Stephan Balkenhol, il surrealismo del quotidiano

Stephan Balkenhol (1957 Fritzlar, Germania) ha fatto della figura umana e delle domande fondamentali sull’esistenza l’obiettivo costante della sua arte scegliendo di rappresentare persone comuni, che possiamo incrociare ogni giorno: una donna col basco rosso, un uomo in giacca cravatta, una coppia di suore tutti accomunati da uno sguardo ieratico, inespressivo e dalla postura immobile. Cogliere l’essenza della quotidianità dell’uomo contemporaneo e dei suoi sentimenti in rapporto all’ambiente che lo circonda, questo fa Balkenhol scolpendo con perizia un materiale vivo come il legno, ricavando le sculture spesso da un solo tronco e non rifinendo le opere, che vengono lasciate grezze per lasciare evidenti i segni della lavorazione che avviene con antichi strumenti manuali che legano la pratica di Balkenhol alla tradizione dell’intaglio del legno in Germania.

L’artista sceglie inoltre di dipingere le sue opere con una ristretta gamma di colori primati, perché, come afferma, “non sarebbero vive senza colore, ma evito i colori troppo vistosi e sgargianti. Non devono concorrere con le sculture, ma sottolinearne la forma”. L’artista si muove attraverso una ricerca formale improntata al minimalismo che sfocia a volte nel realismo e anche, in alcuni lavori, nel surrealismo: come nel caso di un uomo con la testa da fenicottero, uno con la testa da orso e uno con la testa da gallo che, con ironia, creano un continuum tra caratteristiche umane ed animali con l’intento di “suscitare un senso di introspezione e contemplazione, invitando gli osservatori a interrogarsi sul proprio posto nell’intreccio in continua evoluzione dell’esistenza contemporanea” .

In occasione della sua nuova personale negli spazi della galleria Monica De Cardenas a Milano (fino al 18 novembre), Balkenhol ha risposto ad alcune domande che gli abbiamo posto sul suo lavoro.

Stephan Balkenhol, il suo lavoro ci invita a riflettere sul concetto di identità e società, sull’essenza dell’uomo contemporaneo: può descriverci questo aspetto della sua indagine?

L’uomo è sempre entrambe le cose: soggetto singolare, autoresponsabile, unico ed essere sociale, che dipende dagli altri, che ha bisogno della comunità. Questa polarità è essenziale per la condizione umana: l’identificazione di sé passa attraverso l’interazione con la comunità. Come ha detto nella sua domanda, le mie sculture ci invitano a riflettere su questo aspetto.

Come è arrivato a sintetizzare le sue figure in modo così esemplare? È vero che sono minimali eppure ci si rispecchia, riescono a trasmettere un senso di immobilità riflessiva, era questa la sua intenzione fin dall’inizio?

Non avevo intenzione di lanciare messaggi diretti, ma ho deciso di dare alle mie sculture un aspetto indifferente e minimale per mostrarle aperte all’intera scala delle possibilità della vita. Sta allo spettatore immaginare: le mie sculture possono essere un misto tra specchio e schermo di proiezione. Il clima visivo di oggi è già sovraccarico di immagini-messaggio (pubblicità, TV, ecc.), così ho pensato che sarebbe stato bene avere una sorta di spazio vuoto con la possibilità di recuperare e creare la libertà di cercare l’essenziale. Non voglio mostrare risposte, ma incuriosire le persone, porre domande.

Nelle opere in mostra ha proposto alcune sculture con teste di animali (orso, gallo e fenicottero), tornando a interessarsi del legame fra uomo e animale…

Fin dall’inizio del mio lavoro artistico mi sono interessato alla relazione tra uomini e animali, alle proiezioni e alle identificazioni che ne derivano. La natura – di cui facciamo parte – è un mistero che cerchiamo di comprendere con l’aiuto della scienza. Ma possiamo davvero sapere cosa provano gli animali, cosa pensano di noi? A parte queste domande, cerco di mostrare la bellezza e la varietà delle creazioni con un pizzico di umorismo…

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