno periodo di guerre persiane.

L’eccezionalità di questo ritrovamento sta nel fatto che all’interno della tomba furono ritrovate intatte le quattro anfore panatenaiche, simbolo della vittoria nelle differenti discipline olimpiche, consideriamole le nostre moderne medaglie d’oro, e che ci fanno comprendere quanto fosse imbattibile questo omone tarantino che riusciva a saltare fino a 3 mt, come indicato dalle evidenze delle analisi della sua morfologia ossea.

Ma ciò che vi toglierà letteralmente il fiato è il gruppo dell’Orfeo con le Sirene, uno spettacolo in terracotta dipinta a grandezza naturale con questi tre personaggi che vi faranno letteralmente sciogliere.

L’Orfeo è rappresentato mentre suona la sua lira come un adolescente dagli occhi languidi ed il viso perso, seduto su di uno seggiolone che ha una linea di una modernità inusitata. La realizzazione della testa e del viso ci porta automaticamente nella scultura novecentesca italiana e la sua delicatezza fa da controcanto alla bellezza aspra e demoniaca delle Sirene che sono impreziosite da questa teoria infinita di riccioli realizzati a stecca prima della cottura e successivamente applicati alle figure. Non esiste niente del genere in giro per il mondo.

Questo gruppo scultoreo peraltro ha vissuto un percorso tortuoso che lo ha portato ad essere scavato illegalmente e venduto da un notissimo ricettatore della zona al Getty Museum dove è rimasto fino allo scorso anno, quando ha finalmente fatto ritorno a casa… a Taranto.

Quando lo avrete davanti ai vostri occhi provate a pensare a quanto grande dovesse essere la tomba che lo conteneva e quali altri tesori potesse avere al suo interno.

Ne uscirete suonati e picchiatelli ma io ho la soluzione per voi… nella prossima puntata.

Le puntate precedenti del Grand Tour le abbiamo pubblicata qua:

Grand Tour (pt. 1): commuovetevi a Venezia, la Serenissima merita le vostre lacrime

Grand Tour (pt. 2): da Padova scendendo verso Sud, tra architettura e natura

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